Beato Giovanni Paolo I, papa per solo un mese
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Per motto episcopale, Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I, beatificato domenica 4 settembre a San Pietro da papa Francesco, scelse quello di san Carlo Borromeo: Humilitas, termine andato in disuso nei nostri tempi, ricchi di vanagloria, non solo in ambito pubblico, ma anche privato, che privato spesso e volentieri non è più a causa dell'uso smodato e bulimico dei Social, dove l'edonismo esasperato fa da padrone sulle coscienze. Una volta affermò: «Dio certe cose grandi ama talvolta scriverle non sul bronzo o sul marmo, ma addirittura sulla polvere, affinché, se la scrittura resta, non scompaginata o dispersa dal vento, risulti chiaro che il merito è tutto e solo di Dio». [...]
Qualcuno nel presentare la figura di Giovanni Paolo I evoca elementi come ecumenismo, liberalismo, relativismo... ma per conoscere veramente chi era occorre informarsi, studiare, raccogliere fonti. [...]
Il suo pontificato, dal 26 agosto al 28 settembre del 1978, anche con la sua fulminea e tragica morte, suscitò aspettative e grandi speranze in una Chiesa entrata in profonda crisi di fede, di morale, di vocazioni e in una società del benessere materiale, ma del malessere spirituale, inquieta e ribelle, dove i valori perdevano ogni giorno di più consistenza e perfino senso.
I PRIMI QUARANT'ANNI
Nacque a Canale d'Agordo 110 anni fa, il 17 ottobre 1912, in provincia di Belluno, in una povera famiglia, dove si pativa veramente la fame, ma si conosceva la fede. Suo padre era Giovanni Luciani (1872-1952) e sua madre Bortola Tancon (1879-1948). Nell'ottobre del 1923 Albino entrò ad appena 11 anni nel Seminario interdiocesano minore di Feltre e in seguito, nel 1928, nel Seminario interdiocesano maggiore di Belluno.
Fu ordinato diacono il 2 febbraio 1935 e sacerdote il 7 luglio di quell'anno nella chiesa rettoriale di San Pietro Apostolo a Belluno. Nominato cappellano e vicario cooperatore di Canale d'Agordo, di lì a poco venne trasferito ad Agordo, dove fu cappellano fino al luglio del 1937 e dove insegnò religione all'Istituto minerario, e poi al Seminario Gregoriano di Belluno (1937-1958), per divenire dal 1937 al 1947 vice-rettore. Il 27 febbraio 1947 si laureò in Sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
In prossimità delle elezioni politiche dell'aprile 1948 collaborò alla campagna di propaganda contro il fronte socialcomunista, sottolineando l'impossibilità di aderirvi per i cattolici. Inoltre, per tutta la sua esistenza ebbe una cura particolare per la catechesi, alla quale riservò un posto centrale nella sua azione pastorale a Vittorio Veneto, a Venezia, a Roma. Per Luciani era necessaria un'istruzione catechetica sana e capillare. Da buon veneto aveva di fronte a sé l'esempio di san Pio X.
Nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno e il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della cattedrale di Belluno, fino a quando Giovanni XXIII, il 27 dicembre 1958, nella basilica di San Pietro, lo consacrò vescovo di Vittorio Veneto, dove si insidiò l'11 gennaio 1959, incontrando, suo malgrado, e scontrandosi con il malaffare interno alla Chiesa. Subito iniziò, a tappeto, le visite pastorali nelle parrocchie.
DA PATRIARCA DI VENEZIA A SOMMO PONTEFICE
I rapporti e i fatti torbidi che allacciavano figure ecclesiastiche e mondi finanziari vennero da lui attenzionati scrupolosamente, anno dopo anno, formandosi un bagaglio di presa d'atto della situazione, nell'attesa di poter avere lo spazio idoneo per operare ad una sanificazione morale. Fu elevato a patriarca di Venezia il 15 dicembre 1969 e il 5 marzo 1973 fu creato cardinale del titolo di San Marco da papa Paolo VI. Proprio a Venezia, Luciani ebbe modo di verificare le manovre che i poteri occulti, soprattutto la massoneria, conducevano attraverso il Banco Ambrosiano e come personalità del livello del monsignore statunitense Paul Marcinkus dello IOR (Istituto per le Opere di Religione) operassero maneggi finanziari con le grandi banche straniere. Non bisogna dimenticare che, dal punto di vista dottrinale, ampi settori progressisti nella Chiesa ritenevano possibile il dialogo tra cattolici e massoni.
Nel 1974, in occasione della campagna elettorale per il referendum sul divorzio, sciolse la sezione veneziana della FUCI, la Federazione degli universitari cattolici, perché si era mostrata favorevole al no all'abrogazione della Legge Fortuna, contrariamente alle indicazioni della sua Curia.
Come Patriarca di Venezia approfondì la conoscenza delle trame massoniche e finanziarie attraverso delle precise indagini, che molte figure di potere non gradirono. Divenne Pontefice con sommo sgomento, sentendosi inadeguato a questo tremendo incarico di responsabilità, non solo di carattere umano, ma anche soprannaturale. Quella elevatezza dell'onore di guidare la Chiesa, ed una Chiesa in piena crisi, con l'obiettivo di sanare le ingerenze massoniche, lo condusse ad una grande sofferenza, ma anche alla morte, naturale o indotta che sia stata. A tutt'oggi non si hanno prove certe in un caso come nell'alto.
L'INCONCILIABILITÀ FRA CATTOLICESIMO E MARXISMO
Fra il 1962 e il 1965 partecipò al Concilio ecumenico Vaticano II, senza prendere mai la parola durante i lavori. L'esperienza conciliare lo indusse a valorizzare la Bibbia come strumento pastorale nell'esposizione della tradizionale teologia, a dimostrazione del fatto che la contrapposizione fra Scrittura e tradizione, allora in voga fra i teologi progressisti, era destituita di fondamento. Ingenuamente, rimase sempre convinto - o forse fu un suo illusorio auspicio - che il rinnovamento teologico promosso dal Concilio Vaticano II fosse una questione circoscritta alla pastoralità.
Respinse con fermezza l'adozione da parte dei cattolici delle metodologie di critica economica e politica propugnate dai movimenti di ispirazione marxista e si oppose pubblicamente a ogni ipotesi di «apertura a sinistra» o di rottura dello schieramento cattolico a favore dei partiti socialista o comunista in occasione delle scadenze elettorali. Nel corso degli anni Settanta, ribadì più volte l'inconciliabilità fra cattolicesimo e marxismo, in cui scorgeva un programma di radicale scristianizzazione. Come patriarca di Venezia visse le tensioni sociali e politiche (sono gli anni del referendum abrogazionista sul divorzio, 1974, e sono gli anni di piombo), che ben presto consolidarono una significativa frattura fra il Patriarca e quella parte del clero e del laicato cattolico veneziani che erano più inclini a sperimentare nuovi criteri di azione nella pastorale e nella liturgia.
Fu un estimatore del convertito Gilbert Keith Chesterton, al quale scrisse una lettera, nella quale si legge: «Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio un unico padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo processo morale, interiore e personale, esso - quel progresso - sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell'uomo, fa di lui una macchina posseduta da macchine, un numero maneggiatore di numeri» (Giovanni Paolo I (Albino Luciani), Illustrissimi. Lettere ai Grandi del passato, pp. 29-31).
Giovanni Paolo I rimase fedele al battesimo, ricevuto nella pieve di San Giovanni Battista, nel cuore delle Dolomiti, fino alla fine dei suoi giorni, quando i cattolici di tutto il mondo rimasero scossi e profondamente addolorati per quell'improvvisa e inspiegabile morte.
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