Puntata 18 - Il mio odiamato Poeta, e la Poesia che ti cambia la vita...
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Ho passato anni a odiamare, amodiare, non so in quale modo altro descrivere il mio sentimento, Giacomo Leopardi. Forse perché mi sono lasciato anche io ingannare dal ritratto di, diciamocelo,...
mostra másForse perché mi sono lasciato anche io ingannare dal ritratto di, diciamocelo, sfigato, che gli hanno costruito attorno. Ma forse anche perché non lo avevo compreso sino a fondo, né sono sicuro di averlo compreso totalmente ora.
Di sicuro però una cosa l'ho capita: è profondamente ingiusto che non sia annoverato oltre che fra gli scrittori più illustri d'Italia e del mondo anche tra i migliori filosofi.
Perché, per essere schietti, Giacomo Leopardi la testa la usava eccome. Magari anche troppo, e per questo anziché seguire solo il suo istinto, così sensibile, portato all'affetto e propenso alla compassione, si è lasciato sopraffare dalla ragione, almeno letterariamente, regalando ingiustamente ai suoi contemporanei l'immagine di un ragazzo triste e preoccupato.
In realtà Giacomo, voglio chiamarlo così, come se fosse un amico, un coetaneo, visto che ormai non sono molti gli anni che mi separano dall'età della sua morte, dicevo, Giacomo aveva un sottilissimo e assai pungente senso dello humour, che si riscòntra specialmente nelle sue operette morali. Per citarvene una, io ho adorato il “Dialogo di un folletto e di uno gnomo”.
Vi consiglio assolutamente di ripescarvelo, e mi riprometto di metterlo in scena insieme ad altri dialoghi se trovassi un produttore capace di comprendere l'operazione.
In essa si narra di un folletto e uno gnomo appunto, i quali si incontrano dopo l'estinzione dell'intero genere umano: mentre lo gnomo sembra preoccupato che non si trovino più giornali con i quali aggiornarsi su ciò che avviene nel mondo, il folletto lo sbeffeggia, cercando di persuaderlo che ormai, senza gli uomini sulla terra, non c'è più nulla su cui aggiornarsi specie perché grazie alla scomparsa degli umani non ci sono più guerre. Lo gnomo allora, compresa la novità, dichiara che gli piacerebbe se uno o due umani risuscitassero solo per notare come tutto il mondo vada avanti anche senza il genere umano, a differenza della loro presunzione che il mondo fosse “fatto e mantenuto per lor soli”.
Ma il lascito per me più importante di Giacomo è certamente “La ginestra”.
Quando dico “più importante per me”, non intendo che a mio parere sia la più importante, non ho né competenze né titoli per dirlo, ammesso che qualcuno li abbia, ma intendo proprio che questa poesia mi ha cambiato, mi ha portato a crescere e la porto nel profondo.
Anche se non condivido in toto la premessa, e cioè che la natura sia matrigna per gli uomini, concetto da cui deriva il pessimismo di Leopardi, mi ha colpito la conclusione alla quale, quasi congedandosi dai suoi lettori, giunge Giacomo. Egli infatti reputa che sia importante prendere atto dell'infelicità dell'uomo, ma non per diventarne vittime, bensì perché, supportandoci l'uno con l'altro, cerchiamo di alleviare le sofferenze che la natura matrigna, dalla nascita alla morte, ci ha assegnato. A ispirargli questa riflessione è un'umile ginestra sulle pendici di un vulcano: questa infatti, nonostante la rovina derivante dall'eruzione sia costantemente dietro l'angolo, non si illude su improbabili futuri, né tanto meno si piega vilmente davanti al destino che incombe.
Per questo motivo, io ho sempre percepito “La ginestra, o il fiore del deserto” anche come un inno a vivere nel presente.
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Autor | Mamù - Mattia Murgia |
Organización | Mamù - Mattia Murgia |
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