Capitolo III - 31 luglio del «Diario di un viaggio a piedi» del 1847 con Edward Lear

4 de nov. de 2023 · 12m 7s
Capitolo III - 31 luglio del «Diario di un viaggio a piedi» del 1847 con Edward Lear
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Questo è un viaggio, durato dal luglio al settembre del 1847, attraverso la più meridionale delle province calabresi, svolto e raccontato dal viaggiAutore inglese Edward Lear. Si lascia Bagaladi diretti...

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Questo è un viaggio, durato dal luglio al settembre del 1847, attraverso la più meridionale delle province calabresi, svolto e raccontato dal viaggiAutore inglese Edward Lear.

Si lascia Bagaladi diretti a Condofuri - Colline aspre - Ancora una volta Bova - Ancora una lunga strada - Scenari di boschi - Tratti di bellissimi panorami - Cavallette - Discesa a un’altra fiumara - Arrivo a Condofuri - Si parla la lingua greca - Casa di Don Giuseppe Tropeano - Respinti da essa - Allarme della padrona - Ritratti in un’osteria - Abbandonato l’alloggio - Spettatori “Turchi” - Antipatica ragazza ciclopica - Seguendo la nostra strada - Grande divertimento del silenzioso Ciccio - Salita ad Amendolea - Paesaggio magnifico - Faticosa salita - Paesani dalla buona natura - Finalmente raggiunta Bova - Casa di Don Antonio Marzano - Un altro ricevimento ospitale.

30 luglio

All’alba la piccola signora livornese, moglie di Don Peppino Panutti, ci aveva offerto il caffè con dell’orzata e abbondanti confetti e Don Peppino ci accompagnò giù alla fiumara; sebbene la visita fosse stata breve, ci dispiaceva lasciare questa gente così cortese.
Fra noi e Bova c’erano dei bellissimi tratti di boschetti, gruppi di delicati alberi, scoscendimenti di terreno, e non poche di queste calamitose fiumare che sapevamo molto bene essere condannati ad attraversare faticosamente prima di incominciare la salita alla città greca, perché Bova è stato detto ch’era l’ultimo resto della Magna Grecia, con altri quattro villaggi dell’area, preservando la lingua e certe abitudini degli antichi colonizzatori.
Alle undici abbiamo cominciato a scendere verso Condofuri, per viottoli che persino il solerte e compìto cavallo di Ciccio trovava difficoltosi.
Domandata a Ciccio qualcosa sulle caratteristiche del villaggio di Condofuri e dei suoi abitanti, non si poteva capire altro da lui salvo che «son turchi».
Alla fine siamo arrivati a Condofuri, un piccolo villaggio chiuso fra due colline, il torrente ai suoi piedi, e la minacciosa massa di montagne dell’alto Appennino che incombe su di esso, riuscendo a trovare la casa di Don Giuseppe Tropeano.
Ahimè! Il padrone era via alla marina, e la nostra apparizione mise la sua vecchia sorella in uno stato di allarme tale che subito percepimmo che tutte le speranze di alloggio e cena erano svanite.
Ci siamo fermati umilmente sugli scalini di casa della vecchia signora, pregandola solo di leggere la lettera che avevamo portato, ma lei no!
Lei non aveva nulla da dirci.«Sono femmina», ripeteva continuamente «sono femmina», fatto che non ci siamo mai permessi di dubitare nonostante il suo aspetto trasandato e la sua bruttezza.
«Sono femmina e non so niente».
Nessuna persuasione poteva calmarla e così siamo stati forzati a voltare le spalle.
Così pure Ciccio, che prese la sua piccola pipa dalle labbra e disse: «Sono turchi - dòghi, dà».
La più grande penitenza di questa vita errante è lo stato di esaurimento e stanchezza in cui uno arriva la sera al suo rifugio; e siccome ci si sente obbligati a dimostrare cortesia per un certo tempo con chi ci intrattiene, la lotta tra il senso di dovere e un opprimente inclinazione al sonno è molto penosa.
Questa buona gente, poi, persiste nel ritardare la cena, in maniera da prepararne una buona, fino a che sei ridotto, prima di andare a tavola, in uno stato di tormento e quasi disperazione, nella protratta lotta tra la fame, Morfeo e la civiltà.
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Autor Giuseppe Cocco
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