V - Le prime quattro stagioni di Littoria da «TERRA NUOVA - Prima Cronaca dell’Agro Pontino» di Corrado Alvaro

11 de ene. de 2024 · 19m 43s
V - Le prime quattro stagioni di Littoria da «TERRA NUOVA - Prima Cronaca dell’Agro Pontino» di Corrado Alvaro
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Proprio un anno fa, vidi la vigilia della vita di Littoria. Era il giorno precedente la visita e il discorso del Duce. Si arrivò in una piazza ancora non lastricata...

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Proprio un anno fa, vidi la vigilia della vita di Littoria.
Era il giorno precedente la visita e il discorso del Duce.
Si arrivò in una piazza ancora non lastricata in cui affondavano il terreno nuovo i carri carichi di materiale; a molti edifici mancavano porte e finestre, la tinta delle facciate era ancora umida, la chiesa e le scuole erano nascoste sotto le impalcature.
Tutto dava l'impressione della rapidità con cui si compone uno scenario di teatro in un breve intervallo.
La notte lavoravano sotto la luce dei riflettori.
Poi cominciò la vita.
La prima sera, a un'ora di notte, rintoccò la campana della chiesa, la prima campana che abbia mai risuonato in quella antica solitudine, lacerandola col suo richiamo che faceva pensare agli uomini nelle loro case, ai lontani, al riposo dopo il lavoro comune, ai loro improvvisi pensieri di preghiera e d'infanzia.
Molti, nel periodo intermedio della vita di Littoria, non sanno o non immaginano quasi nulla, e vale la pena di riferirne qualche tratto.
La fama di questa contrada, mentre agli occhi del mondo è il segno di uno sforzo totale del Fascismo, crebbe, nel popolo lavoratore, come un nome magico, ha acquistato lo stesso prestigio dei luoghi che attorno brillarono alla fantasia popolare nella storia dell'immigrazione, Suez, America, Australia; Littoria.
A un anno di distanza le automobili che vengono da Roma, o quelle dei visitatori ogni parte d'Italia e dell'estero, scivolano sulla superficie lucida dell'asfalto della piazza, e questo ambiente della piazza, dove gli attori protagonisti sono in costume rustico da campagna, ricorda in date ore l'attesa delle macchine fuori dei teatri delle serate di prima rappresentazione.
Quegli angoli, archi, passaggi, portici, volte, che io avevo veduto un anno fa come una scenografia vuota tra la folla degli operai, sono occupati dagli uomini con la loro vita quotidiana, i loro passioni, i loro bisogni, i loro discorsi.
I tre fasci di bronzo giganteschi sulle soglie della Posta sono ossidati dalle stagioni trascorse e sono appena quattro: un uomo che vi si è fermato ad aspettare un appuntamento vi ha ritrovato la colonna della sua Padova o della sua Ferrara.
Tra una porta e l'altra della posta v’è un uomo col suo fardello che aspetta.
Più in là, nella vetrina di un meccanico, splende il primo sogno del lusso: un’Ardita, mentre sotto il padiglione di stile razionale approdano le macchine e le biciclette.
L'albergo ha messo davanti alla porta quattro sedie di vimini, dei clienti; il portiere è in uniforme dietro la porta; il cameriere in frac sta sgombrando una tavola e dà l'impressione di un cameriere di transatlantico, perché intorno tutto è vario e mobile come il mare, tutto è ancora viaggio verso il destino, ed egli è fermo in quella uniforme.
L'albergo è gelido, ma il cameriere è in frac.
Guardo queste cose di un altro mondo, e penso alla civiltà, presente ovunque vi siano uomini.
Una radio dice con voce insinuante le cose del mondo, le dice al caffè fumoso e affollato, alla signora che sta alla cassa col cappello in testa come se arrivasse proprio ora: il suo vociare si mescola con questo parlare.
Una di queste sere ascoltavo quella voce della radio, e guardavo le languidezze delle dive sulle tabelle delle fotografie.
La vita civile favoleggiava il rumoreggiare lontano; qui era la terra e le sue prime necessità, l'uomo e i suoi bisogni primi.
Quella voce solitaria parlava quasi di una favola: l'arte.
Forse uno di questi bambini che hanno veduto con gli occhi dell'infanzia questa epopea terriera, domani sarà un artista.
La mattina seguente, all'alba, la radio era muta.
I portici della piazza erano pieni di gente, uomini e ragazzi; era domenica.
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Autor Giuseppe Cocco
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