Re Artù non è solo un sovrano, ma un simbolo, un’idea che, come per altri personaggi non storici, è divenuto più reale di altri certamente esistiti.Vi propongo un gioco: facciamo finta che Artù e la sua leggenda siano come tutti noi li conosciamo e, almeno inizialmente, sospendiamo l’incredulità e proviamo a raccontarlo.Siamo nel cuore delle brume dell’antica Britannia, tra le verdi colline e i castelli in rovina, un nome risuona attraverso i secoli: quello di re Artù. La sua figura è avvolta da un alone di mistero, come il riflesso della luna su un lago notturno. Artù, il giovane re, cavalca attraverso le lande selvagge, la sua armatura scintillante sotto il sole. I suoi occhi scrutano l’orizzonte, sempre vigili, sempre pronti a difendere il suo regno. Non è solo un guerriero, ma un condottiero, un uomo che incarna la speranza e la resistenza.Le leggende narrano delle sue gesta: la spada Excalibur, la Tavola Rotonda, il Graal. Artù è un figlio del destino o un semplice mortale che si innalza al di sopra di sé stesso? Forse entrambe le cose. Forse nessuna.I suoi uomini lo chiamano “Il Re”, con rispetto e timore. Ma nei loro occhi, c’è anche ammirazione. Artù non è solo un sovrano, ma un amico, un compagno di battaglia. Le loro vite sono intrecciate, come le spire di un drago che si avvolgono attorno a un tesoro nascosto.E così, mentre il vento sibila tra le torri di Camelot, Artù cavalca verso il suo destino. Le leggende si intrecciano e il mito prende forma. Ma, come sempre, una domanda persiste: chi era davvero re Artù?
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