Mettere a fuoco l'Afghanistan

17 de jul. de 2021 · 38m 11s
Mettere a fuoco l'Afghanistan
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Emanuele Giordana, Yurii Colombo, Sabrina Moles: occhiali e punti di vista diversi per orientare lo sguardo nel paesaggio afgano I russi sono ancora scottati dalla avventura sovietica in Afghanistan, quindi...

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Emanuele Giordana, Yurii Colombo, Sabrina Moles: occhiali e punti di vista diversi per orientare lo sguardo nel paesaggio afgano

I russi sono ancora scottati dalla avventura sovietica in Afghanistan, quindi hanno un approccio alla nuova fase di rimescolamento del potere nel paese centrasiatico: hanno preferito identificarsi in uno dei protagonisti clanici, i tagiki, quelli più affini a cui Mosca ha promesso appoggio militare senza coinvolgimento diretto per ottenere una sorta di cuscinetto, che allontani dai confini russi i Talebani, che già controllano il 70 per cento dei confini lungo l'Amu Darya; però Yurii Colombo ricorda come la recente guerra caucasica con gli armeni al posto dei tagiki è stata un fallimento. E anche in questo caso Putin ha cominciato a cercare una qualche intesa con i futuri presunti padroni dell'Afghanistan, che pare abbiano cercato di monetizzare con i russi la protezione dei loro alleati, dopo questo periodo di transizione durante il quale la maggior parte degli analisti si attendono una guerra civile.
E in fondo qualche forma di scontro armato facilmente si scatenerà, perché una guerra civile è richiesta dal business del traffico d’armi; ciò che è imponderabile è quanto sarà intensa, la durata e chi ne sarà coinvolto. Emanuele Giordana ci ricorda come i russi già 3 anni fa, durante l'offensiva afgana avevano rafforzato i dispositivi di difesa tagiche; l'intento è duplice e mira anche a tenere fuori dai territori delle ex repubbliche sovietiche le basi americane. Peraltro anche agli Usa fa comodo poter dire che si ritirano dall'Afghanistan, puntando a interventi dalle navi dislocate strategicamente nel territorio per controllare il fronte sud dell'ex Urss, sia in funzione antiraniana
La preparazione della guerra civile sembra avviata, visto il rafforzamento dei vecchi signori della guerra di vent'anni fa; i talebani hanno agito strategicamente attaccando le zone del Nord del paese mentre le forze governative sono dislocate maggiormente al Sud e hanno occupato i posti di frontiera senza quasi colpo ferire, controllando il transito delle merci e così facendo un'azione di propaganda, come nel caso di Spin Boldak, il valico con il Pakistan; infine il traguardo dei negoziati di Doha comporta una corsa ad arrivarci in posizione di preminenza e dunque avendo fatto azioni di forza. Si è venuto dunque a creare un garbuglio di interessi che va a detrimento soprattutto dei giovani.
Yurii tiene ad accendere un riflettore sui vari "stan" e in particolare su Uzbekistan e Turkmenistan, che non hanno alcuna intenzione di rientrare sotto l'ombrello russo, e già non sono entrati nell'alleanza. Sono neutrali; e infatti Mosca ha già cercato di sensibilizzarli al pericolo talebano. Infatti in particolare l'Uzbekistan ha già iniziato a trattare direttamente con i Talebani, ai quali – secondo Yurii – interessa per ora aprire falle e con i russi sembra ci stiano riuscendo, dopo l'invito a Mosca, le dichiarazioni e l'irritazione di Putin nei confronti del governo di Kabul.
Su questo si innesta anche il problema dei molti jihadisti coinvolti nella guerra siriana e nei tanti focolai di guerra che vedono l'utilizzo di mercenari alla ricerca di nuovi padroni; e se c'è stato uno scontro tra Talebani e militanti dell'Isis, i perdenti staranno cercando di riorganizzarsi (probabilmente in quella zona tagika che torna come luogo centrale in questa fase). E per Mosca questo è un problema molto sentito, visti gli episodi nei decenni scorsi di attentati islamisti – ceceni, ma anche ultimamente kirghizi – che hanno segnato la sensibilità alla sicurezza antijihadista di Mosca e dei suoi servizi.
I Talebani sono una forza retriva, reazionaria del paese, ma sono anche sottomessi al consenso nel paese, oggi: sanno di non avere popolarità, se non derivante dall'errata gestione di questi vent'anni di occupazione e di bombardamenti ed eccidi, perché il periodo del regime talebano furono di fame e stenti, oltreché di mancanza di diritti. E gli afgani non vogliono tornarci, perciò Emanuele Giordana si dichiara fiducioso nella pressione della cittadinanza per evitare la continuazione di 40 anni ininterrotti di guerra e che l'unica strada è l'accordo di tutti gli afgani e si possono rilevare come passi in questa direzione una maggiore tolleranza da parte talebana del rispetto dei diritti delel donne persino nelle zone da loro controllate, o l'apertura ad altre etnie diverse da quella pashtun. Ed è proprio la rottura di questa cappa clanica a poter rappresentare quel poco di buono che hanno rappresentato questi vent'anni di occupazione militare, se si immagina cosa ha potuto rappresentare in termini di contaminazione culturale il contatto instauratosi tra le genti che hanno attraversato il territorio.
La questione imperiale vede a seconda dell'approccio con occhiali moscoviti, han o dalla realtà afgana, impressioni che si differenziano molto: dalla considerazione russa che aveva secondo Yurii Colombo scarso interesse imperiale per il territorio afgano rispetto al Great Game dell'impero britannico o della grande partita della Guerra Fredda e la Cina stessa si andrebbe a posizionare su ancora altre forme di interesse.
Perciò nella discussione si inserisce Sabrina Moles, che riconosce come l'Afghanistan sia stato coinvolto nella Belt Road Initiative solo tangenzialmente, proprio perché considerato instabile. La Cina ha preferito avvicinare il Pakistan che ora è un alleato particolare nella regione, di cui interessa nella logica cinese una stabilizzazione per poter fare affari. L'altro aspetto interessante è che il corridoio afgano condiviso con il territorio cinese si affaccia sulle estreme propaggini dello Xinjiang, territori a ovest del Taklimakan, di grandi mercati interetnici... nazione uygura, con cui anche i Talebani sono stati coinvolti.
La provocazione di Emanuele Giordana a proposito dei cinesi è un augurio che davvero decidano di occuparsi dell'area afgana e in buona misura lo hanno già fatto con dei contratti capestro, accaparrandosi miniere e che può contrapporsi a tutti gli altri protagonisti, rispetto ai quali ha una sostanziale differenza: non prediligono la guerra come via militare al controllo del territorio; poi non hanno remore a trattare con chi detiene il potere, chiunque egli sia. Persino i Talebani.
Yurii è perplesso riguardo alla possibilità che si possa arrivare a una reale alleanza tra Russia e Cina, venuta meno negli scontri tra le due potenze comuniste degli anni Sessanta. Anche Sabrina concorda, seppure proprio riguardo al rapporto con gli "stan" si può individuare una sorta di organismo di sicurezza accomunante Mosca e Pechino, solo che attraverso la Shanghai Cooperation Organisation la Cina tende a essere egemone con i semplici fini di controllo dei confini e di estensione degli affari.
Un ultimo aspetto riprende il ruolo specifico del Pakistan nel contesto afgano che Sabrina conferma esistere realmente come collaborazione con Pechino, benché Islamabad abbia proprio in questi giorni convulsi dialogato riguardo alla Bri sul confine afgano con entità non istituzionali; l'interesse deriva anche dall'ingombrante presenza dell'India e dall'importanza del corridoio sino-pachistano con interessi per 62 miliardi
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Autor OGzero - Orizzonti geopolitici
Organización OGzero - Orizzonti geopolitici
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