5 DIC. 2021 · Lufti Elvan ha chiesto di essere sospeso dall'incarico di ministro delle finanze turco che copriva da un anno esatto, dopo aver sostituito nel consueto balletto un po' ridicolo di parenti e oligarchi tipico del regime di Erdoğan. Il presidente gliel'ha concesso, cacciandolo come era nell'aria da qualche giorno perché non allineato alla surreale politica monetaria di Erdoğan che non vuole svalutare la lira in caduta libera (da quando è al potere Erdoğan ha perso il 75% del suo valore) e pretende al contempo di contenere un'inflazione a doppia cifra, mantenendo i tassi di interesse bassi, spiegando che anche nel Corano è specificata questa prassi come commendevole: la convinzione sunnita che gli interessi bancari siano contrari alla religione.
Ovvio che questo dilettantismo economico ha prodotto aumento dei prezzi, taglio del potere d'acquisto interno e malumori, che il populismo presidenziale cerca ancora una volta di attribuire a complotti stranieri, svendendo il patrimonio pubblico ai primi offerenti (Emirati, Qatar, Cina); punta sulla vendita di armi e droni (del genero) e di altri manufatti da piazzare sul mercato accogliendo con favore proprio il crollo del valore della lira senza considerare minimamente la compressione del mercato interno. Il problema però potrebbe affacciarsi nel momento in cui l'embargo di prodotti militari impedisce l'assemblaggio di ordigni da rivendere.
Murat Cinar ritiene che la conduzione schizofrenica dell'economia turca sia ascrivibile alla disperata situazione del regime di Ankara, che annaspa; probabilmente ha ragione, visto che il controllo di tutti i poteri – magistratura innanzitutto – non è sufficiente e allora(durante un comizio in cui Erdoğan ribadisce la base religiosa della sua scelta ideologica di mantenere bassi i tassi) spuntano provvidenziali attentati disinnescati prima che la scientifica possa fare rilievi che portino ai responsabili di una carica esplosiva disinnescata dai Servizi.
La manovra disperata di Erdoğan converge sull'adesione già presente nei suoi cromosomi di adottare visioni confessionali per suffragare con echi della religione sunnita scelte che il sistema capitalistico non riesce a sostenere... e che i leader dei Fratelli musulmani (fazione da sempre ispiratrice per il presidente turco) si trovano pronti a sostenere, riconoscendovi come unico sbocco una sorta di shar'ia light, come si evince dalle ultime esternazioni di Erdoğan, che è l'ovvia conseguenza di tutte le scelte politico-ideologiche volte a rendere ancora più fodamentalista la società, coccolando un elettorato patriarcale, sessista, omo-transfobico, unica che può – insieme alle comunità religiose – assicurare la vittoria alle elezioni sempre più vicine.
Con il consueto sarcasmo e l'intelligente ricostruzione delle trame, anche astute (per quanto obbligate per il presidente), Murat inanella economia, commistione ideologica tra capitalismo e religione, nazionalismo e affarismo in un flusso di collegamenti che in 51 minuti affrescano il quadro della Turchia a partire dalla curiosa conduzione economica di Ankara, privilegiando l'analisi in chiave speculativa e finanziaria, dove la corruzione e lo spaccio di armi non consentono di sostenere un paese privo di risorse energetiche che deve andarsi a procurare con dispendiose guerre, ormai non più sostenute nemmeno dai nazionalisti malati di ottomanesimo e animati dal sacro fuoco del sostegno ai fratelli musulmani in difficoltà all'altro capo del mondo (o in Rojava). E se non si considera nemmeno il potere di acquisto come potenziale risorsa per innescare un consumo interno, significa che l'unico intento è mantenere una bolla speculativa, sperando che scoppi dopo le elezioni.