Il vertice di Samarcanda: cronache dall’ordine mondiale d’Oriente.

16 de sep. de 2022 · 26m 11s
Il vertice di Samarcanda: cronache dall’ordine mondiale d’Oriente.
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Un nuovo incontro del Shanghai Cooperative Organization, ma non è l’organizzazione di un blocco contrapposto monoliticamente, quello di Samarcanda potrebbe apparire epocale: per l’allargamento all’Iran (nono membro insieme a Cina,...

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Un nuovo incontro del Shanghai Cooperative Organization, ma non è l’organizzazione di un blocco contrapposto monoliticamente, quello di Samarcanda potrebbe apparire epocale: per l’allargamento all’Iran (nono membro insieme a Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan), dimostrazione dell’importanza economica dell’Organizzazione di cooperazione nata come difesa, innanzitutto sul fronte antiterrorismo religioso, che per Tehran può essere un mezzo per aggirare sanzioni e aprirsi a nuovi mercati; per il confronto del peso dei due leader principali; per le presenze – tra cui l’Afghanistan talebano in veste ufficiale; e quelle di non (ancora) appartenenti. Quello che emerge è che gli stati analoghi a quelli che nel 1955 a Bandung, nella Guerra Fredda di allora, si ritrovarono accomunati nel ruolo di “non alineati”, ora – senza aderire tutti all’Organizzazione contrapposta alla Nato – erano comunque presenti a Samarcanda.
Nella analisi di Sabrina Moles emerge innanzitutto il modo in cui l’informazione ha coperto il meeting uzbeko: esaltando Xi e citando Putin solo in pagine interne; solenne il peana per uno schieramento che è una dimostrazione di forza e di rappresentanza di poteri dell’Oriente del mondo a conduzione cinese, consociata ai russi e aperta al continente indo-pakistano, che riesce a tenere insieme le repubbliche dell’Asia centrale – nonostante le molte tensioni interstatali (in particolare al confine tra Kirghizistan e Tagikistan; per non parlare del Caucaso, dove Erdogan e Putin si fanno dispetti per procura; o di quel potere kazako salvato proprio dalle truppe russe pochi mesi fa, quando il popolo è insorto) – in un patto innanzitutto di “sicurezza” e a difesa di mercati da cui deve passare la Belt Road Initiative, lanciata proprio in Kazakhstan, il paese che sembra l’incrocio di tutte le istanze delle realtà dell’Asia centrale.
Oltre all’Iran anche l’altro socio delle spartizioni di Astana, Erdogan era presente a sancire il suo ruolo a cavallo tra un mondo e l’altro, tra l’Occidente declinante e l’Oriente che non sopporta più l’egemonia statunitense.
Tutto questo a un mese dal congresso che dovrà dare il terzo mandato al presidente Xi Jinping, che non a caso a Samarcanda – città simbolo della Via della Seta storica – ha detto: «Di fronte ai complessi scenari regionali e internazionali dobbiamo rafforzare il coordinamento sotto tutti gli aspetti, rifiutare l'unilateralismo e salvaguardare un ordine internazionale più giusto e più equo». Un discorso programmatico globalizzante.
Si è parlato anche di Ucraina e Taiwan, ma un particolare è significativo: l’allusione al “caos” che il presidente cinese ha stigmatizzato, dimostrando come sia più strategico per gli interessi cinesi mantenere clienti e mercati, mantenere una propria autonomia per essere il meno possibile scoperta a traumi esterni… quindi il messaggio potrebbe essere quello di invitare il partner a risolvere celermente il conflitto: tanto il segnale che l’egemonia americana incontrastata è stato dato e il mondo vede due schieramenti, due sistemi di Difesa, due aree di riferimento… ma un unico mercato? @moles_sabrina ci ha intessuto alcune riflessioni che possono dare un senso a ciò che si è inscenato in Uzbekistan in questi giorni e che non può venire interpretato attraverso la classica divisione occidentale in blocchi. Non è ancora venuto meno il principio multipolare caro alla dottrina cinese delle diversità, di cui la Cina sarebbe garante.
Putin alla fine ha piantato un albero, simbolico dell’inizio di un nuovo ordine mondiale spostato verso Oriente?
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Autor OGzero - Orizzonti geopolitici
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