Il principe e l’orco
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Descripción
In tempi molto molto antichi, Shakyamuni – prima di diventare un Budda – era nato come figlio di Brahmadatta, il re di Benares. Il giorno in cui doveva essergli dato...
mostra másIl giorno in cui doveva essergli dato il nome, il re invitò ottocento saggi per un grande consulto.
Gli anziani presero il bambino, lo osservarono attentamente e dissero: «Sommo re, tuo figlio possiede tutti i segni di un grande uomo e, quando tu sarai morto, egli diventerà sovrano. Sarà il più eminente uomo della terra della Melarosa. Diventerà famoso per le sue gesta con le cinque armi».
Il re e la regina, sentendo questa predizione, decisero di chiamarlo Cinquearmi.
Il bambino crebbe sano, forte, bello e straordinariamente intelligente.
Quando ebbe sedici anni il re lo chiamò e disse: «Figlio mio caro, adesso dovrai apprendere le arti e le scienze». «Da quale maestro dovrò impararle?» chiese Cinquearmi. «Andrai nella città di Takkasila, nel regno del Gandhara – rispose il re – lì troverai il più grande di tutti i maestri».
Detto ciò gli consegnò una borsa con mille talenti dicendo: «Questo è il compenso che dovrai dargli». Poi Brahmadatta e la regina lo abbracciarono commossi e lo lasciarono andare.
Il giovane principe partì e raggiunse il suo maestro. Per mesi, mesi e mesi imparò tutte le arti e tutte le scienze e, giunto il tempo di tornare dai suoi genitori, si inchinò davanti al saggio precettore per ringraziarlo. Il vecchio lo salutò con affetto e gli fece dono di cinque meravigliose armi.
Orgoglioso del regalo, il futuro re di Benares si mise in cammino verso la casa dei suoi genitori. Era allegro e le sue mani carezzavano spesso le armi che brillavano lucenti quando i raggi del sole le colpivano.
Camminò per giorni e giorni a passo veloce, attraversando fiumi limpidi, montagne, selve e foreste meravigliose, finché non giunse in un villaggio al confine con un bosco nero e fitto.
«Non entrare in quel bosco giovane guerriero – implorarono gli abitanti del villaggio – per favore non farlo: lì abita un orco tremendo chiamato Corazza di Peli. Un essere immondo che ti mangerà sicuramente».
«Io non ho paura di nessuno – gridò Cinquearmi – e neanche di quest’orco». Il giovane era coraggioso come un leone e aveva assoluta fiducia in se stesso.
Malgrado le preghiere di tutti, si addentrò di slancio nel buio della selva: camminò in mezzo a piante così alte e impenetrabili che nemmeno i raggi del sole riuscivano a bucarne il tetto di foglie.
All’improvviso, preceduto da un rumore assordante di rami e tronchi schiacciati, apparve l’orco. Era alto come il più alto degli alberi, la testa enorme come la chioma di un cocco e gli occhi grandi come scodelle. Un becco a uncino pendeva al posto della bocca con due zanne lunghe lunghe che uscivano ai suoi lati. Il ventre era pieno di bitorzoli puzzolenti. Le palme delle mani e dei piedi erano completamente nere come il carbone. Il corpo spropositato era ricoperto da uno strato di pelacci folti e duri come liane. «Dove vai giovinetto? – gridò l’orrido essere – Fermati perché ti devo mangiare». «Orco, io sapevo quel che facevo quando sono entrato in questa foresta – gli rispose il futuro Budda senza paura – Bada a quel che fai assalendomi perché io ti ucciderò con una freccia avvelenata».
Il giovane principe prese l’arco e scagliò una freccia, ma questa si impigliò nei peli del mostro. Allora ne scagliò una seconda, una terza, una quarta e così via fino a tirarle tutte e cinquanta: niente da fare, ognuna si fermava nella corazza di peli. L’orco si scrollò facendo risuonare tutti gli alberi della selva e le frecce caddero ai suoi piedi. Fece due passi avanti verso il giovane che prese la spada lunga trentatré pollici e lo colpì: anche questa non gli fece neanche il solletico perché fu bloccata dal pelame. Allora impugnò la lancia lunga e potente e la diresse con forza verso il petto dell’orco: niente da fare ancora, la corazza villosa fermò anche la lancia.
Il giovane non si perse d’animo: «Signor Orco – disse – tu non hai mai sentito parlare di me prima d’ora: io sono il principe Cinquearmi. Quando sono entrato in questa tua foresta non ho fatto affidamento sull’arco, sulla spada e sulle frecce: mi sono affidato solo a me stesso. Ora ti ridurrò in polvere e fango». Detto questo gli affibbiò un pugno poderoso, ma la mano destra rimase impigliata nel pelo. Gliene tirò un altro con la sinistra: anche questa rimase bloccata allo stesso modo. Allora gli tirò un calcio prima col piede destro, che rimase aggrovigliato nelle setole, e poi con il sinistro che fece la stessa identica fine.
Il principe combatteva coraggiosamente: ormai gli era rimasta libera solo la testa: «Ti batterò ugualmente con la mia testa – gli urlò con voce ferma e risonante – e ti ridurrò in polvere e fango». Così dicendo gli diede un colpo terrificante con il capo, ma anche questo – purtroppo – rimase impigliato nella corazza pelosa.
Il futuro Budda, avviluppato cinque volte, attaccato in cinque punti, si dibatteva a più non posso sul corpo immane dell’orco: era imprigionato, ma nonostante tutto rimaneva impavido e indomito. Allora il mostro col becco e le zanne pensò: «Questo è un leone di uomo, è una grande persona, non è un semplice individuo: infatti – malgrado sia ormai mia preda – non ha paura di me e non trema di terrore. In tutti questi anni in cui ho terrorizzato il territorio intorno al villaggio non ho mai incontrato uno come lui: ma perché non ha paura di me?». L’orco più pensava in questo modo e più si riempiva di dubbi e perciò non osava divorarlo.
Pieno di incertezza si rivolse al principe e gli chiese: «Perché non hai paura di me? Perché non sei terrorizzato dal timore della morte che sto per darti?».
Cinquearmi – pur bloccato mani, piedi e testa nei peli – continuava a dibattersi: «Orco perché dovrei aver paura? – rispose – La morte è sicuro che arriverà prima o poi per ogni essere vivente, ma io ho dentro di me una spada di durissimo diamante che tu non potrai mai digerire e che ti taglierà tutte le viscere. Per questo non ti temo». Dicendo così il principe indicava l’arma della saggezza che egli aveva dentro di sé.
L’orco ascoltò con attenzione e pensò: «Ogni parola di questo eroe è verità. Del corpo di questo leone di uomo io non potrò digerire neanche un pezzetto di carne della grandezza di un pisello. Lo lascerò andare». Terrorizzato dalla paura della morte, liberò Cinquearmi e gli disse: «Principe, tu sei più coraggioso del re degli animali! Io non ti mangerò. Adesso tu sei libero da me come la luna si libera dalle fauci dell’eclisse. Ritorna felice dai tuoi genitori e dai tuoi amici».
Allora il futuro Budda si rivolse all’orco in questo modo: «Io me ne andrò subito, ma voglio dirti una cosa: tu, in una vita precedente, hai commesso tante azioni brutte e malvage, per questo motivo sei rinato come mostro crudele e sanguinario che si nutre della carne e del sangue degli altri esseri. Se anche in questa esistenza presente continuerai a fare così, passerai tutte le tue vite future soffrendo allo stesso modo. Però, oggi, dal momento che mi hai visto, non ti è stato più possibile fare cattive azioni».
Il principe spiegò bene alla creatura malvagia l’effetto terribile delle sue cattive azioni e gli insegnò a essere buono, a rispettare gli altri esponendogli il grande beneficio di tale comportamento.
L’orco lo ascoltò con grandissima attenzione e si trasformò in un genio della foresta: un essere che proteggeva tutte le persone e che era degno di ricevere offerte da tutti.
Il giovane riprese le sue cinque armi, salutò calorosamente il nuovo genio protettore Corazza di pelo, andò nel villaggio e raccontò tutto agli abitanti che furono felicissimi di conoscere la grande trasformazione dell’orco. Poi si diresse col cuore leggero verso Benares da suo padre e sua madre.
Dopo qualche anno il vecchio re Brahmadatta morì e Cinquearmi prese il suo posto: visse da grande saggio aiutando tutti e preoccupandosi solo della felicità dei suoi sudditi. Grazie a questa vita così bella e altruista, dopo qualche esistenza rinacque come Budda Shakyamuni.
Questa favola è tratta dal Jataka
Información
Autor | Paola Camiciottoli |
Organización | Paola Camiciottoli |
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