Puntata 2 - Come rialzarsi dalle cadute...
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Ben trovati! Nella scorsa puntata abbiamo parlato del Poeta Giuseppe Parini, e oggi vorremmo presentarvi un'altra delle sue composizioni. Parini fu un grande Italiano, che cercò di unire alla bellezza...
mostra másNella scorsa puntata abbiamo parlato del Poeta Giuseppe Parini, e oggi vorremmo presentarvi un'altra delle sue composizioni.
Parini fu un grande Italiano, che cercò di unire alla bellezza e alla poesia interventi critici e proposta sociale. Grazie all'Accademia dei Trasformati infatti era entrato a contatto con la cultura illuministica che nel Settecento si stava diffondendo in tutta Europa.
Egli fu un esempio di altissima moralità, capace di tenere sempre la schiena dritta ed ebbe sempre un grandissimo senso di dignità e coerenza nonostante le difficoltà economiche e, più tardi, politiche, che lo accompagnarono sino alla fine della vita.
Testimone della sua etica è l'Ode “La caduta”, in cui narra, ormai anziano, di essere inciampato e caduto e di aver ricevuto soccorso da un passante, il quale, riconosciuto il poeta, si sorprende di vederlo girare a piedi anziché in carrozza come i ricchi. Il passante sottolinea i meriti di un poeta così grande e si stupisce che a tali capacità non corrisponda altrettanta ricchezza, e pertanto consiglia a Parini i modi per ottenere maggior fortuna, ovvero l'adulazione dei potenti, anche a costo di rinunciare alla propria dignità. Parini tuttavia reagisce rifiutando tali consigli, e riaffermando la propria dignità e i propri ideali.
L'ode in questione inizia introducendo il momento del giorno, cioè la sera, e la stagione, cioè l'inverno, in cui la costellazione di Orione scende verso l'orizzonte, portando sulla terra, al buio, nevi e ghiaccio. In questa circostanza, già di suo poco favorevole, il poeta va tra il fango e le carrozze che gli passano a fianco furiosamente, e spesso cade inciampando su un sasso o scivolando. Il bambino ride; e commosso gli si gonfiano gli occhi di pianto non appena si accorge che il poeta si è ferito, cadendo, al gomito, alle ginocchia, o al mento. Uno accorre dicendo “oh poeta infelice e degno di un destino meno crudele!”, e continuando a parlare lo prende al fianco e lo aiuta a sollevarsi, raccogliendo il cappello sporco e il bastone, evidentemente inutile nel prevenire le cadute. Il passante continua a parlare, dicendo che la città, ricca di denaro, lo loda definendolo ovunque “sublime cigno”, e lo incita a finire il poemetto Il Giorno, per cui era già famoso. Ma, continua il passante, nonostante questo, un poeta così importante continua a trascinarsi per la città pur debole e zoppo, senza che i suoi componimenti gli permettano di avere una carrozza che lo protegga dalle intemperie. Gli suggerisce pertanto, dal momento che non ha parenti, amanti o ville per ricambiare eventuali favori, di prostrarsi dinnanzi ai potenti, lamentandosi. Oppure di essere un parassita come altri che creano barzellette e pettegolezzi per il divertimento degli amici dei potenti, che li potranno poi presentare a essi. O ancora, di dedicarsi alla politica, inventando nuove tasse, confondere la situazione e sottrarre con imbrogli denaro pubblico. Per concludere il passante gli chiede, quasi sprezzantemente, chi mai potrebbe guarire la sua mente illusa dalla Musa della poesia.
Il poeta, a questo punto, narra di come la sua ira, già troppo repressa sino a quel punto, irrompendo dal più profondo del petto rompe gli argini del controllo e chiede al passante chi sia, lui che, mentre gli sostiene il corpo, cerca di buttare il suo animo a terra. Gli dice che è un umano, ma non è giusto.
Il poeta spiega infatti che il buon cittadino dirige il suo ingegno alla meta verso cui lo hanno indirizzato la sua indole e la sua formazione, in modo che la patria lo stimi. Quando poi, vecchio, lo incalza il bisogno, il buon cittadino chiede aiuto in modo opportuno e modesto con un atteggiamento dignitoso, che rivela l'anima. E se gli uomini duri gli voltano le spalle, egli si fa scudo e corazza della sua coerenza contro i mali, e non si umilia spinto dal dolore, né si innalza per orgoglio. E dicendo ciò, il poeta lascia il passante che ancora lo stava sorreggendo e se ne va.
Così, grato per i soccorsi, disprezza il consiglio, e privo di rimorsi, torna alla sua casa con il piede insicuro.
La caduta
Quando Orïon dal cielo
Declinando imperversa;
E pioggia e nevi e gelo
Sopra la terra ottenebrata versa,
Me spinto ne la iniqua
Stagione, infermo il piede,
Tra il fango e tra l’obliqua
Furia de’ carri la città gir vede;
E per avverso sasso
Mal fra gli altri sorgente,
O per lubrico passo
Lungo il cammino stramazzar sovente.
Ride il fanciullo; e gli occhi
Tosto gonfia commosso,
Che il cubito o i ginocchi
Me scorge o il mento dal cader percosso.
Altri accorre; e: oh infelice
E di men crudo fato
Degno vate! mi dice;
E seguendo il parlar, cinge il mio lato
Con la pietosa mano;
E di terra mi toglie;
E il cappel lordo e il vano
Baston dispersi ne la via raccoglie:
Te ricca di comune
Censo la patria loda;
Te sublime, te immune
Cigno da tempo che il tuo nome roda
Chiama gridando intorno;
E te molesta incita
Di poner fine al Giorno,
Per cui cercato a lo stranier ti addita.
Ed ecco il debil fianco
Per anni e per natura
Vai nel suolo pur anco
Fra il danno strascinando e la paura:
Né il sì lodato verso
Vile cocchio ti appresta,
Che te salvi a traverso
De’ trivii dal furor de la tempesta.
Sdegnosa anima! prendi
Prendi novo consiglio,
Se il già canuto intendi
Capo sottrarre a più fatal periglio.
Congiunti tu non hai,
Non amiche, non ville,
Che te far possan mai
Nell’urna del favor preporre a mille.
Dunque per l’erte scale
Arrampica qual puoi;
E fa gli atrii e le sale
Ogni giorno ulular de’ pianti tuoi.
O non cessar di porte
Fra lo stuol de’ clienti,
Abbracciando le porte
De gl’imi, che comandano ai potenti;
E lor mercé penetra
Ne’ recessi de’ grandi;
E sopra la lor tetra
Noja le facezie e le novelle spandi.
O, se tu sai, più astuto
I cupi sentier trova
Colà dove nel muto
Aere il destin de’ popoli si cova;
E fingendo nova esca
Al pubblico guadagno,
L’onda sommovi, e pesca
Insidioso nel turbato stagno.
Ma chi giammai potrìa
Guarir tua mente illusa,
O trar per altra via
Te ostinato amator de la tua Musa?
Lasciala: o, pari a vile
Mima, il pudore insulti,
Dilettando scurrile
I bassi genj dietro al fasto occulti.
Mia bile, al fin costretta,
Già troppo, dal profondo
Petto rompendo, getta
Impetuosa gli argini; e rispondo:
Chi sei tu, che sostenti
A me questo vetusto
Pondo, e l’animo tenti
Prostrarmi a terra? Umano sei, non giusto.
Buon cittadino, al segno
Dove natura e i primi
Casi ordinàr, lo ingegno
Guida così, che lui la patria estimi.
Quando poi d’età carco
Il bisogno lo stringe,
Chiede opportuno e parco
Con fronte liberal, che l’alma pinge.
E se i duri mortali
A lui voltano il tergo,
Ei si fa, contro ai mali,
Della costanza sua scudo ed usbergo.
Né si abbassa per duolo,
Né s’alza per orgoglio.
E ciò dicendo, solo
Lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.
Così, grato ai soccorsi,
Ho il consiglio a dispetto;
E privo di rimorsi,
Col dubitante piè torno al mio tetto.
Información
Autor | Mamù - Mattia Murgia |
Organización | Mamù - Mattia Murgia |
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