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La chiamano "dolce morte", ma in realtà è l'uccisione di innocenti
16 ABR. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7757
EVITARE L'EUTANASIA PER GLI ANIMALI, MA NON PER LE PERSONE di Fabio Piemonte
Ha 5 anni la cagnolina Mila e se ne sta tutto il giorno con il muso a terra, triste, in un canile di Los Angeles. Caduta in depressione era stata condannata all'eutanasia ma, grazie all'impegno e alla sensibilizzazione sui social della stessa volontaria del canile Lorrena, è stata sottratta a tale triste sorte. Lorenna infatti l'ha presa in affido temporaneo e portata a casa sua, le sta curando un'infezione all'orecchio con l'antibiotico e Mila ha presto ripreso a scodinzolare e correre felice. I video condivisi da Lorenna sui social hanno commosso tante persone e dai commenti si evince che diverse persone si sono rese disponibili per adottare Mila.
Certamente se da un lato è bello vedere come una società civile si mobiliti per salvare un cane “depresso” dall'eutanasia; dall'altro è decisamente triste vedere come non ci si muova allo stesso modo quando si tratta di essere umani. E in effetti all'annuncio (che è in realtà un grido d'aiuto) della ventottenne olandese depressa Zoraya, alla quale dovrebbe esser concessa a breve (tra maggio e giugno) l'eutanasia dietro sua esplicita richiesta, non c'è stata alcuna levata di scudi da parte dell'opinione pubblica per difenderne la dignità e supportarla attraverso un'autentica compassione per aiutarla a superare questo difficile momento che sta attraversando.
Insomma se da una parte si è opportunamente docili all'indignazione nei confronti degli animali quando vessano in condizioni degradanti, dall'altra non ci si sdegna parimenti né si combatte, come invece sarebbe doveroso, per difendere e promuovere la dignità dell'uomo, a maggior ragione quando viene a trovarsi in condizioni di particolare fragilità quali sono quelle di un figlio nel grembo materno, di un giovane depresso o di un anziano. È questo chiaramente un altro segno lampante del “mondo alla rovescia” nel quale stiamo vivendo.
Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "In Olanda basta la tristezza per scegliere l'eutanasia" racconta perché a 28 anni Zoraya ha programmato di farla finita a maggio. Il motivo? Troppo depressa, anche per il suo psichiatra. Da ultima risorsa il suicidio diventa un'opzione normale, purché a norma di protocollo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 11 aprile 2024:
Una scelta triste nata da una vita triste. L'olandese Zoraya ter Beek, 28 anni, ha deciso che morirà a maggio. Non ha un tumore allo stadio terminale, non soffre di patologie neurodegenerative come la Sla, ma è depressa, triste fino alla morte. Una depressione che va a braccetto con tratti di autismo e con un disturbo borderline di personalità. Innamorata del suo ragazzo, una bella casa, due gatti, ma niente di tutto questo le è bastato per riempire un vuoto che è talmente vuoto da non avere nome.
Ne ha parlato con The Free Press. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Quando il suo psichiatra le disse: «non c'è più niente che possiamo fare per te. Non migliorerà mai». L'eutanasia della speranza clinica, del codice deontologico ed anche della ricerca scientifica che guarda al futuro. Una medicina arrendevole. Zoraya ha tatuato un albero della vita capovolto: «Sta perdendo le foglie, sta morendo - ha detto - Non vedo [la mia morte] come la partenza della mia anima, ma più come la liberazione di me stessa dalla vita». Il corpo come carcere dell'anima.
Morirà a casa sua: «Nella maggior parte dei casi c'è prima una tazza di caffè a calmare i nervi e a creare un'atmosfera soft. Poi [la dottoressa] mi chiederà se sono pronta. Prenderò posto sul divano. Mi chiederà ancora una volta se sono sicura, avvierà la procedura e mi augurerà buon viaggio. O, nel mio caso, un bel pisolino». Notare la narrazione suadente per occultare la tragedia e la gravità della scelta: la dottoressa che come una mamma canta una ninna nanna per un sonno eterno dandole la medicina che spegnerà ogni suo dolore perché spegnerà la sua vita; l'ambientazione soft quasi che la ragazza fosse sdraiata sul divano per un massaggio; la casa come luogo degli affetti - morirà infatti con accanto il suo ragazzo e i gatti. Nulla fa pensare ad un omicidio. Ma in realtà è proprio un omicidio.
La ragazza ha aggiunto: «Ho un po' paura di morire, perché è l'ultima incognita. Non sappiamo davvero cosa accadrà dopo, oppure non c'è niente? Questa è la parte che mi spaventa». Pensate, esistono psicologi cattolici che anche con i pazienti non credenti fortemente tentati dal suicidio, come ultima carta, si giocano la seguente: “E se la Chiesa avesse ragione sui suicidi quando dice che togliersi la vita può essere peccato mortale che porta all'inferno? In questo caso tu ti uccideresti per non soffrire più, ma potresti ottenere l'effetto opposto. Infatti potresti passere da un inferno ad uno ben peggiore e che non avrà mai fine”. Per qualcuno questo discorsetto si è rivelato un buon deterrente.
Una volta morta, un Comitato di revisione valuterà che il decesso della ragazza sia avvenuto rispettando il protocollo in vigore nei Paesi Bassi. Le condizioni fondamentali per l'accesso all'eutanasia sono che la scelta di morire sia libera e che la sofferenza della persona sia insopportabile e senza prospettive di miglioramento. Sofferenze anche solo psicologiche, come nel caso di Zoraya. L'unico criterio morale rimasto nell'eutanasia è la burocrazia.
L'omicidio legale di una persona depressa è l'esito di alcune premesse di carattere ideologico-culturale. La prima: l'idea che la qualità della vita prevalga sulla dignità della persona. Se la prima può peggiorare, la seconda conserva la sua preziosità sempre, al di là di patologie, infermità e sofferenze. La seconda premessa: l'idea che la libertà personale è il riferimento ultimo nelle scelte morali. Un'idea che in questo caso mostra tutta la sua vacuità: una persona depressa, con tratti autistici e con personalità borderline quanto è libera? Ha scelto Zoraya o la sua depressione? Sotto tortura del dolore e del male di vivere non si è liberi. Terza premessa: il piano inclinato. Theo Boer, professore di etica sanitaria presso l'Università teologica protestante di Groningen, ha fatto parte per un decennio di un comitato di revisione dell'eutanasia nei Paesi Bassi. «In quegli anni - ha dichiarato - ho visto la pratica olandese dell'eutanasia evolversi da morte come ultima risorsa a morte come opzione predefinita». Alla fine ha lasciato l'incarico. La morte cessa di essere un male da evitare, eccetto in casi eccezionali. L'eccezione, come si dice, diventa regola e così rimanere in vita o darsi la morte sono entrambe scelte buone.
Preghiamo perché quell'albero capovolto tatuato sul braccio di Zoraya possa comunque, seppur all'ultimo momento, rifiorire.
1 NOV. 2023 · VIDEO: L'eutanasia di Hitler ➜ http://www.youtube.com/watch?v=Bk-Wm588S1M
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2536
PER RISPARMIARE UN MILIARDO DI STERLINE L'ANNO, L'INGHILTERRA DECIDE DI DECIMARE GLI ANZIANI di Elisabetta Del Soldato
Il sistema Sanitario nazionale della Gran Bretagna sta facendo i conti con la recessione e i primi a rimetterci sono i più vunerabili: gli anziani, i malati terminali, le persone dichiarate morte ancor prima che lo siano, perché cercare di salvarle o di farle stare meglio costa troppo. Qualche giorno fa uno dei sottosegretari alla Sanità, il liberaldemocratico Norman Lamb, non ha esitato a invitare i medici di base a compilare una lista dei loro pazienti che potrebbero morire entro un anno. Una volta identificati, i malati terminali saranno chiamati a un incontro col medico che gli chiederà dove preferiscono morire e se vogliono scrivere o dettare un testamento biologico in cui danno il permesso ai medici di sospendere medicinali e nutrizione quando si annuncerà la fine.
Lamb, che ha annunciato il progetto del governo a una recente conferenza sul fine vita, ha detto di aspettarsi che per ogni medico almeno un paziente su cento entri nella lista dei 'terminabili'. I motivi sono molto pragmatici: «Un quarto dei letti negli ospedali sono occupati da malati terminali – ha spiegato –, e tra loro quattro su dieci non richiedono cure mediche. Se queste persone fossero ammesse una volta in meno al pronto soccorso la Sanità risparmierebbe un miliardo e 350 milioni di sterline l'anno», circa un miliardo e mezzo di euro.
L'esponente del governo conservatoreliberale non ha specificato quale sarà il destino dei malati finiti in quella che vari giornali britannici hanno ribattezzato «lista della morte». Ma è molto probabile che saranno destinati al «Liverpool Care Pathway», un protocollo adottato per la prima volta negli anni Novanta in un ospedale della città portuale, e che dal 2004, dopo essere stato raccomandato dal National Institute for Health and Clinical Excellence, è diventato pratica comune nelle istituzioni sanitarie del Regno. Sulla carta «Lcp» si presenta come un programma di fine vita per rendere l'ultimo periodo di un paziente più tollerabile, nel Paese che è culla delle cure palliative. In realtà il protocollo ha finito col tradursi anche nella sospensione di cure e nutrizione e nella somministrazione di forti sedativi a persone classificate «vicine alla morte».
Ogni anno il sistema sanitario nazionale registra 450mila decessi nelle sue strutture; di questi, 130 mila sono di persone sottoposte al «Lcp» in modo proprio o improprio. Il Ministero della Sanità, dopo le molteplici controversie sollevate dal programma, ha più volte tenuto a ribadire che il Liverpool Care Pathweay non è equiparabile all'eutanasia, che i pazienti che vi sono sottoposti vengono monitorati e possono essere tolti dal protocollo se mostrano un miglioramento. Ma negli ultimi mesi sono fioccate sempre più insistenti e numerose le denunce di famiglie che accusano i medici di aver introdotto i loro cari nel programma quando in realtà questi non stavano affatto morendo e di averne accelerato il decesso a causa della sospensione di cure e nutrizione.
Mary Cooper, 79 anni, uno dei tanti esempi, è morta in giugno pochi giorni dopo il ricovero al Queen Elizabeth Hospital di King's Lynn, nel Norfolk. La sua famiglia sostiene di non essere mai stata avvisata del fatto che la donna fosse stata inserita nel programma.
«Ci hanno informati – denuncia il marito – quando ormai per Mary era troppo tardi».
L'ospedale dice di aver discusso la questione con la famiglia e che questa era d'accordo.
Ma secondo la figlia l'ospedale non è mai stato chiaro: «I medici ci hanno detto che l'avrebbero aiutata a sentire meno dolore possibile, ma non ci hanno spiegato esattamente quello che avrebbero fatto».
La settimana scorsa un uomo la cui madre è morta dopo essere stata sottoposta per trenta ore al Lcp al Western General Hospital di Edinburgo ha chiesto alla polizia di investigare. Paul Tulloch è convinto che la madre Jean di 83 anni potesse sopravvivere e sostiene di essere stato ignorato dai medici quando ha chiesto che venisse ritirata dal protocollo.
L'anno scorso un rapporto del Royal College of Physicians ha rivelato che nel 4% dei casi i familiari non vengono informati della decisione di sottoporre un paziente al Lcp. E ora anche l'autorevole oncologo Mark Glaser condanna il Liverpool Care Pathway dicendo che si tratta di «un sistema corrotto e scandaloso che serve solo per liberare i letti degli ospedali occupati dagli anziani e per raggiungere obiettivi premiati con più soldi».
Nota di BastaBugie: Nell'ottobre del 1939 iniziò l'Aktion T4, con cui furono soppresse in maniera sistematica oltre 70.000 persone ("disinfettate", secondo la macabra terminologia amministrativo-contabile del programma tedesco). Ecco il testo: "Viene conferita la responsabilità di estendere la competenza di taluni medici, designati per nome, cosicché ai pazienti che, sulla base di un giudizio umano, sono considerati incurabili possa essere concessa una morte pietosa dopo una diagnosi approfondita". Ordine al capo del Reich Boulher e al Dott. Karl Brandt. Firmato: Hitler.
Nel seguente video viene ricordata la figura del Beato Von Galen, vescovo e cardinale. Memorabili i suoi interventi contro l'eutanasia sistematica di malati psichiatrici e handicappati. In questo filmato si ricordano le omelie del vescovo, la solidarietà dei cattolici della diocesi, la furia nazista, l'ordine di Hitler di eliminarlo a guerra conclusa, la solidarietà di Papa Pio XII verso il vescovo Von Galen che lo crea cardinale, la beatificazione da parte di Papa Benedetto XVI.
24 OCT. 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7582
GIUDICE INGLESE DECIDE LA MORTE DI UNA BIMBA DI 7 MESI CONTRO LA VOLONTA' DEI GENITORI di Manuela Antonacci
«Con il cuore pesante sono giunto alla conclusione che gli svantaggi di cure cosi invasive non giustificano i benefici di queste stesse cure». Con questa "sentenza", nel vero senso della parola, il giudice dell'Alta Corte britannica, Justice Peel, ha deciso che è "nel migliore interesse" di Indi Gregory, una neonata di sette mesi, affetta da una malattia rara del Dna mitocondriale, staccare i supporti vitali che permettono alla piccola di continuare a vivere. La piccola è ricoverata al Queen's Medical Centre di Nottingham I genitori di Indi, Claire Staniforth e Dean Gregory del Derbyshire, sono sostenuti dall'associazione Christian Concern, per i diritti umani, il cui braccio legale, il Christian Legal Center sta assistendo nel tentativo di ricorrere in appello.
La decisione dell'Alta Corte è stata presa in seguito all'udienza privata che il Nottingham University Hospitals NHS Trust ha richiesto e sostenuto presso il tribunale stesso. Dean Gregory, il padre di Indi, ha espresso il suo sgomento per la decisione del giudice. «Siamo devastati dalla sentenza e ricorreremo in appello». Ha inoltre criticato la descrizione delle condizioni mediche in cui versa la piccola, fatta durante il processo. «Quella immagine era così fuorviante che, dopo aver ascoltato il discorso in tribunale, i media hanno riferito che Indi doveva essere rianimata nove volte in un giorno. Questo è completamente falso», ha detto Gregory.
Secondo lui, la piccola è una vera combattente che merita cure migliori da parte del servizio sanitario nazionale. «Durante la sua breve vita Indi ha dimostrato a tutti che si sbagliavano e merita più tempo e cure possibili, piuttosto che il tentativo di porre fine alla sua vita al più presto». Ha inoltre fatto notare che la bambina prova gioia e piange come un qualunque neonato.
Inoltre, sua madre Claire sottolinea: «Non soffre e trae un evidente conforto dalla presenza della sua mamma e del suo papà, perché il battito cardiaco è stabile e calmo quando viene coccolata tra le nostre braccia». Tutto ciò che Dean Gregory e sua moglie chiedono è avere più tempo affinché le condizioni della bimba si stabilizzino, così da poterla riportare a casa e farla vivere serenamente in un ambiente che per la prima volta nella sua vita finalmente non sia una camera d'ospedale.
Di fronte a tutto questo dolore, Gegory ha anche sottolineato quanto la battaglia legale abbia fatto sentire a loro genitori, tutto il peso di un intero sistema che si muove contro di loro. Dal canto suo, l'amministratore delegato del Christian Legal Center, Andrea Williams, ha dichiarato: «La vita è preziosa e deve essere protetta dalla legge. Dobbiamo dare alle persone, tutte le possibilità di vivere piuttosto che solo quelle di porre fine alla propria vita prematuramente, dicendo che è nel loro interesse morire». Altro trattamento disumano ricevuto dai genitori è stato l'essere stati informati con sole 48 ore di preavviso dell'udienza che avrebbe determinato il destino di Indi.
Nota di BastaBugie: Patricia Gooding-Williams nell'articolo seguente dal titolo "Così i medici britannici hanno fatto morire mia sorella Sudiksha" riporta gli scioccanti dettagli della morte della 19enne, affetta da una grave malattia genetica (nota come ST), che medici e giudici inglesi avevano deciso di far morire contro la sua volontà. Ecco l'intervista alla sorella.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 ottobre 2023:
«I medici hanno negato a mia sorella le medicine di cui aveva bisogno (...) Si sono rifiutati di darle un antibiotico per curare un'infezione contratta in ospedale, solo quando i miei genitori li hanno supplicati in ginocchio lo hanno fatto; ma non le hanno dato la medicina per la pressione sanguigna, cosa che ha causato l'arresto cardiaco (...) È questo che ha ucciso mia sorella Sudiksha Thirumalesh».
Varshan Thirumalesh parla al telefono con la Bussola mentre si trova sul treno che dal Kent lo porta a Birmingham per partecipare al funerale di sua sorella. E racconta lo scioccante trattamento subito da Sudiksha Thirumalesh, la studentessa 19enne affetta da sindrome da deplezione mitocondriale (MDS) a cui medici e giudici volevano sospendere le cure contro il suo volere e quello della sua famiglia. E che è morta il 14 settembre prima di una sentenza definitiva: per infarto, una morte naturale date le sue condizioni, hanno detto i medici.
Ma Varshan ci racconta tutta un'altra storia, che apre una finestra sulla realtà del trattamento comune nei casi di fine vita nel Regno Unito. La controparte, l'NHS Trust degli University Hospitals di Birmingham, ha combattuto per porre fine alla vita di Sudiksha e ha fatto silenziare la famiglia con un Ordine di trasparenza del tribunale per impedire alla stampa o alla famiglia di rivelare nomi e circostanze in tempo reale. Recentemente, le restrizioni sono state parzialmente revocate consentendo alla famiglia di rendere noto il nome della figlia, Sudiksha Thirumalesh (precedentemente indicata come ST) e a Varshan di raccontare la sua storia.
Abbiamo seguito con sgomento la vicenda che ha portato alla morte di Sudiksha, ma puoi dirci qualcosa della tua famiglia?
Siamo una famiglia cattolica dell'India settentrionale. Mio padre è stato il primo ad emigrare in Inghilterra nel 2001. È un esperto analista informatico e si è trasferito nel Regno Unito per migliori prospettive di lavoro, e alla fine ha aperto la propria azienda. Mia madre, mia sorella ed io lo abbiamo raggiunto nel 2003. Ci siamo stabiliti felicemente nella zona di Birmingham e viviamo secondo i nostri valori cristiani.
Come questi valori cristiani hanno influenzato il modo in cui la tua famiglia ha affrontato la malattia di tua sorella e il caso giudiziario che alla fine le ha negato il diritto alla vita?
Fin dall'inizio è stato chiaro che da cristiani diamo alla vita un valore diverso rispetto ai medici ospedalieri. Noi crediamo che la vita abbia sempre valore e dignità anche se la persona è molto malata. Il sistema invece rinuncia molto facilmente alla vita in nome del miglior interesse del paziente. Il personale si prendeva gioco delle nostre convinzioni e prendeva in giro Sudiksha. Hanno cercato di spezzarla psicologicamente e di distruggere la sua voglia di vivere dicendole ripetutamente che sarebbe morta. Le hanno detto che loro sapevano cosa era meglio per lei. Le dissero che non c'era una bacchetta magica da agitare e che doveva accettare che la morte fosse vicina. Hanno fatto di tutto per provocare la sua morte il più rapidamente possibile. Mia sorella ha detto loro che era sotto la protezione di Dio. Non ha mai lasciato andare la piccola croce di legno che teneva in mano, anche quando veniva sottoposta a terapie. Aveva perso completamente la fiducia nei medici. Alla fine, ha detto che si fidava solo di Dio.
Come è stata trattata la famiglia dall'ospedale?
È stato molto stressante e intimidatorio. Quando i medici hanno deciso di porre fine alla vita di Sudiksha, siamo stati portati in una sala riunioni. Il medico ci ha detto che volevano toglierle il ventilatore e terminare la dialisi. Ho risposto che era un percorso per uccidere mia sorella. Il medico allora ha detto: o ritiri la frase o esci dalla stanza. Ad un certo punto, Sudiksha stava abbastanza bene da poter tornare a casa con un ventilatore, ma non l'hanno lasciata uscire dall'ospedale. Non uscirai dal reparto di Terapia Intensiva, le hanno detto. Avevamo paura di lasciarla sola e un membro della famiglia è rimasto al suo capezzale giorno e notte. Mia madre ha persino imparato a monitorare le sue esigenze quotidiane e il suo sondino gastrico nasale. Anche se le infermiere sono state molto di aiuto, quell'ospedale e un medico in particolare sono responsabili della morte accelerata di mia sorella.
Se la malattia mitocondriale non può essere curata nel Regno Unito, perché i medici non avrebbero dovuto lasciare che Sudiksha andasse all'estero?
È una malattia molto costosa da curare e il Servizio sanitario nazionale (NHS) non fornisce il trattamento. Ma a Newcastle c'è una ricerca che viene condotta sul trattamento nucleosidico. Sudiksha ha sostenuto questa ricerca recandosi più volte a Newcastle per fornire biopsie muscolari per gli studi clinici. Uno dei medici le disse che doveva andare all'estero per curarsi, altrimenti la malattia l'avrebbe gradualmente uccisa. I medici del Trust dissero che non erano contrari al fatto che mia sorella andasse altrove per farsi curare, ma poi hanno fatto tutto il possibile per impedirle di andarsene. Tutti i medici hanno testimoniato contro la possibilità di Sudiksha di andare in Canada per un trattamento sperimentale. Se a Sudiksha fosse stato permesso di andare in Canada sei mesi prima, io credo che oggi sarebbe ancora viva.
Col senno di poi, ritieni ancora che sia stata giusta la decisione di combattere "il sistema" in tribunale?
19 SEP. 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5157
L'AGGHIACCIANTE COMUNICATO DELL'OSPEDALE DI ALFIE RICORDA QUELLI DEL NAZISMO
Storia maestra di vita. Non sempre, però, perché l'uomo non impara dai suoi errori. Il piccolo Alfie ha appena ricevuto il più grottesco e sadico degli attestati di condoglianze. Arriva direttamente dalla direzione dell'ospedale Alder Hey che ha pervicacemente voluto, provocato e ottenuto la sua morte. Un comunicato che non può non risultare ipocrita e diabolicamente provocatorio.
"Desideriamo esprimere le nostre sentite condoglianze alla famiglia di Alfie in questo momento estremamente doloroso - si legge in un comunicato pubblicato sul sito dell'ospedale dove Alfie ha concluso la sua vita terrena a seguito di una crisi respiratoria -. Tutti noi esprimiamo sentimenti di vicinanza ad Alfie, Kate, Tom e tutta la sua famiglia e i nostri pensieri sono con loro".
Infine una considerazione su quanto accaduto in questi lunghissimi giorni: "Questo è stato un viaggio devastante per loro e chiediamo che la loro privacy e la privacy del personale di Alder Hey siano rispettate". Quale sia la privacy dell'ospedale da rispettare non è dato sapere.
IPOCRISIA, FALSITÀ E SFACCIATAGGINE
Ma il punto è un altro, al di là dell'ipocrisia, della falsità e della sfacciataggine con la quale l'ospedale nel nome del miglior interesse per Alfie causa la morte e poi sembra quasi esorcizzarla con un pietoso commiato.
E rimanda appunto alla storia. A quando nel 1943 lo psichiatra nazista Ernst Illing indirizzava ai genitori di uno dei bambini assassinati dai reparti speciali infantili istituiti dal Terzo Reich incaricato di eliminare fin dall'infanzia i bambini disabili.
Ecco il testo: "Devo comunicarvi il mio rammarico nell'informarvi che il bambino è morto il 22 gennaio 1943 per infiammazione delle vie respiratorie. (...) Egli non aveva fatto alcun tipo di progresso durante il suo soggiorno qui. Il bambino non sarebbe certamente mai diventato utile alla società ed avrebbe anzi avuto bisogno di cure per tutta la vita. Siate confortati dal fatto che il vostro bambino ha avuto una dolce morte".
Anche qui un bambino morto per complicanze respiratorie e anche qui ricorre il tema del fallimento di un progresso clinico. Ma ciò che è inquietante, è il tema dell'utilità alla società di quel bambino. Lo stesso termine che ricorre oggi con la sentenza del giudice sull'inutilità della vita di Alfie Evans e da qui il concetto di best interest che ha attivato il protocollo di morte per Alfie.
LA CARITÀ PELOSA E FALSA DEL DARWINISMO SOCIALE
Inoltre, la carità pelosa e falsa di chi dopo aver provocato la morte cerca di consolare i genitori. Davvero non c'è proprio nulla di nuovo sotto il sole. Il comunicato dell'Alder Hey Hospital assomiglia nei toni e nel risultato finale a quel programma di selezione eugenetica della società che aveva caratterizzato la società nazista. Un programma che nel nome della razza nordica e perfetta e del darwinismo sociale portò all'uccisione di 5000 bambini cui erano state diagnosticate patologie di ritardo mentale o sindrome di Down, microcefalia e idrocefalie, malformazioni di arti o lesioni alla colonna vertebrale, paralisi cerebrale infantile. Diagnosi che invece per Alfie non è mai nemmeno stata fatta.
Infine. Il dottore nazista informa i genitori che il piccolo "ha avuto una dolce morte". Quante analogie con il comfort garantito dal personale medico nel protocollo di morte reso pubblico prima del distacco del ventilatore. "Da quel momento - si leggeva - lo staff medico continuerà ad osservare la situazione di Alfie e il livello di conforto e ad attendere ai suoi bisogni e a quelli della sua famiglia, con discrezione, ma pronto a fornire con sollecitudine supporto e conforto".
Con la morte del piccolo Evans la tanto sbandierata mitologia del Ricordo dello sterminio e le sceneggiate sul pericolo nazista in questo o quel partito si offuscano, vengono a crollare come castelli di sabbia. Perché a Liverpool, come già è stato fatto a Londra con Charlie Gard e Isaiah e come si fa nascostamente da decenni in tutto il mondo con l'aborto e l'eutanasia, la selezione eugenetica della specie va avanti, ma nel disinteresse di tutti, anzi con il plauso di un mondo cinico e diabolico.
Da Sparta alla civile Gran Bretagna, passando per il Terzo Reich, le differenze noi non riusciamo proprio a trovarle.
Nota di BastaBugie: per capire che la storia si sta ripetendo sotto i nostri occhi è molto utile la lettura della sottostante pagina di Wikipedia dal titolo "Eutanasia su minori nella Germania nazista".
Nonostante la sua lunghezza, merita di essere letta per intero:
L'eutanasia su minori nella Germania nazista (in lingua tedesca Kinder-Euthanasie) è il nome dato agli omicidi organizzati di bambini e ragazzi fino ai 16 anni fisicamente disabili o affetti da un forte disturbo mentale durante l'epoca del nazionalsocialismo in oltre 30 "reparti speciali" adibiti all'uopo. Almeno 5.000 bambini sono stati vittime di questo programma, che è stato un diretto precursore dei successivi omicidi di bambini verificatisi nei campi di concentramento.
BACKGROUND
Le basi ideologiche del nazismo si fondarono essenzialmente sul darwinismo sociale il quale impugnava senza riserve la nozione di "sopravvivenza dei più forti", sia a livello individuale sia a quello d'interi popoli e stati. Questa nozione affermò di avere dalla sua parte la "legge di Natura"; tutte le opinioni religiose e umanitarie contrastanti si sarebbero in ultima analisi rivelate come "innaturali".
Una popolazione avrebbe potuto dimostrare il proprio valore solo nel lungo periodo in questa "lotta per la sopravvivenza" in corso; questo poteva verificarsi soltanto se promuovevano i "migliori" e nel contempo, se necessario, se eliminavano tutti quelli che invece indebolivano la stirpe. Inoltre esclusivamente un popolo il più possibile "puro" avrebbe potuto mantenersi in corsa nella "lotta per l'esistenza".
Per mantenere e migliorare la "razza nordica"-germanica, pertanto, avrebbero dovuto essere rigorosamente rispettate le leggi dell'eugenetica e dell'igiene razziale, biologicamente orientate; vale a dire con la promozione dei "geneticamente sani" e la contemporanea eliminazioni dei "difettosi". Tutti coloro che avevano un qualche malattia ereditaria (in seguito conosciuta come malattia genetica) o che erano gravemente handicappati fisici o mentali (vedi disabilità) furono classificati come esempi di "vita indegna di essere vissuta" (lebensunwertes Leben).
In conclusione sarebbero stati, in termini di selezione naturale, eliminati. Questa forma di eugenetica nazista fu alla base della politica di salute genetica nazionalsocialista, che venne elevata al grado di dottrina ufficiale dello Stato.
Nel 1929 Adolf Hitler disse al congresso del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori svoltosi a Norimberga "che una rimozione media annuale di 700-800.000 dei più deboli di un milione di bambini significava un aumento del potere della nazione e non un suo indebolimento". Così facendo egli fu in grado di ben affrontare le argomentazioni scientifiche che trasferirono agli esseri umani la teoria darwiniana della "selezione naturale" e, attraverso il concetto di "igiene razziale", formularono l'utopia di una "selezione umana", così come affermato da Alfred Ploetz (il fondatore dell'igiene razziale tedesca).
Già nel 1895 Poelz chiese che la prole umana non dovesse "essere lasciata al fortuito incontro di un momento di ebbrezza... Se, tuttavia, si scopre che il neonato è un bambino debole e illegittimo il consiglio medico, che decide sui casi della cittadinanza per il bene più alto della comunità, dovrebbe preparare una dolce morte, per esempio usando una piccola dose di morfina [...]".
Ne 1935 Hitler annunciò anche alla sede nazionale del partito di Norimberga, a Gerhard Wagner, medico del Reich, che avrebbe dovuto mirare ad "eliminare gli insani incurabili" al più presto, in caso di una guerra futura.
L'eliminazione di tutti quegli esseri umani che risultavano per il nazismo "indesiderati" venne attuata sotto la dicitura di "eutanasia di Stato", questo all'inizio della seconda guerra mondiale. Molte delle petizioni dei genitori i bambini disabili inviate alla cancelleria del Reich chiesero che venisse data ai loro figli "l'uccisione misericordiosa"; queste vennero usate come una giustificazione e per dimostrare che esisteva un'effettiva domanda esterna a riguardo. [...]
IL CASO "KINDER K."
L'occasione immediata per dare avvio all'eutanasia organizzata su minori viene considerata nella letteratura specialistica il cosiddetto caso "Kinder K.". [...]
In questo particolare caso i genitori presentarono una richiesta perché al loro figlio gravemente disabile fosse concessa un'"uccisione misericordiosa"; la domanda fu ricevuta dalle autorità in un tempo non verificabile prima della metà del 1939 presso l'"Ufficio del Fuhrer". Quest'ufficio era un'agenzia del partito nazista e di una cancelleria privata posta sotto l'autorità diretta di Hitler, che impiegava circa 195 dipendenti nel 1939.
12 SEP. 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7539
IL VERO VOLTO DELL'EUTANASIA: ORA SI UCCIDE ANCHE CHI NON E' D'ACCORDO di Patricia Gooding-Williams
"ST" è una giovane ragazza di 19 anni che da un anno è in cura nel reparto di terapia intensiva di un ospedale britannico. Vuole vivere ma i suoi medici hanno deciso che la sua malattia non offre prospettive di miglioramento e quindi deve morire immediatamente. A differenza dei casi già noti in cui il paziente è un neonato, un bambino o un adulto incosciente, presumibilmente in punto di morte, ST è una giovane adulta, completamente cosciente, capace di prendere decisioni, che ha espressamente dichiarato la sua volontà di vivere. Tuttavia, il tribunale le ha tolto il diritto di decidere della sua vita. Questo accade oggi nel Regno Unito, un caso che segna un ulteriore passo avanti nella barbarie diventata segno distintivo del Servizio Sanitario Nazionale britannico (NHS).
La storia di ST (è la sigla di riconoscimento decisa dal tribunale che ha imposto l'anonimato) è quella di una giovane donna che soffre di una rara forma di malattia mitocondriale (RRM2B). La condizione di ST provoca debolezza muscolare cronica, perdita dell'udito e danni ai reni, rendendola dipendente dalla dialisi e da altre terapie intensive, ma - cosa importante - non ha intaccato il funzionamento del suo cervello. In realtà, la malattia non le ha impedito di frequentare la scuola ordinaria o di ottenere buoni voti negli anni di scuola secondaria. Stava studiando per la maturità quando nell'agosto 2022 ha contratto il Covid, che le ha causato gravi difficoltà respiratorie. ST è stata ricoverata in ospedale in un'unità di terapia intensiva (ICU) dove è rimasta da allora (sempre le restrizioni poste dal giudice impediscono di rivelare il luogo).
DEVE MORIRE
Lo scorso febbraio, i medici hanno riferito che le sue condizioni erano peggiorate. Successivamente ha avuto due altre crisi che hanno richiesto cure mediche di emergenza a luglio. I medici che la curavano hanno così deciso che la condizione medica di ST stava progressivamente degenerando e l'hanno definita malata terminale (in inglese l'espressione usata suona più sinistra: "actively dying"). Le hanno così presentato un piano di cure palliative che avrebbe interrotto il suo trattamento di dialisi salvavita causandone la morte nel giro di pochi giorni per insufficienza renale. ST ha rifiutato.
I medici hanno quindi agito immediatamente consegnando la patata bollente ai tribunali. L'NHS Foundation Trust, responsabile dell'ospedale che ha in cura la ragazza, ha portato avanti il caso poiché ritiene che ST non abbia la capacità mentale di decidere il suo trattamento.
L'adolescente, descritta come «una combattente» da chi la conosce, vorrebbe addirittura partecipare agli studi clinici per una terapia a base di nucleosidi, in Canada o in uno dei due ospedali che la praticano in America. Crede che questa terapia offra un 50% di possibilità di miglioramento, anche se è ben consapevole che nel suo caso potrebbe non avere successo. Allo stesso tempo, ha detto di aver perso la fiducia nei suoi medici. In particolare, non crede che le rimangano «solo giorni o settimane» e che sia inutile tenerla in vita finché non si potranno prendere accordi per il suo trasferimento in uno degli ospedali all'estero disposti a curarla.
ST sostiene di avere già smentito le previsioni dei medici quando si è ripresa, nonostante le loro aspettative contrarie, dalle due recenti crisi potenzialmente letali. Incalzati in tribunale, i suoi medici hanno affermato che «la sua morte è necessariamente imminente», ma hanno ammesso che potrebbe avere «settimane o addirittura mesi di vita», sebbene «la prognosi esatta sia incerta».
NESSUNA MALATTIA MENTALE
Inoltre, due esperti psichiatri, denominati Dottor D e Dottor C, incaricati dall'ospedale di esaminare ST, hanno dichiarato alla Corte che lei non soffre di alcuna malattia mentale e ha la capacità mentale di prendere decisioni sul proprio benessere o assistenza sanitaria.
Gli psichiatri hanno testimoniato che «non ci sono prove che ST ora neghi il fatto che la sua condizione generale stia progressivamente degenerando». Sia il dottor D che suo fratello hanno affermato che lei è consapevole che «la sua condizione comporta la possibilità di morte». E il Dottor C ha riportato il desiderio espresso da ST di voler «morire cercando di vivere» e che nessuna opzione doveva essere lasciata inesplorata in tale impresa («Dobbiamo provare tutto»). Inspiegabilmente, il parere medico degli psichiatri è stato respinto dal tribunale.
Invece, i suoi medici, che non hanno esperienza nelle malattie mitocondriali, insistono che la sua ostinazione a continuare a lottare per vivere sia una «illusione» e indicano che non ha la capacità mentale di decidere il suo trattamento. Uno dei medici ha dichiarato in tribunale: «Mentre lei [ST] si aggrappa a questa speranza di migliorare le sue condizioni, inclusa la sopravvivenza, ha chiuso la sua mente all'alternativa di "maggiore conforto" o "trattamento meno invasivo o doloroso" che le cure palliative è probabile che forniscano».
La scorsa settimana, il 25 agosto, la giudice Roberts, presiedendo l'udienza, si è schierata dalla parte dell'ospedale e ha convenuto che ST non aveva la capacità mentale di prendere le proprie decisioni e quindi le sue cure di fine vita potevano essere determinate dalla Court of Protection (l'equivalente britannico del Giudice tutelare). Roberts ha scritto nella sentenza: «La totale incapacità di ST di accettare la sua realtà medica, o di contemplare la possibilità che i suoi medici possano fornirle informazioni accurate, è probabilmente il risultato di un indebolimento o di un disturbo nel funzionamento della sua mente o del suo cervello». Il giudice ha quindi affermato che «lei è spaventata dalla prospettiva di morire e si aggrappa al suo desiderio di sopravvivere malgrado i suoi medici le abbiano ripetutamente spiegato che è una condizione in cui non è possibile sopravvivere».
IL MIGLIOR INTERESSE E' MORIRE?
A meno che la famiglia non decida di appellarsi contro la decisione e abbia successo, il destino di ST sarà deciso in un'udienza dove il giudizio verterà sul suo "miglior interesse" e lei sarà rappresentata dall'Official Solicitor, il funzionario che rappresenta i pazienti incapaci di discernimento in procedimenti giudiziari di questo tipo.
La famiglia di ST, cristiana, ha speso tutti i propri risparmi per pagare gli avvocati per impedire al Servizio Sanitario Nazionale di porre fine alla vita della loro figlia. La loro ultima speranza è la terapia sperimentale a base di nucleosidi disponibile solo all'estero. Ma l'Ordine di Trasparenza imposto dalla Corte già nel marzo 2023 - che impone severe restrizioni nel rilascio di informazioni che possano portare all'identificazione di ST, dei familiari o dei medici coinvolti nel caso - impedisce alla famiglia di parlare alla stampa o di presentare richieste di fondi.
In una dichiarazione pubblicata da Christian Concern e comunicata tramite i loro avvocati, la famiglia ha affermato: «Questo è stato un anno di continue torture per la famiglia. Non solo siamo preoccupati per la lotta per la sopravvivenza della nostra amata figlia, ma siamo anche stati crudelmente imbavagliati per non poter parlare della sua situazione. Non ci è permesso chiedere alle persone preghiere o aiuto di cui ha disperatamente bisogno. È una questione di vita o di morte per nostra figlia raccogliere fondi per le cure in Canada, quindi queste restrizioni arbitrarie la stanno letteralmente uccidendo.
Siamo scioccati dalle parole del giudice che ha detto che nostra figlia non ha la capacità di prendere decisioni da sola, dopo che tutti gli esperti hanno detto il contrario. Siamo molto addolorati per questa ingiustizia e speriamo che, con la grazia di Gesù, venga corretta in appello».
20 JUL. 2022 · VIDEO: La storia di Sara, che dice no al biotestamento ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ZdeLlVJLUmc&list=PLolpIV2TSebVuHSUQ_TFW_m480iUQZext
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7084
ERO IN COMA, MA VOLEVO GRIDARE CHE ERO VIVA di Manuela Antonacci
Avere vent'anni, essere in coma e voler vivere. Questo è quanto capitato a Sara Virgilio, quando nel 1994 diventò una "vittima della strada", a Salerno, venendo letteralmente falciata sulle strisce pedonali, da un pirata della strada. Un impatto violento, in seguito al quale entrò in coma. Trasportata in eliambulanza da Salerno al Policlinico Gemelli di Roma, il caso clinico fu trattato secondo protocollo. Un'esperienza, la sua, che l'ha portata ad opporsi, con decisione, al testamento biologico e alla cultura dello scarto, rappresentata oggi anche dal ddl Bazoli. Oggi Sara è perfettamente guarita ed è anche una persona realizzata. [...]
Sara, tu hai detto più volte che la condizione di coma è difficile da spiegare, però questo ti ha spinto a dire no al testamento biologico.
«Quando una persona è in coma, esternamente non si muove, è ferma, ma in realtà ha la percezione di quello che le accade intorno. Nel mio caso ho dei frammenti di ricordi che potrei definire momenti di lucidità: ricordo quando mia madre mi diceva che erano arrivati i miei amici a farmi visita. Inoltre la mia sensazione era quella di voler dire all'esterno: "Io ci sono", ma non potevo. Il paziente non è nelle condizioni di esprimere le sue volontà, per questo sono assolutamente contraria al testamento biologico».
Hai raccontato che i medici mentre eri in coma avrebbero detto «E' inutile, per lei non c'è niente da fare». Che effetto ti ha fatto?
«I medici non avevano dato speranza: io ero una politraumatizzata, oltre all'emorragia cerebrale avevo un'emorragia polmonare, la parte destra era completamente fratturata, poi avevo avuto anche la perforazione dei polmoni. Si sono sicuramente impegnati per salvarmi la vita, ma anche quando fui trasportata da Salerno al Gemelli, anche lì mi diedero scarse speranze. Quando sentii quella frase avrei voluto gridare che io c'ero, che ero viva, che sentivo. Mia madre, ad esempio, notava che io in qualche modo ero presente, mi muovevo impercettibilmente. I medici non le credevano. Capisco la posizione di prudenza dei medici, tuttavia la vita va rispettata e per me era vita anche quella: io c'ero e volevo esserci. Se avessi firmato il testamento biologico per me sarebbe stata la fine, non avrei avuto modo di comunicare un eventuale ripensamento. Una volta uscita dal coma, comunque, per me non è stato facile, ho dovuto lottare per sopravvivere».
Cosa hai dovuto affrontare?
«Ho perso un rene, ho avuto diversi interventi per l'endometriosi, diverse ischemie che per fortuna hanno preso un'area muta del cervello, per cui non ho riportato dei danni. La questione è che non si può decidere per un'altra persona, perché la vita va rispettata. Io oggi sono laureata in biologia e lavoro. Se avessero staccato le macchine avrei dovuto rinunciare a tutto questo. Purtroppo oggi non si comprende che il camice bianco è un tramite che serve per aiutare il paziente a guarire. È chiaro che ci sono situazioni che vanno valutate accuratamente, ma non si può decidere al posto di qualcun altro staccandogli la spina. L'idratazione e il mangiare non si possono negare, ad esempio, perché sono atti naturali, ben lontani dall'accanimento terapeutico»
La risposta che lo Stato sembra voler dare alla sofferenza, oggi, col ddl Bazoli è invece quella di spingere verso la morte, relativizzando il valore della vita...
«Esatto, ed è assurdo. Non si può concepire la vita solo in maniera utilitaristica: se produco vado bene, ma se diventi un peso per lo Stato, devi essere invogliato a morire. Una volta mi dissero: "Non sarebbe stato meglio se non fossi mai nata, così non avresti vissuto tutta questa sofferenza?". Ma se io non fossi mai nata sarei stata il nulla. Essere invogliati a morire non è così idilliaco come vogliono farci credere, è qualcosa di terribile. Semmai dovremmo fare in modo di creare delle strutture dove i malati gravi sono accaduti, creando, così, anche nuovi posti di lavoro, con personale disposto a stare accanto a questi pazienti. Ci sarebbe molta meno volontà di morire, perché, invece, oggi, il malato è abbandonato a sé stesso».
21 JUN. 2022 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7047
SPERANZA: MINISTRO DELLA SALUTE O DELLA MORTE? di Giuliano Guzzo
Chi vuole essere ucciso, può stare sereno: non deve pagare. O meglio, è giusto che al suo posto paghino tutti. Lo ha dichiarato apertamente nelle scorse ore il Ministro della Salute, Roberto Speranza. «Una volta che la procedura di verifica del rigoroso rispetto delle condizioni individuate dalla Consulta sia stata completata», ha detto parlando con La Stampa, «le strutture del servizio sanitario nazionale non possono assumere atteggiamenti ostruzionistici, né è ipotizzabile che i costi siano a carico del paziente».
Queste considerazioni ministeriali - fatte con riferimento al caso di "Mario", il marchigiano che chiede il suicidio medicalmente assistito ma si deve pagare il farmaco - suonano pesanti, anche perché chiamano in causa, di fatto, tutti i cittadini. E chi non vuole cooperare, neppure remotamente, con le proprie tasse alla morte non solo di "Mario", ma anche di altri che, come lui, desiderassero essere uccisi? Affari suoi, pare di capire dalle parole di Speranza; il che è già un problema, ma non è certo il solo.
Se si imbocca la strada del rimborso pieno delle spese dell'iniezione letale - stimabili in circa 5.000 euro -, non si rischia di creare un sistema dove si viene aiutati a togliersi delle spese ma non a vivere? E poi: 5.000 euro sono oggi già garantiti (o ne sono garantiti 5mila in più?) in termini copertura delle spese, a tutti coloro che desiderano le cure palliative e assistenza domestica? Il dubbio viene, soprattutto vedendo come la norma in materia - la legge n. 38 del 2010 - sia poco sostenuta finanziariamente.
Ne consegue come, al momento, nella nostra Penisola le cure palliative siano sì garantite, ma purtroppo a macchia di leopardo: in alcune zone cioè in modo impeccabile, in altre manco a parlarne. Altro che 5.000 euro. Eppure su questa vergognosa situazione - parliamo infatti di una legge in vigore da una dozzina di anni - il Ministro Speranza non risulta aver speso parole né con La Stampa né con altri. Il che è grave perché davvero quello che rischia di crearsi è un sistema sociale e sanitario in cui l'uccisione on demand rischia di essere non solo una strada, ma addirittura una raccomandazione.
Esagerazioni? Non esattamente. Basti pensare a quanto già accaduto in un Paese di fama civile come il Canada da dove, nell'agosto 2018, era arrivata la notizia di Roger Foley, signore affetto da atassia cerebellare, serio disturbo neurovegetativo, alle prese col diritto... di vivere. Sì, perché l'uomo, nelle sue complesse condizioni, quell'anno si era trovato davanti ad un tragico bivio: sborsare più di 1.500 dollari al giorno per le cure di cui aveva bisogno - e che non poteva permettersi - oppure l'eutanasia.
Foley decise di denunciare l'ospedale e il governo dell'Ontario, producendo pure due audio (una del 2017, l'altra del 2018) nelle quali il personale ospedaliero cercava ripetutamente di spingerlo a farla finita; semplicemente perché le cure non gli potevano essere garantite. Ora, quanto passerà, in Italia, perché dai casi di "Mario" si passi a quelli alla Roger Foley? Vogliamo davvero un Paese in cui la morte finisca con l'essere consigliata e garantita più delle stesse cure?
Apparentemente, questi sembrano essere quesiti provocatori. Eppure, nella misura in cui, a livello ministeriale, si spendono apertamente parole in favore della morte ma non si fa altrettanto verso le cure, la deriva è assicurata. Non pare un caso che, prima dello scandalo Foley, nel Paese di Justin Trudeau, fosse stato pubblicato sul Canadian Medical Association Journal uno studio con cui si erano stimati in 138 milioni di dollari annui i risparmi per le casse pubbliche della morte indotta. E l'anno dopo, guarda caso, è accaduto quello che si diceva poc'anzi. Vogliamo fare, come Italia, una fine del genere? Tanto vale dirlo, a questo punto.
14 DIC. 2021 · VIDEO: Eutanasia e Suicidio Assistito: tutta la verità in 4 minuti ➜ https://www.youtube.com/watch?v=sigdIcl3Xwg&list=PLolpIV2TSebVuHSUQ_TFW_m480iUQZext
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6819
IL SUICIDIO ASSISTITO ARRIVA IN PARLAMENTO, SARA' AFFOSSATO COME IL DDL ZAN?
Il testo vorrebbe introdurre in Italia il suicidio assistito, quando cioè il farmaco per uccidersi viene assunto da un individuo in modo autonomo (VIDEO: Eutanasia e suicidio assistito)
da Provita & Famiglia
Inizia oggi alla Camera dei Deputati la discussione generale sul testo della legge che vorrebbe introdurre in Italia il suicidio assistito, quando cioè il farmaco necessario a uccidersi viene assunto in modo autonomo da un individuo. Il testo, chiamato "Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita", vorrebbe rispondere a quanto previsto dalla Corte costituzionale con una sentenza del 2019 che stabiliva una serie di criteri che rendevano non punibile l'aiuto al suicidio.
I tempi potrebbero però essere molto lunghi - sia in caso di approvazione sia per un'eventuale (si spera) bocciatura del Testo Unico - siccome non c'è un accordo unanime sul testo all'interno della maggioranza.
La bozza originaria del testo in discussione alla Camera è nata dall'accorpamento di varie proposte presentate negli anni da diversi partiti politici. Lo scorso luglio la bozza era stata approvata dalle commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali della Camera con i voti a favore di PD, M5S, LeU, Italia Viva, Azione e +Europa, e quelli contrari del centrodestra (Lega e Forza Italia) insieme a Fratelli d'Italia.
La proposta ricalca, come detto, una sentenza della Corte Costituzionale. Nel 2019, infatti, la Corte era intervenuta sulla morte di Dj Fabo, stabilendo che a determinate condizioni non è punibile una forma di eutanasia definita assistenza al suicidio, cioè quando una persona di fatto permette a un'altra di suicidarsi. Concretamente, la sentenza aveva stabilito che in Italia si può aiutare una persona a morire senza rischiare di finire in carcere se quella persona ha una patologia irreversibile, se la patologia irreversibile le provoca sofferenze fisiche o anche solamente psicologiche per lei intollerabili, se la persona è pienamente capace di decidere liberamente e consapevolmente, e se è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.
Per quanto riguarda, invece, la discussione che inizia oggi e il successivo iter, molti analisti parlamentari ritengono che non si arriverà a votare la legge sul suicidio assistito prima di Natale e che quasi certamente il voto slitterà a fine gennaio o febbraio. In mezzo, infatti, ci sono scadenze importanti e imprescindibili per il Parlamento, come la Legge di Bilancio e, a gennaio, l'elezione del Presidente della Repubblica. Secondo certa stampa, inoltre - come riportato anche da Il Post e da Repubblica - il centrosinistra potrebbe avere i numeri favorevoli, però con uno scarto di circa 25 voti. Numeri che fanno ben sperare in un possibile dietro front. Durante l'iter, infatti, saranno previsti molti voti segreti e non è scontato che molti deputati potrebbero votare - si spera con un "no" - secondo coscienza e quindi bocciare una proposta mortifera ed eutanasica, proprio come fatto con il disegno di legge Zan.
8 JUN. 2021 · VIDEO: Crepa (piano piano) - DAT - Eutanasia - Fine vita ➜ https://www.youtube.com/watch?v=U8e_GIoP5kY
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6594
DJ FABO ERA INFLUENZATO DALLA RELIGIOSITA' ORIENTALE... PER QUESTO CHIESE L'EUTANASIA di Corrado Gnerre
Vi ricordate il caso del DJ Fabo? Colui che decise di andare a morire in una clinica svizzera perché rimasto immobilizzato in conseguenza di un incidente stradale. Ebbene, la sua fidanzata, Valeria Imbroglio, comunicò, nei giorni in cui tutt'Italia discuteva sulla scelta del giovane, il suo legame con la religiosità orientale e anche con certe correnti esoteriche. D'altronde i due giovani, prima dell'incidente, avevano per ben cinque anni vissuto in India alla sequela di un santone del posto.
Un dato come questo non è affatto irrilevante e vi spieghiamo il perché.
Non ci stancheremo mai di dirlo: solo il Cristianesimo offre un'autentica risposta al mistero della sofferenza. Per un motivo molto semplice: perché solo il Cristianesimo annuncia un Dio che ha voluto liberamente soffrire e che con la sofferenza ha "riparato" tutto.
Può sembrare una particolarità quasi insignificante, invece ciò è il tutto ed è la risposta per tutto. Sapere che Dio ha salvato soffrendo, vuol dire non solo convincersi che la sofferenza è la strada maestra, ma anche che chi soffre diventa in un certo qual modo un "privilegiato", perché ancor di più può conformarsi a Colui che è l'alfa e l'omega di tutto, Cristo.
IL CRISTIANESIMO CAMBIA LA STORIA
È per questo che quando il Cristianesimo si è introdotto nella Storia, l'ha anche radicalmente cambiata.
Basterebbe pensare quale fosse il giudizio sulla sofferenza nel mondo antico. Con il Cristianesimo, invece, si realizza un cambiamento radicale: c'è l'invito ad andare alla "scuola" della sofferenza. I malati, da reietti e da "materiale di scarto", diventano icone di Cristo Crocifisso. Nascono finalmente gli ospedali, laddove il sofferente viene accolto e curato; laddove vien fatto capire che egli è una "grazia", affinché, accogliendolo e curandolo, i sani possano esercitare delle virtù necessarie per la salvezza.
Fin quando la Croce non compare nella storia, la sofferenza è qualcosa da allontanare ed esorcizzare.
Ma poi la Storia ha deciso nuovamente di rimuovere la Croce. Sono rimasti gli ospedali, sono rimaste le belle parole per i sofferenti, ma la sofferenza è diventata un macigno terrificante, impossibile da portare.
E nel caso della cosiddetta "spiritualità orientale" la questione si aggrava, perché non solo questa non ha un'adeguata risposta alla sofferenza, ma, abituata a vedere nel corpo un limite, odia profondamente la sofferenza. Già il corpo sano è qualcosa di cui liberarsi quanto prima (si pensi alla moksha induista), figuriamoci il corpo attanagliato dalla malattia.
Non a caso la fidanzata del DJ Fabo spesso parlava di "libertà": Fabio va in Svizzera per "liberarsi". E dopo la morte: Adesso finalmente Fabio è "libero".
LA CAPACITÀ DI AMARSI
Quando la Croce non c'è, si perde tutto.
Si perde anche la capacità di amarsi. Sì, perché accettare la sofferenza sempre e comunque, vuol dire amarsi. Mentre rifiutare il proprio - anche terribile - destino, vuol dire negarsi, distruggersi, perché ormai il proprio pensiero non coincide con il proprio essere e con il proprio luogo.
Il luogo... ma cosa c'entra il luogo? C'entra eccome. Il luogo è il riconoscere dove si è. E, perché questo accada, occorre appassionarsi a ciò che sta avvenendo nella propria vita, sempre e comunque... invocando da Dio l'aiuto ad innamorarsi di ciò che si è e dove si è.
San Bernardo di Chiaravalle in una sua importante opera, De diligendo Deo, parla di quattro gradi di amore:
1) L'amore che l'uomo ha di se stesso
2) L'amore a Dio non ancora per Dio stesso, ma per sé
3) L'amore a Dio non più per se stessi, e neppure per il prossimo, ma soltanto per Dio
4) L'amore dell'uomo a se stesso ma solo per Dio.
Interessante. San Bernardo dice che l'ultimo grado di amore contempla ancora l'amore a se stesso, ma sublimato e soprattutto motivato dalla Presenza e dalla Volontà di Dio.
Insomma, se Dio ci vuole, anche noi dobbiamo volerci. Se Dio ci ama anche noi dobbiamo amarci.
Anche per questo diventa chiave di tutto la Croce.
Si dice giustamente: non c'è posto sulla faccia della terra dove l'uomo possa trovare la pace, se non ai piedi di una Croce.
11 MAY. 2021 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6570
EUTANASIA RECORD IN OLANDA NEL 2020 di Leone Grott
Nel 2020 sono morte con l'eutanasia in Olanda 6.938 persone, il numero più alto mai raggiunto. Si tratta di un aumento dei casi del 382% rispetto ai 1.815 del 2003 e del 9% rispetto ai 6.361 del 2019. Un decesso su 25 è ormai causato dall'eutanasia nel paese, che rappresenta il 4,12% di tutte le morti. Il dato salirebbe al 4,52% se non si tenesse conto dei 15 mila decessi dovuti al Covid-19. Se si considera inoltre soltanto la fascia di età tra i 60 e gli 80 anni, il dato sale al 6,2%. Come ogni anno, il rapporto annuale pubblicato dal governo olandese è costellato di dati inquietanti.
Innanzitutto, come riporta anche Dutch News, quattro persone hanno optato per l'eutanasia dopo essere risultate positive al Covid-19. «Avevano contratto la polmonite e non volevano andare in terapia intensiva», spiega a Trouw il presidente del Comitato di revisione regionale dell'eutanasia, Jeroen Recourt.
Dopo la sentenza della Corte Suprema che ha autorizzato la sedazione surrettizia di persone affette da demenza, per evitare la loro opposizione all'iniezione letale scelta in passato con il testamento biologico ma non confermata dalla volontà attuale, due persone sono state uccise così nel 2020.
La disperazione continua a essere ritenuta un motivo valido per ottenere la morte. L'anno scorso hanno ricevuto l'eutanasia per motivi legati alla depressione 88 persone, tra cui una affetta da disabilità intellettiva. Allo stesso modo, 235 persone sono state uccise per «accumulo di problemi legati alla vecchiaia». Anche un ragazzo, di età compresa tra i 12 e i 16 anni, è stato ucciso portando così a 16 il totale dei minori che dal 2002 hanno ottenuto l'eutanasia.
Se 4.480 persone hanno richiesto l'eutanasia a causa di un cancro, sono 168 gli individui affetti da demenza uccisi, due con demenza in stato avanzato, 88 come detto per problemi psichiatrici, 458 per problemi legati al sistema nervoso. Su 216 casi di suicidio assistito, infine, 17 non sono andati a buon fine, il paziente cioè non è morto, e il medico ha dovuto praticare l'iniezione letale.
Secondo Recourt, questi numeri non sono sorprendenti perché «dimostrano come sempre più persone guardino all'eutanasia come a una soluzione normale per porre fine a una situazione di sofferenza insopportabile».
Nota di BastaBugie: Benedetta Frigerio nell'articolo seguente dal titolo "Un'inchiesta pone domande sulla morte cerebrale" dimostra come la morte cerebrale venga smentita dai fatti. Non si può definire defunta una persona con il cuore battente, nonostante abbia l'encefalogramma piatto.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 aprile 2021:
Dopo la morte di Charlie Gard e di Alfie Evans la prassi del sistema sanitario inglese non è più indiscussa come un tempo. A provarlo sono fatti simili ormai discussi dalla stampa e, ora, il Daily Mail che in sua recente un'inchiesta ha scritto: "Durante i casi di spicco dei bambini Charlie Gard e Alfie Evans - i cui genitori, rispettivamente nel 2017 e nel 2018, hanno combattuto senza successo contro i medici per cercare di ottenere delle terapie sperimentali - il dibattito sulle cure di fine vita si è evoluto".
L'inchiesta del quotidiano è relativa alla morte cerebrale, un criterio introdotto da un comitato ad Harvard nel 1968 per dichiarare il decesso di una persona a partire dalle funzioni cerebrali e non più dall'arresto cardiaco prolungato. Negli anni, come la Nuova Bussola ha già raccontato, tale parametro è stato messo in discussione sia per l'impossibilità scientifica di affermare con assoluta certezza la fine totale delle funzioni cerebrali sia perché l'unità delle funzioni vitali che rendono una persona ancora tale (omeostasi) non è garantita solo dal funzionamento del cervello e del tronco cerebrale ma anche dal cuore.
Si racconta, ad esempio, di Lewis Roberts, 18 anni, che solo qualche giorno fa "è stato "dichiarato morto' dai medici del Royal Stoke Hospital... e la famiglia aveva accettato di donare i suoi organi". Così i medici decisero di privarlo dell'ossigeno che supportava il ragazzo. "Ma proprio in quel momento Lewis ha ripreso a respirare da sé". E' interessante leggere nell'inchiesta che questa vicenda "pone la domanda: per ogni diagnosi nefasta, se c'è vita, non dovrebbe esserci ancora speranza?". E' chiaro che la domanda con l'espressione "se c'è ancora vita" quando una persona è dichiarata morta cerebralmente sottintende il fatto che la vita non è garantita dalle funzioni del cervello, sebbene poi ci si rifugi dietro alla parola "miracolo", usata anche da quei medici atei che, davanti alla diagnosi di morte cerebrale smentita dai fatti, accettano improvvisamente il termine. Nel caso di Roberts hanno infatti parlato non di errore diagnostico ma appunto di miracolo.
Certo i miracoli accadono, ma come sottolineato sul Daily Mail da Catherine Robinson, portavoce di Right To Life UK, "le nostre vite hanno sempre un valore intrinseco. Per tutte le famiglie che affrontano la stessa situazione con una persona cara che è in supporto vitale, questi fatti inviano un messaggio molto chiaro: non rinunciare alla speranza". In sintesi, anche se la piena ripresa della persona non avvenisse, la sua vita andrebbe supportata fino a morte naturale. Ma è chiaro che solamente quando il criterio di morte è quello oggettivo, dell'arresto cardiaco prolungato, è possibile uscire dalle zone grige e soggettive introdotte anche dalla diagnosi più scrupolosa di assenza di tutte le funzioni cerebrali. Ed è chiaro che solo così le vicende come quella di Charlie e di Alfie potrebbero essere risolte, perché a questo punto la vita andrebbe sostenuta senza possibilità di eccezioni fino alla morte naturale, decretata appunto dallo stop del battito cardiaco, non permettendo alle opinioni di avere la meglio sui fatti (un cuore battente).
Lo stesso Mark Pickering di Care not Killing, un'organizzazione che promuove le cure palliative, afferma: "Il processo decisionale di fine vita è spesso complesso e può essere altamente incerto... può essere una vera sfida determinare se la morte del tronco cerebrale si sia effettivamente verificata". In effetti, continua l'inchiesta, "quando i medici chiesero alla famiglia di Carol (71 anni, ndr) il permesso di rimuovere il supporto vitale... le scansioni suggerivano che fosse cerebralmente morta". I medici "'hanno detto che sarebbe stata la cosa più carina da fare', dice Maxine (la figlia, ndr)", ma "non potevamo sopportare di essere lì mentre spegnevano le macchine". Carol era rimasta "45 minuti senza un battito cardiaco", ma rianimata e ventilata aveva continuato a vivere. Il tronco cerebrale, il cervello e il cervelletto, però, non apparivano più funzionanti, il che è sufficiente per privare la persona dei supporti vitali nonostante il cuore riprenda a battere e la persona riesca a respirare con la ventilazione.
Il Daily Mail racconta infine il caso di un bambino, Harrison Ellner, dichiarato cerebralmente morto in seguito ad una meningite. Sua madre Samantha, 27 anni, badante di Rotherham, accettò la rimozione della ventilazione, che però, esattamente come accadde ad Alfie Evans (mai dichiarato cerebralmente morto) continuò a respirare. "I medici hanno detto che poteva continuare a respirare per un minuto, un'ora o un giorno", ma quando il bambino ha proseguito più a lungo il personale sanitario lo ha curato, a differenza di quanto fatto con Alfie che pur ventilato da molti più mesi respirò per quattro giorni da solo senza svezzamento né cure.
Dopo cinque giorni Harrison "è stato trasferito di nuovo all'ospedale di Rotherham, dove è rimasto per altri dieci giorni. Quando è stato dimesso, i medici non erano sicuri che il suo cervello avrebbe funzionato abbastanza bene da permettergli di condurre una vita normale". Eppure "ha imparato a sorridere a otto settimane e a camminare da bambino". E "sebbene il danno cerebrale fa si che abbia l'età di apprendimento di un bambino di tre anni più piccolo, Samantha afferma: "Se lo vedessi, non ti accorgeresti di quello che ha passato''". Harrison "oggi è un bambino di otto anni appassionato di musica che conduce una vita molto simile a quella di qualsiasi altro bambino della sua età".
Ellie Dunkerton, 22 anni, dopo un emorragia cerebrale fu messa in coma. Si scoprì che aveva una malformazione artero-venosa cerebrale (AVM) e fu trasferita al dipartimento di neurologia del Cardiff e del Vale University Hospital, dove parlarono di morte cerebrale alla madre. La ragazza invece si risvegliò prima della rimozione dei sostegni vitali, a cui la madre si sarebbe comunque opposta: "Mesi dopo, ho visto il suo medico che mi aveva detto di essere sicuro che non avrebbe più camminato o parlato. Invece bisogna continuare a sperare. Non si sa mai". È chiaro che ci possono essere errori diagnostici in questi casi, dove la fine delle funzioni cerebrali non era totale, ma anche qualora questa si verifichi realmente, finché il cuore della persona batte affermare che sia morta va contro l'evidenza dei fatti, aprendo appunto a scenari come questi.
La stessa scienza definisce lo stop del cuore e della respirazione come "morte clinica" e "morte reale" (quando insomma si è davanti ad un cadavere) che si differenzia dalla mancanza di segnali della funzione cerebrale, definita appunto morte "legale". Ossia decisa per legge.
La chiamano "dolce morte", ma in realtà è l'uccisione di innocenti
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Autor | BastaBugie |
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