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Consigli utili (e verificati sul campo) su come vivere bene in famiglia
9 OCT. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7942
NEL MATRIMONIO VIENE PRIMA IL FINE PROCREATIVO E SOLO POI QUELLO UNITIVO
Il fine primario del matrimonio è la procreazione. Negli ultimi tempi non si dice più così e i due fini, procreazione ed unione dei coniugi, vengono messi alla pari, anzi con una prevalenza almeno nell'ordine del secondo sul primo. Con conseguenze pericolose, perché in tal modo, cioè se è primario il valore unitivo e quindi quello procreativo diventa secondario, si apre piano piano la strada ad una sessualità sganciata dalla procreazione e quindi via libera a contraccezione, rapporti omosessuali, ecc. E se può essere possibile una sessualità senza procreazione, perché non potrebbe essere possibile anche una procreazione senza sessualità? Si pensi al cosiddetto "utero in affitto" o, per dirla in maniera più elegante, alla "maternità surrogata" o "gestazione per altri".
A tal proposito leggiamo cosa disse Papa Pio XII in un suo discorso alle partecipanti del Congresso della Unione Cattolica Italiana delle Ostetriche, pronunciato in Vaticano il 29 ottobre del 1951: "La verità è che il matrimonio, come istituzione naturale, in virtù della volontà del Creatore non ha come fine primario ed intimo il perfezionamento personale degli sposi, ma la procreazione e la educazione della nuova vita. Gli altri fini, per quanto anch'essi intesi dalla natura, non si trovano nello stesso grado del primo, e ancor meno gli sono superiori, ma sono ad esso essenzialmente subordinati".
Pio XII fa anche riferimento ai matrimoni infecondi, affermando che tale stato di cose, vale anche per questi: "Ciò vale per ogni matrimonio, anche se infecondo; come di ogni occhio si può dire che è destinato e formato per vedere, anche se in casi anormali, per speciali condizioni interne ed esterne, non sarà mai in grado di condurre alla percezione visiva".
Nello stesso discorso Pio XII precisa che tale verità è ciò che è sempre stato insegnato ed è patrimonio della tradizione. Egli dice: "Redigemmo Noi stessi alcuni anni or sono (10 marzo 1944) una dichiarazione sull'ordine di quei fini, indicando quel che la stessa struttura interna della disposizione naturale rivela, quel che è patrimonio della tradizione cristiana, quel che i Sommi Pontefici hanno ripetutamente insegnato".
Ovviamente, parlare della procreazione come fine primario, non vuol dire omettere, trascurare o addirittura pensare come inutili i fini secondari. I quali, anzi, sono necessari. Pio XII dice sempre nello stesso discorso: "Si vuole forse con ciò negare o diminuire quanto vi è di buono e di giusto nei valori personali risultanti dal matrimonio? Certamente no, poiché alla procreazione della nuova vita il Creatore ha destinato nel matrimonio esseri umani fatti di carne e di sangue, dotati di spirito e di cuore, ed essi sono chiamati in quanto uomini e non come animali irragionevoli, ad essere gli autori della loro discendenza. A questo fine il Signore vuole l'unione degli sposi".
27 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7896
IL PIANO PER DISTRUGGERE LA FAMIGLIA i Fabio Fuiano
Il libro di mons. Delassus, Lo spirito famigliare nella società e nello Stato, appena pubblicato dalle Edizioni Fiducia (pp. 176, euro 15) con una prefazione del prof. Roberto de Mattei, è un prezioso strumento per comprendere le cause della disgregazione della famiglia e le condizioni per la sua ricostruzione.
L'autore, Henri Joseph Delassus, nacque in Francia il 12 aprile 1836 a Estaires, un piccolo villaggio nei pressi di Lille. Fu ordinato sacerdote a Cambrai nel 1862 ed esercitò il ministero nella città di Lille. Le sue numerose opere sono una mirabile espressione della scuola di pensiero contro-rivoluzionaria. Tra queste, va ricordata Il problema dell'ora presente: Antagonismo di due civiltà, che fu pubblicata nel 1904, preceduta da una lettera del cardinale Merry del Val, che impartiva all'autore la benedizione apostolica del Santo Padre Pio X. Il 19 settembre 1910 veniva dato l'imprimatur per la pubblicazione a Lille dell'opera L'Esprit Familial dans la Maison, dans la Cité et dans l'Etat, tratta dal secondo dei due volumi de Il problema dell'ora presente. Le Edizioni Fiducia propongono ora un'edizione critica di questo volume, arricchita di note, che mette a disposizione dei lettori un vero e proprio tesoro della letteratura cattolica.
Nel primo capitolo del volume, mons. Delassus, ripercorrendo la storia degli Stati, dimostra come questi, nessuno escluso, si siano formati a partire dalla cellula fondamentale che è la famiglia. Infatti, spiega l'autore, «tale è l'origine storica di tutte le tribù; e l'origine delle nazioni è affatto somigliante: le tribù si agglomerano, come si sono raggruppate le famiglie, e sempre sotto l'ascendente d'una famiglia principesca».
Nel secondo capitolo, il teologo francese spiega la struttura gerarchica dello Stato a partire da quella familiare e il piano della Rivoluzione per distruggere attraverso la famiglia la società intera.
Il terzo capitolo è dedicato alla legge principale delle famiglie e degli Stati, ovvero la legge dell'unione e ai suoi effetti benefici sulla società. Infatti, afferma mons. Delassus, «l'uomo isolato non può far niente. L'associazione ha fatto tutto ciò che noi vediamo: ha prodotto tutte le ricchezze che la civiltà possiede attualmente. Tutto è prodotto dal lavoro degli uomini associati nello spazio e nel tempo».
Il quarto capitolo è consacrato a descrivere l'origine della prosperità dei popoli e quella della loro decadenza. In particolare, spiega l'autore, nessuna società «può sussistere senza la mutua assistenza; aiuti dei grandi ai piccoli, servigi dei piccoli ai grandi; ed è cosa incontestabile che, affinché questa mutua assistenza sia efficace, e possa far regnare la pace e la prosperità nella società, non deve solamente essere occasionale, ma costante, e per essere costante, deve essere organizzata socialmente». Dati storiografici alla mano, mons. Delassus dimostra come la decadenza è venuta nel momento in cui l'uomo non ha più esercitato la virtù, cedendo il passo ai vizi, corrompendo l'aristocrazia che ha eluso i propri doveri nei confronti dei subordinati.
Nel quinto capitolo, è ben descritto l'esito di tale corruzione, dove l'amore per il denaro ha sostituito l'amore vicendevole che regolava e armonizzava i rapporti tra il superiore e l'inferiore. È col pretesto di questa corruzione che la Rivoluzione ha poi avuto man forte per sovvertire l'intero ordine gerarchico.
Dopo aver descritto le conseguenze nefaste della corruzione e dell'allontanamento degli Stati dal modello della famiglia, mons. Delassus dedica i restanti capitoli a spiegare come è possibile ritornare a quei principi che fecero grandi gli Stati. In particolare, la riforma deve passare dalla ricostituzione della famiglia capostipite, che si distingue dalla famiglia semplicemente patriarcale. Spiega mons. Delassus che sotto il regime patriarcale «il padre custodisce sotto la sua immediata autorità i propri figli, le loro donne ed i loro fanciulli. [...] Il cattivo lato di questo regime è l'abitudine, la mancanza di progresso». D'altro lato, la famiglia capostipite, pur conservandosi attraverso le età come la famiglia patriarcale presenta una maggiore flessibilità e meglio si presta al perfezionamento. In particolare, spiega il Monsignore nell'ottavo capitolo, tale famiglia «ha, come la famiglia patriarcale, un doppio elemento di stabilità e di perpetuità: l'uno materiale, il focolare; l'altro morale, la tradizione. L'interesse che la famiglia capostipite considera come maggiore e che mette avanti ogni altro, è la conservazione del patrimonio trasmesso dagli antenati. La famiglia è simile ad un alveare, vi nascono e partono nuovi sciami, ma l'alveare non deve perire. Per conservarla, i genitori, ad ogni generazione, associano alla loro autorità quello fra i loro figliuoli che giudicano più atto a lavorare di concerto con loro, per poi continuare dopo la loro morte l'opera della famiglia».
Tutto ciò è stato gravemente minato dalla Rivoluzione, soprattutto con l'imposizione per legge dell'innaturale ripartizione eguale dell'eredità fra tutti i figli, indipendentemente dalla loro ricchezza o indigenza, dignità o indegnità morale. Ciò alla lunga ha causato la scomparsa del bene patrimoniale che la famiglia capostipite cercava di conservare. Accanto al ristabilimento della famiglia capostipite, sottolinea mons. Delassus nel nono capitolo, è necessario ristabilire anche le tradizioni radicate nei principi morali che fanno virtuosi gli uomini e solide le famiglie. Come illustrato nel decimo capitolo, le tradizioni non possono essere ristabilite che per mezzo del principio vitale della famiglia tripartito nell'autorità del padre, nella santità della madre e nel culto degli antenati. Nell'undicesimo capitolo, infine, si descrive la conseguenza naturale della ricostituzione della famiglia, per come descritta nei capitoli precedenti: la ricostruzione del corpo sociale.
Non si può rendere la bellezza e la profondità delle verità contenute nelle parole di mons. Delassus con una sola recensione. Non resta che invitare il lettore a leggere il libro ed a constatarlo da sé!
12 JUN. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7806
INDIPENDENTE DAL MARITO, MA SCHIAVA DEL LAVORO di Raffaella Frullone
Mi sono sorpresa l'altro giorno nell'apprendere che tra le dipendenze più diffuse nel nostro Paese c'è ancora quella da eroina. Così riportano diversi studi, mettendo al primo posto delle dipendenze maggiormente presenti tra gli italiani proprio quella da sostanze stupefacenti, in primo piano le cosiddette droghe leggere, come i cannabinoidi e gli oppiacei, poi la cocaina e infine appunto l'eroina, che io avevo lasciato nei miei ricordi degli anni Novanta, quando le siringhe per terra mi avvisavano che quello non era solo un presidio medico.
Sul podio delle dipendenze, e qui non ci sorprende per nulla, anzi, c'è la piaga della pornografia, che dilaga ormai a livelli inimmaginabili, naturalmente anche grazie a internet ma soprattutto agli smartphone. E qui arriva il terzo gradino del podio, ossia la dipendenza da social media e appunto da quell'oggetto che solo 25 anni fa era un banale cellulare e che oggi qualcuno ha definito un nuovo «ciuccio per adulti», ossia quell'oggetto che ci rilascia dopamina al bisogno. Nella classifica troviamo poi una voce sulla dipendenza da farmaci, antidolorifici in primis, ma subito dopo antidepressivi e ansiolitici, e poi il gioco d'azzardo. Infine, malamente sopravvissuta alle campagne antifumo degli ultimi decenni, la sigaretta.
Ma c'è un'altra dipendenza considerata socialmente pericolosa, soprattutto quando si parla di donne, la cosiddetta "dipendenza dall'uomo". Il marito su tutti, naturalmente, simbolo della società patriarcale che ci vuole tutte sottomesse. Dipendere dal marito è considerato non solo sconveniente, ma anche pericoloso, in particolare viene rimarcata l'importanza dell'indipendenza economica che la donna deve raggiungere perché quella sarebbe simbolo di libertà. L'altra faccia della medaglia è una dipendenza di cui nessuno parla in modo negativo, anzi è vista come buona, auspicabile, desiderabile, e anche qui simbolo di libertà, ossia la dipendenza dal lavoro. Posto che per la gran parte della popolazione, anche femminile ahinoi, è ormai una dipendenza forzata, obbligata da esigenze economiche, il mainstream ci vorrebbe convincere che lavorare 40 ore settimanali (o di più), magari facendo la commessa, magari a 30 chilometri da casa, magari lavorando anche la sera, magari lavorando anche la domenica e, perché no?, i festivi, magari bistrattata dal capo, è sempre e comunque preferibile che rimanere a casa - ad esempio - a crescere i propri figli "dipendendo" economicamente dal marito. Non c'è qualcosa di storto in questo?
Anche perché la storia della self mede woman, quella che si fa da sola, sta in piedi esattamente come quella del self made man, ossia non sta in piedi. Noi dipendiamo sempre da qualcun altro, dipendiamo da chi ha progettato la casa in cui abitiamo, da chi l'ha costruita, ci fidiamo del fatto che abbia usato materiali buoni e li abbia posati con coscienza, dipendiamo da chi ha realizzato la nostra autovettura, o l'autobus, dipendiamo da chi fornisce ogni giorno il banco del supermercato, grazie al quale siamo certi di portare qualcosa in tavola, dipendiamo dagli imprevisti che non controlliamo, dipendiamo dal nostro corpo che oggi ci porta in giro allegramente, ma basta un callo sotto a un piede e già camminare diventa faticoso. Dipendere dal proprio marito quindi non è affatto una prospettiva così terribile, anzi, perché lui è il nostro alleato, non quello che controlla se firmiamo il cartellino o quello che decide se darci o meno due giorni di ferie. Dipendere dal marito ci ricorda che tutti, uomini e donne, dipendiamo: dipendiamo dal Creatore, siamo nelle mani di Dio, un Dio buono, che per noi prepara solo il meglio. E questo è davvero liberante.
24 ABR. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7774
LA FAMIGLIA NON PUO' ESSERE MODIFICATA DALLE LEGGI di Gianfranco Amato
La famiglia è una creazione dell'uomo o un elemento di natura? La risposta è semplice. La famiglia non è il frutto di un sistema socio-giuridico, di un determinato contesto storico-culturale, di una moda, di una concezione filosofica o politica, né tanto meno è il frutto di una dottrina religiosa. La famiglia è un elemento oggettivo di natura che precede cronologicamente e ontologicamente qualunque istituzione umana. Per questo essa è sottratta alla disponibilità dello Stato e non può essere modificata o manipolata attraverso la funzione legislativa. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-giuridico e pre-politico. Fa parte della struttura naturale dell'essere umano.
La prima immagine che abbiamo di famiglia - senza aggettivi di sorta come "naturale", "tradizionale", ecc. - risale al periodo preistorico, al Neolitico superiore in particolare. Nel 2005 in Germania, vicino alla città di Eulau, gli archeologi hanno rinvenuto alcune tombe che appartenevano a quell'epoca. In una di queste tombe hanno ritrovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna e due bambini. Furono seppelliti abbracciati tra di loro. Attraverso l'analisi del Dna gli scienziati hanno scoperto che si trattava di una famiglia: madre, padre e due figli. L'immagine che è stata ricostruita di questa famiglia, oltre ad essere particolarmente commovente, ci dice una cosa importante: in quell'epoca non esisteva nessuna legge, non esisteva nessun parlamento, non esisteva lo Stato e non esisteva nessuna Chiesa, ma esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni.
L'UOMO LASCERÀ SUO PADRE E SUA MADRE
La nostra civiltà occidentale affonda le sue radici, oltre che nella preistoria, anche nella cultura giudaica, che nel Bereshit (בראשית), il primo libro della Torah, definisce la famiglia in questi termini: «L'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla moglie e i due formeranno una sola carne».
La nostra civiltà si radica anche nella cultura classica greco-romana. Aristotele, che rappresenta la massima espressione del pensiero filosofico greco, ci ha lasciato una definizione interessante: «Polis sùnkeitai ex oikiòn», ossia «La società è costituita dall'insieme delle famiglie» (Politica, I, 1253b). Non sono i singoli individui ma le famiglie a costituire la società. E Aristotele aveva ben in mente quali fossero le funzioni e le caratteristiche della oikos, intesa come famiglia. Cinque, in particolare. La prima caratteristica era quella della despotèia, ovvero dell'autorità indiscussa: la famiglia è una comunità dove i genitori comandano e i figli obbediscono. La seconda caratteristica era quella di nascere dalla sùnzeuxis gunaikòs kai andròs γυναικός καί ἀνδρός, ovvero dall'unione di un uomo e di una donna. La terza caratteristica era legata a una funzione essenziale della famiglia, ovvero la teknopoìia, la procreazione. La quarta caratteristica era connessa alla oikonomìa, in quanto la famiglia è una comunità che si amministra e si gestisce in maniera razionale: il termine economia, peraltro, deriva proprio da «οἶκος», famiglia. La quinta caratteristica risiede in un'altra funzione fondamentale, ovvero quella della «παιδεία», l'educazione: la famiglia è la prima e più importante agenzia educativa della società.
IL PENSIERO GIURIDICO DEI ROMANI
Dopo il pensiero filosofico dei greci arriva il pensiero giuridico dei romani. Ulpiniano, uno dei più grandi giuristi dell'antica Roma, sosteneva che la famiglia si fonda sull'unico matrimonio, quello «justum», ovvero il matrimonio tra un «masculus pubes» e una «femina potens». Prima di lui il grande Cicerone aveva spiegato che la famiglia è la «prima societas», il nucleo, la cellula della società (De Officiis, I, 53-54). Essa costituisce, infatti, il fondamento della stessa società («principium urbis») e il suo vivaio («seminarium rei publicae»). Perché i romani sostenevano che la famiglia fosse un "vivaio"? Perché per essi la famiglia costituiva il primo luogo dove il cucciolo d'uomo impara a convivere con persone che non si è scelto; impara che esistono delle regole da rispettare; impara cosa significa condividere. Era una specie di filtro, di "stage" che il cucciolo d'uomo doveva affrontare prima di andare a vivere nella grande famiglia che è la società. I romani pensavano che se la natura non avesse donato questa possibilità di una sperimentazione quotidianamente della convivenza in famiglia, gli stessi uomini non avrebbero potuto vivere insieme nella società: sarebbero stati dei lupi solitari o si sarebbero scannati tra di loro. Ma poiché nella grande famiglia dove il cucciolo d'uomo andrà a vivere, cioè la società, ci sono uomini e donne, era importante per i romani che il bambino imparasse nella sua famiglia quali fossero le funzioni di questi due sessi. Ecco perché, per esempio, nonostante nell'antichità classica l'omosessualità fosse abbastanza tollerata e diffusa, nessuno si è mai sognato di parlare di matrimonio omosessuale o di famiglia tra persone dello stesso sesso. E perché non lo fecero malgrado allora ci fossero maggiori condizioni per farlo rispetto a oggi? Perché i romani avevano un senso chiaro e intelligente della laicità e sapevano distinguere tra l'aspetto privato - per cui uno a casa sua, sotto le lenzuola, può fare quello che più gli aggrada - e l'aspetto pubblico, ovvero ciò che può avere effetti negativi nella convivenza civile e nella società.
Ora, se la famiglia, come abbiamo visto, è un elemento pre-giuridico e pre-politico, ossia non ha nulla a che vedere con il diritto, la legge, il parlamento, quando e perché i documenti giuridici in Europa si occupano di essa? Esiste una data e una ragione. Dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, l'esperienza mostrò al mondo che l'unica cosa che seppe resistere e tenere insieme la società durante quello tsunami devastante fu proprio la famiglia. E il mondo comprese che, per ricostruire la stessa società dalle ceneri di quel devastante evento bellico, occorreva ripartire dalla famiglia. Per questo la Costituzione italiana del 1948, la Costituzione tedesca del 1948 e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 riconobbero l'importanza della famiglia fino ad allora sottovalutata.
LA FAMIGLIA È IL NUCLEO DELLA SOCIETÀ
L'art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, infatti, stabilisce che «la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato». E la Costituzione italiana all'art. 29 usa un verbo interessante quando afferma che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». "Riconosce" significa prendere atto di qualcosa che preesiste. L'articolo non afferma che la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione e di estinzione. Non è una creazione dello Stato.
Per comprendere esattamente il significato attribuito dai costituenti all'espressione « società naturale», è sufficiente leggere il dibattito sul tema che emerge dai verbali dei lavori preparatori della stessa Costituzione. Si possono citare, ad esempio, tre significativi interventi: le dichiarazioni di voto degli onorevoli Moro, La Pira e Mortati. Il primo affermò quanto segue: «Dichiarando che la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare». Il secondo, La Pira, precisò che «con l'espressione società naturale si intende un ordinamento di diritto naturale che esige una costituzione e una finalità secondo il tipo della organizzazione familiare». Il terzo, Mortati, volle precisare il carattere normativo della definizione di famiglia come società naturale, dichiarando che «con essa si vuole, infatti, assegnare all'istituto familiare una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione».
Poche furono le voci critiche rispetto a quella formula, e solo perché le attribuirono una portata meramente definitoria. L'on. Ruggiero, per esempio, rilevò che la Costituzione non doveva dare definizioni degli istituti, e che il progetto non ne dava alcuna, tranne che per la famiglia. Nel suo ragionamento fu interrotto dall'on. Moro, che lo fulminò con queste parole: «Non è una definizione, è una determinazione di limiti». Con quelle tre parole, espressione dell'indiscutibile intelligenza di un uomo come Aldo Moro, in maniera sintetica ed efficace fu riprodotto il pensiero della maggioranza dell'Assemblea, che volle infatti mantenere la formula «società naturale».
DESTRUTTURARE LA FAMIGLIA
Ora si pone il tema del perché si voglia far prevalere l'idea che la famiglia non rappresenti un elemento di natura, bensì una variabile socio-culturale soggetta al cambiamento anche attraverso la funzione legislativa.
Io credo - e questa rappresenta una mia convinta opinione - che oggi questa tendenza a destrutturare la famiglia ubbidisca a una precisa logica di potere.
Sembra di vivere la profezia distopica del grande scrittore inglese Aldous Huxley nella sua opera Il Nuovo Mondo, che identificava proprio nell'eliminazione della famiglia e nell'abolizione delle parole "padre" e "madre" uno dei passaggi fondamentali per il raggiungimento del dominio assoluto da parte di poteri oligarchici.
Del resto, la famiglia rappresenta l'ultimo, picco
17 ABR. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3217
DIECI MOTIVI PER CUI AMO ESSERE UN MASCHIO di don Fabio Bartoli
"Tu non mi capisci!" Di solito nelle liti di coppia questo è il rimprovero finale, quello che pone termine ad ogni discussione. Normalmente è la donna a dirlo all'uomo. Ed è giusto, perché l'uomo ha il compito istituzionale, assegnatogli dalla natura, di capirla.
La donna accoglie senza capire, lei non ne ha bisogno, intuisce.
L'uomo invece deve capire, perché deve servire. E per servire, diversamente che per accogliere, è necessario interpretare i gusti e i desideri dell'altro, prevenirli se possibile. Posso accoglierti in silenzio, ma non potrò mai servirti in silenzio. A volte parlerò con le mani anziché con la lingua, ma sempre dovrò "fare" qualcosa.
Accogliere è un essere, servire è un fare, e non si può fare senza capire, pena fare male, servire male.
Naturalmente il rimprovero è vero, molto spesso gli uomini non capiscono, nonostante si impegnino.
Il mondo è così, siamo esseri imperfetti, fatevene una ragione. Non saremo mai all'altezza dei vostri bisogni e delle vostre aspettative, non sapremo mai servirvi così bene da soddisfare ogni vostro desiderio.
Questo solo Dio può farlo.
Però in realtà oggi voglio parlare di altro.
Mi sarà lecito dire una volta, anche una volta sola e sia pure per celia, che anche le donne non capiscono gli uomini? E la cosa è assai più complicata dal fatto che invece spesso son convinte di capirli.
Ci sono così le donne che hanno in testa l'idea che l'uomo sia un eterno bambino e lo trattano come si tratta un ragazzino (dimenticando che il modo migliore di indispettire un ragazzino è di trattarlo come tale, il bimbo vuole semmai essere trattato da adulto).
Ci sono anche quelle che hanno in testa lo schema semplificato on-off, come se l'uomo si concentrasse tutto in un unico interruttore (sì, quello lì, quello del desiderio) e che una volta acceso il problema è risolto.
Ci sono poi quelle che hanno paura degli uomini e che pensano che l'uomo sia sempre sotto sotto un bruto e quindi bisogna stare attenti a tenergli la briglia corta per impedirgli di scatenarsi perché sennò chissà che potrebbe fare...
Credetemi, forse è vero che non siamo complicati come le donne, ma non siamo nemmeno così semplici.
Non nego che ci siano i mammoni e i bruti o quelli che mettono tutta la loro maschilità nell'interruttore, ma la categoria maschile è per fortuna ben più variegata di così.
Permettetemi dunque di offrirvi care amiche un brevissimo decalogo dei dieci motivi per cui amo essere maschio e mi piacerebbe che i lettori maschi del blog lo continuassero, perché non pretende affatto di essere un elenco esaustivo.
Poiché credo moltissimo nella complementarietà, ça va sans dir che non c'è alcun intento di contrapposizione in questo catalogo, quindi nessuno si senta offeso vi prego, prendetelo come un contributo semiserio ad uso delle mie amiche per provare a vedere negli uomini anche qualcos'altro.
AMO ESSERE MASCHIO PERCHÉ:
1) Perché amo finire un lavoro e dopo averlo finito fermarmi a guardarlo e compiacermi di ciò che ho fatto (Le donne che conosco di solito non sono capaci di finire il lavoro, prima di finirlo stanno già pensando a quello che faranno dopo. In questo Dio è decisamente maschio, perché il Sabato si ferma a guardare la Creazione).
2) Perché mi piace stare fermo come uno scoglio su cui si infrangono tutte le tempeste emotive (questa devo spiegarla?).
3) Perché mi piace osservare (I maschi osservano molto, una cosa alla volta, ma osservano).
4) Perché mi piace che i miei figli rischino l'osso del collo pur di affermare se stessi. Perché adoro condividere le loro vittorie (il fatto che io non abbia figli nella carne non cambia niente, ci sono molte forme di paternità).
5) Perché mi piace ridere forte e prendere le ondate di petto, in tutti i sensi (se vuoi conoscere una persona guarda come si comporta al mare).
6) Perché ho sempre desiderato essere un eroe (ci sono anche eroine naturalmente, ma l'eroismo femminile è molto diverso da quello maschile. Troppo lungo e serio da spiegarlo in questa sede però).
7) Perché amo troppo le parole per non sostenerle e rivestirle di gesti (il maschio, lo sanno tutti, realizza se stesso molto più nel fare che nel dire)
8) Perché mi piace fare il capro espiatorio (sì, non inorridite, mi piace pagare, faticare e soffrire al posto degli altri e ci sarà un motivo se non si è mai sentito parlare di una capra espiatoria).
9) Perché non mi fiderei di nessun altro per salvare il mondo (non è che le donne non salvino il mondo, è che i maschi non si fidano del fatto che lo facciano).
10) Perché come maschio troverò sempre qualcosa di bello e stupefacente in ogni donna che incontro e non entrerò mai in competizione con lei.
2 ENE. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7655
COME LA MOGLIE DI SCHUMACHER PROTEGGE IL MARITO DAL GOSSIP E DALL'EUTANASIA di Valerio Pece
Se nel mondo la Ferrari è il mito che è, lo si deve anche a Michael Schumacher, campionissimo avvolto da 10 anni - giorno in cui sfiorò la morte cadendo dagli sci - da due parole-chiave: riserbo e amore. Va detto che il rigoroso silenzio sul suo reale stato di salute si è imposto anche per combattere il triste sciacallaggio che lo ha toccato da vicino: dai paparazzi pizzicati a utilizzare droni pur di spiare dai vetri della sua villa il pilota in coma, al furto delle sue cartelle cliniche con annessa richiesta di denaro ai giornali (finì malissimo: nel 2014 il sospettato del furto si impiccherà in una cella del carcere di Zurigo). Quanto all'amore, non è difficile vedere quanto sia ancora vivo: dagli articoli che accompagnano ogni piccola novità sui suoi progressi, ai tanti tifosi (italiani in primis) che ricordano con somma riconoscenza le sue imprese (dei 7 titoli mondiali conquistati dal pilota tedesco, cinque sono stati vinti con la Ferrari).
NON É PRIVACY, É AMORE
Nella dolorosa vicenda, la figura più luminosa è senz'altro quella di Corinna, 54enne moglie di Michael, che da anni protegge e segue il marito in modo commovente. Solitamente parca di dichiarazioni, nel settembre scorso, in occasione dell'uscita su Netflix dell'unico documentario su Schumacher autorizzato dalla famiglia, ha rilasciato parole fortissime: «Ora seguiamo le cure, vogliamo che Michael senta che la famiglia è unita». Per poi aggiungere: «É evidente che mi manca, tutti sentiamo la sua mancanza, ma Michael c'è, è diverso ma c'è. E questo ci dà forza. Non avrei mai pensato che potesse succedergli qualcosa, ma è importante che lui continui ad assaporare la sua vita privata per come possibile. Lui ci ha sempre protetti, ora sta a noi farlo». Una manifestazione d'amore pregna di forza e di gratitudine.
Dietro i gesti di Corinna Betsch, spesso non compresi fino in fondo, non c'è dunque solo la fredda tutela della privacy ostentata dai giornali e dalle interviste degli addetti ai lavori («Da dieci anni Corinna non va a feste o occasioni pubbliche perché chiunque la incontri vuole sapere delle condizioni del marito e lei ha alzato una barriera a protezione della privacy», così Eddie Jordan, il team manager che lanciò Schumacher in Formula 1, in un'intervista del gennaio scorso). Parlare di privacy, come fa la quasi totalità dei commentatori, oltre che riduttivo è ingiusto e ingeneroso. La volontà di allestire a mo' di ospedale la villa di famiglia (a Gland, sul lago di Ginevra) al fine di permettere ad uno staff medico di fornire al marito cure quotidiane racconta molto dello smisurato e incrollabile affetto con cui la signora Schumacher circonda il marito, ma soprattutto dice della volontà di continuare a vivere ogni attimo insieme, nella buona come nella cattiva sorte. Poco importa che le cure per il marito costino 10 milioni di euro l'anno (così sono state quantificate le spese mediche): pur di farlo accedere alle terapie più avanzate, come una manager premurosa Corinna ha prima messo in vendita l'aereo privato del marito e poi la villa a Trusil, in Norvegia. In quella Svizzera che la martellante propaganda radicale impone di associare all'eutanasia e alla morte, nulla dev'essere lasciato intentato in termini di cura e di vita.
PIETRA D'INCIAMPO
L'unico che sembra aver compreso a fondo il nuovo contesto umano suscitato dall'incidente del pilota tedesco, calandosi nell'inedita realtà famigliare con assoluta normalità è Jean Todt, direttore generale della Scuderia Ferrari e amico fraterno di Schumi. «Non posso dire che Michael mi manca perché lui, alla fine, c'è», ha dichiarato Todt al quotidiano francese L'Equipe. Tra i pochissimi a entrare regolarmente a casa del sette volte campione del mondo, Todt ha aggiunto: «Oggi è uno Schumacher diverso ed è magnificamente sostenuto da moglie e figli che lo proteggono. La sua vita è cambiata e io ho il grande privilegio di poter condividere alcuni momenti insieme a lui. Questo è tutto quello che c'è da dire». A proposito di candidi momenti di condivisione, rumors parlano di gare di Formula 1 guardate alla tv dai due amici sul divano di casa Schumacher.
Ed è proprio in questo "esserci in modo diverso" che si gioca la comprensione che oggi il mondo ha del campione di automobilismo. Costringendo tutti a uno sforzo sul senso profondo della vita, Michael Schumacher, inutile negarlo, oggi è una pietra d'inciampo. Ma è proprio questo tipo di riflessione che non può più chiedersi al dibattito odierno, impoverito e umiliato da un relativismo dilagante. Ecco allora l'imbarazzo dei cronisti. Palpabile. Coglie il punto Mario Donnini con un editoriale su Autosprint. «C'è e non c'è, è vivo ma non interagisce», scrive lo scrittore e giornalista, «non interviene, non può farlo [...] se ne ragiona molto spesso a sproposito, giocando a indovinare invece di rispettare, a carpire al posto di capire». Ma è il passaggio successivo quello in cui Donnini tocca il nervo scoperto del nostro tempo: «E così nel mondo iperconnesso h24, in cui chiunque sa e si racconta come vuole, uno tra gli uomini più conosciuti del mondo diventa improvvisamente impercepibile. Svanisce, si decontestualizza, perde domicilio mediatico per scelta dei suoi cari, i quali ritengono di non dover far altro che curarlo, custodirlo e proteggerlo».
Si può rimanere vivi (continuando a stupire e a vincere) in molti modi. Oggi Michael, Corinna e i loro due figli sono protagonisti di un secondo tempo della gara che va raccontato, perché è una lezione di vita impagabile, quella della vittoria dell'amore sul dolore. «Forte come la morte è l'amore»: quanto si legge nel Cantico dei Cantici lo vivono ancora oggi due innamorati in una villa di Gland adattata a ospedale. Sempre e per sempre.
2 ENE. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7652
COME SALVARE I FIGLI DALLO SMARTPHONE di Cristina Siccardi
Smartphone e social media, come ben sappiamo, hanno radicalmente cambiato la vita di tutte le persone, di qualsiasi età e di qualsiasi ceto sociale. Tutti gli strumenti, più o meno complessi, hanno mutato nel corso della storia la vita quotidiana delle persone e il loro impatto è stato positivo o negativo a seconda del loro utilizzo, ovvero dal criterio con cui ciascun individuo se ne serve. Ma quelli di cui stiamo parlando hanno un impatto massificante di straordinario potere persuasivo, plagiatorio, psicologico.
La commercializzazione degli smartphone è iniziata nel 1993 con IBM e, in breve tempo, essi hanno riempito i mercati mondiali con migliaia di modelli e centinaia di milioni di utenti. Il primo social network della storia corrisponde al sito americano SixDegrees, lanciato a New York nel 1997 dal suo fondatore Andrew Weinreich. I social media hanno rappresentato un cambiamento nel modo in cui le persone leggono, apprendono e condividono, senza sosta, informazioni e contenuti. Con i social media è mutato completamente il modello di comunicazione tipico dei media tradizionali (radio, stampa, televisione): il messaggio non è più "da uno a molti" (monodirezionale, dal broadcaster al suo pubblico), ma "da molti a uno", con elevato livello di interazione. L'informazione si è "democratizzata" in un liberalismo esasperato, trasformando i soggetti da meri fruitori a editori di se stessi, interconnettendosi con altri soggetti monitorati in tutto il mondo attraverso colossi mediatici come Facebook, LinkedIn, Instagram, TikTok.
Oggi esiste una vera e propria bulimia nell'uso degli smartphone e dei socialmedia. Attività e virtù come autodisciplina e temperanza, moderazione e sobrietà, equilibrio, stabilità, prudenza e armonia, concentrazione e silenzio sono andate smarrite nella civiltà edonistica, del "mordi e fuggi", dell'insaziabilità su più fronti, della frenesia, dell'ansia, del frastuono acustico e visivo, dove la massa di informazioni si schianta con la vuotezza di principi e valori giusti e sani.
Fatto incontestabile è che chat e videogiochi (solitari o in comunità web) creano enorme dipendenza: soggiogano, ingabbiano mente e spirito, sviluppando problemi e condizionamenti a dismisura. Essere interconnessi continuamente, da quando ci si sveglia a quando si va a dormire, significa avere l'attenzione degli innumerevoli "amici" sui propri pensieri, sentimenti, intenzioni.
UN BILANCIO ALLA LUCE DELLA FEDE CATTOLICA
Dopo più di vent'anni di uso incessante di questi dispositivi e di questo genere di comunicazione, quale bilancio si può dare? Il tema non può certo essere esaurito in questo contesto. Tuttavia, possiamo considerarne le conseguenze e, allo stesso tempo, alla luce della fede cattolica e quindi delle sane virtù, possiamo risparmiare figli e nipoti da squilibri, fobie e schizofrenie che provengono dall'uso paranoico e smodato di tali strumenti.
Tanto è forte il collegamento fra lo smartphone e i comportamenti adolescenziali che la professoressa Jean M. Twenge, docente di psicologia della San Diego State University, ha definito questa generazione «iGen», generazione «iphone». Da venticinque anni Twenge studia i trend generazionali. Ha lavorato sul senso di ribellione dei Baby boomer (i nati dal 1945 al 1965), sul desiderio di indipendenza della generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980), sull'individualismo dei Millennials (nati fra il 1980 e il 2000) e confrontando i dati comportamentali di queste ultime generazioni, con famiglie spesso dissestate, ha rilevato che gli adolescenti di oggi sono più depressi, passano il tempo con i coetanei soprattutto sui telefonini, sono soli, vulnerabili, con precaria salute mentale e a maggior rischio di suicidio. Essi sono molto fragili, benché spavaldi. I tassi della depressione e di suicidio sono aumentati dal 2011 ad oggi. Gran parte della crisi del deterioramento della salute mentale può essere ricondotto all'uso smodato dei telefonini. L'ascesa dello smartphone e dei social media hanno causato un terremoto di proporzioni mai viste. I dispositivi che si sono messi nelle mani dei giovanissimi stanno avendo profondi effetti sulla loro vita, rendendoli seriamente infelici. Ormai ci sono genitori che consegnano, senza alcuno scrupolo, gli smartphone a bimbi di 2/3 anni e tale deplorevole scelta avrà ripercussioni spaventose.
In media, la maggior parte degli adolescenti trascorre dalle 3 alle 6 ore al giorno con lo smartphone, utilizzato anche a scuola durante le lezioni. Tutto questo tempo passato sugli schermi interconnessi creano dipendenza, isolamento, insorgenza di malattie cardiovascolari, disfunzioni metaboliche e diabete, come ha evidenziato in rete l'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Inoltre, una scarsa qualità del sonno favorisce stanchezza, depressione, abuso di alcol, disturbi ossessivo-compulsivi, abuso di sostanze, atti di autolesionismo, risultati scolastici scadenti... considerando anche il fatto che l'uso eccessivo dello smartphone può determinare un approccio superficiale all'apprendimento e induce alla distrazione e ad un notevole abbassamento della concentrazione.
L'OZIOSITÀ INSEGNA OGNI SORTA DI VIZI
Ogni anno, quasi 46.000 bambini e adolescenti tra i 10 e i 19 anni si tolgono la vita in tutto il mondo, circa uno ogni undici minuti. Il suicidio è la quinta causa di morte più comune fra i giovanissimi e la quarta nella fascia d'età dai 15 ai 19 anni (la terza se si considerano solo le ragazze).
Sono tra 3.700 e 4.000 le persone che ogni anno si tolgono la vita in Italia (dati Istat relativi al periodo 2016-2020). Il dato riferito ai giovani fra i 15 e i 34 anni registrato nello stesso periodo è in media di circa 500 suicidi. Come è noto le varie forme di violenza psicologica e fisica fra i minori è cresciuta in modo esponenziale (baby gang) grazie anche all'imperversare sui dispostivi tecnologici delle infauste canzoni dei rapper, che mietono odio, ribellione, sesso, droga, alcol e violenza in genere.
Poiché le autorità non pongono freno ("per il bene" delle lobby economiche di potere e della "democrazia") a questo tsunami, che miete vittime e si beffa di tutti, di piccoli e grandi, è bene recuperare le medicine dell'educazione cattolica, così stanno facendo le famiglie rimaste fedeli al Vangelo. Esse fanno riferimento all'eccellente tradizione pedagogica della Chiesa e vanno a leggersi, grazie ai suggerimenti di sacerdoti e intellettuali, ciò che lasciano scritto i santi maestri educatori. Poiché il tempo è preziosissimo (è breve e non torna più), è fondamentale impiegarlo al meglio, non certo nell'ozio (lo smartphone non è forse una grave forma di ozio?). Scriveva san Giovanni Bosco: «Dalle letture [oggi si potrebbe anche aggiungere: dalle chat] dipende moltissime volte la scelta definitiva (per i giovanetti) che fanno del bene o del male» per sé e gli altri, quindi: «Fuggite l'ozio e gli oziosi, lavorate secondo il vostro stato; quando siete disoccupati siete in gravissimo pericolo di cadere in peccato. L'oziosità̀ insegna ogni sorta di vizi» e «Abborrite le malvagie letture più che la peste». Per conservare la purezza, la Chiesa preconciliare, che lottava contro liberalismo, socialismo e spirito rivoluzionario, esortava a tenere lontano le cattive letture e la cattiva cinematografia, veleno per le anime. Affermava ancora don Bosco: «La felicità non si trova in questo mondo, se non si ha la pace con Dio; se [la gente] è così malcontenta ed arrabbiata, è perché́ non pensa alla salute dell'anima sua». [...]
5 DIC. 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/edizioni.php?id=850
PER DIFENDERE LE DONNE DOBBIAMO TORNARE AL PATRIARCATO
L'assassino di Giulia Cecchettin non è figlio del patriarcato, ma del '68, relativista e femminista che oggi permea la società (se invece la moglie rispetta il marito, non viene uccisa, ma è amata, rispettata e difesa)
di Roberto De Mattei
Dopo l'omicidio di una giovane donna, Giulia Cecchettin, avvenuto lo scorso 11 novembre, l'Italia ha scoperto di essere minacciata dal patriarcato, Il titolo di un dossier del quotidiano "La Repubblica" del 24 novembre è eloquente: "Femminicidi fermiamo la strage". La tesi, che è la stessa diffusa dai mass-media, dai social e da ogni tipo di influencer è che esiste una strage di femminicidi e la responsabilità va attribuita alla cultura del "patriarcato", ancora dominante. Bisogna combattere il patriarcato per fermare la violenza contro le donne.
Il patriarcato era un sistema sociale che sanciva l'autorità dell'uomo e la divisione dei ruoli all'interno della famiglia. L'autorità paterna è stata sempre considerata, ad eccezione del tempo presente, come uno degli elementi invariabili dell'ordine sociale, necessaria a tutti i popoli e in tutti i tempi. Per secoli, il padre ha esercitato nella famiglia il ruolo che il sovrano esercitava nella società politica (la stessa parola patria deriva da padre) e che il Papa, il "Santo Padre" esercita nella Chiesa. Ancora cinquant'anni fa era questo il modello familiare italiano: il padre doveva guidare la famiglia e provvedere al suo mantenimento economico, la madre si occupava della casa e dell'educazione dei figli, che erano numerosi. Il nucleo familiare comprendeva spesso anche i nonni, depositari di una tradizione che si trasmetteva di generazione in generazione.
Questo sistema sociale è stato distrutto dalla rivoluzione culturale del Sessantotto, e da ciò che ad essa è seguito: leggi come il divorzio, l'aborto, e, in Italia, soprattutto la legge sul nuovo diritto di famiglia del 22 aprile 1975, che ha decapitato l'autorità paterna, abolendo la preminenza giuridica del padre contribuendo alla scomparsa dell'autorità e dell'identità nelle famiglie italiane.
LA DISTRUZIONE DELLA FAMIGLIA
Tra gli ideologi del ‘68, ricordiamo anche i teorici della "antipsichiatria", come David Cooper, autore di un libro più volte ristampato da Einaudi, dal titolo significativo La morte della famiglia. Questa era la convinzione che iniziò a diffondersi alla fine degli anni Sessanta del Novecento: l'estinzione, prossima e inevitabile, dell'istituto famigliare. In quel saggio, Cooper proponeva di cancellare il ruolo paterno sostituendolo con quello fraterno, auspicando quindi una paradossale società di fratelli senza padre, anzi di fratelli perché assassini del Padre: come era successo nel 1793 con l'assassinio del Re di Francia, come auspicava Nietzsche profetizzando l'assassinio di Dio Padre.
Il processo di democratizzazione della Chiesa, della società e della famiglia è un tutt'uno. La distruzione della famiglia doveva far leva particolarmente sulla "liberazione" della donna. Il femminismo ha preteso di abolire la distinzione dei ruoli maschile e femminile, distruggendo la vocazione naturale alla maternità e alla femminilità. La rivendicazione del "diritto" di aborto e di contraccezione è stata avanzata come diritto della donna ad autodeterminare il proprio corpo e la propria sessualità, liberandosi dall'autorità maschile e dal "peso" della maternità. Alla mascolinizzazione della donna ha corrisposto la devirilizzazione dell'uomo, promossa a tutto spiano dalla moda, dalla pubblicità e dalla musica. La teoria del gender è un punto di arrivo, ma gli slogan contro la cultura del patriarcato che oggi risuonano, hanno la loro origine in manifestazioni femministe come quella che si svolse a Roma il 6 dicembre 1975, animata da circa ventimila donne, che ritmavano slogan come questo: "Non più mogli, madri, figlie! Distruggiamo le famiglie!".
E la famiglia è stata distrutta. Si è dissolta l'autorità del padre, si sono soppressi i ruoli di genere e tutti i componenti della famiglia, padre, madre e figli, soffrono una profonda crisi di identità. La famiglia patriarcale non esiste più in Italia, salvo poche isole felici. E in queste poche isole che più che patriarcali dovremmo definire naturali, la moglie rispetta il marito e i figli rispettano i genitori, e la donna non viene uccisa, ma è amata e rispettata. L'assassino di Giulia Cecchettin non è figlio della cultura del patriarcato, ma della cultura sessantottina, relativista e femminista che oggi permea la società intera e di cui tutti sono responsabili e vittime allo stesso tempo.
UNA SOCIETÀ DI SINGLE
Ma la crisi della famiglia va oltre la fine della famiglia patriarcale. L'Italia si avvia ad essere una società di "single", senza più famiglie. Secondo l'ultimo rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del paese, nel 2040 solo una coppia su 4, cioè il 25,8% del totale, avrà figli e le famiglie composte da una sola persona saranno il 37%. Il 34% degli italiani saranno anziani e soli. Ciò perché oggi è in crisi non solo la famiglia, ma l'esistenza stessa di una coppia. Non solo ci si sposa sempre di meno, e si mettono al mondo meno figli, ma si convive anche di meno, perché si rifugge dall'idea di avere una qualsiasi responsabilità verso un partner o compagno, che si ha paura di avere troppo a lungo vicino.
Il cosiddetto femminicidio non è frutto della vecchia cultura patriarcale, ma della nuova cultura anti-patriarcale, che confonde le idee, fragilizza i sentimenti, destabilizza la psiche, privata di quel sostegno naturale che, fin dalla nascita, offriva la famiglia, con suoi punti di sicurezza, paterni e materni. L'uomo è solo con i suoi incubi, le sue paure, le sue angosce, sull'orlo di un abisso: l'abisso del vuoto in cui si precipita quando si rinuncia ad essere ciò che si è, quando si abbandona la propria natura immutabile e permanente di uomo, di donna, di padre, di madre, di figlio. E se tutti parlano di femminicidio, nessuno parla di un crimine ben più esteso e diffuso: quello di infanticidio, commesso ogni in giorno in Italia, in Europa e nel mondo, da padri e madri che esercitano la massima delle violenze contro il proprio figlio innocente, prima ancora che egli veda la luce.
Una società che uccide i suoi figli è condannata a morte e l'alito della morte, sotto ogni forma, non solo quella del femminicidio, si fa sentire sempre di più. La vita, la restaurazione della società, è possibile solo riconquistando il modello naturale e divino della famiglia. Per fermare la follia che distrugge la nostra società bisogna tornare, con l'aiuto di Dio, al modello di famiglia patriarcale, fondata sull'autorità del padre, capo della famiglia e sulla santità della madre, che ne costituisce il cuore: uniti entrambi nel compito di procreare ed educare dei figli per farne dei cittadini del cielo. L'alternativa è l'inferno, che già inizia su questa terra.
13 SEP. 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=836
E' VALIDO IL MATRIMONIO DI CHI SI SPOSA SENZA FEDE?
Basta sposarsi secondo i valori naturali di un autentico matrimonio (fedeltà, indissolubilità, apertura alla vita, ecc.) perché il matrimonio sia valido
di Jacques-Yves Pertin
I cattolici che si sposano in Chiesa senza fede, o con poca fede, ricevono il sacramento del matrimonio? Questione molto attuale, che ne implica un'altra: qual è l'influenza di una società scristianizzata, a volte perfino ostile ai valori del matrimonio, sulla validità del matrimonio cristiano? Cominciamo a capire cos'è precisamente il "matrimonio cristiano".
Come afferma la Chiesa nel Codice di Diritto Canonico (can. 1057 § 1) «l'atto che costituisce il matrimonio è il consenso». La natura stessa inclina l'uomo a dare questo consenso. In altre parole: «Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste» nella natura che Dio ha creato. Ciò significa che il matrimonio è una realtà naturale, prima di essere un sacramento.
Come fa notare lo stesso canone, il fatto di sposarsi non si riferisce al compimento di un'attività specificamente soprannaturale, ma al conseguimento di azioni naturali come procreare ed educare i figli.
È proprio questo matrimonio naturale, come insegna san Paolo, che è stato elevato alla dignità sacramentale per permettere agli sposi, citando Leone XIII, di «ricevere la santità nel matrimonio stesso».
Così la realtà naturale è diventata inseparabile dalla realtà sovrannaturale. Tra battezzati, ormai, il mutuo consenso non può essere separato dal sacramento. Va sottolineato, però, che «non c'è accanto al matrimonio naturale un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali».
Gli sposi cristiani non fanno un matrimonio naturale e un matrimonio sacramentale, come ingenuamente si potrebbe credere nei Paesi dove c'è prima il matrimonio in Comune e poi in Chiesa. Il sacramento non cambia l'essenza del matrimonio, lo eleva.
Quanti sposi fanno l'esperienza di questo nella loro vita: nelle difficoltà, come anche nella vita quotidiana, la grazia del matrimonio data da Dio viene a santificare tutto, viene a dare l'aiuto necessario giorno dopo giorno. La vita degli sposi non è da un lato naturale e dall'altro sopranaturale. Il "matrimonio cristiano" è innestato nella vita coniugale degli sposi, sicché ogni minima azione viene fatta con Dio e per Dio.
Da ciò si conclude che chiedere per il sacramento del matrimonio un requisito di fede, al di là di quello di voler sposarsi secondo i valori naturali di un autentico matrimonio (fedeltà, indissolubilità, apertura alla vita, ecc.), può condurre a gravi errori sulla natura stessa del matrimonio, a ridurre il diritto di tutti a sposarsi, o ancora a voler «separare il matrimonio dei cristiani da quello delle altre persone».
Se gli sposi si scambiano tale consenso senza negare una delle qualità essenziali del matrimonio, la loro mancanza di fede non può "invalidare" un tale matrimonio poiché il matrimonio naturale e il sacramento sono diventati dopo la venuta di Gesù Cristo "la stessa e unica cosa".
Sicuramente è una questione molto delicata. Il Papa stesso, con grande umiltà, la affrontava davanti ai sacerdoti della diocesi di Aosta nel 2006 dicendo che personalmente aveva creduto, quando era Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, che un matrimonio celebrato senza fede fosse nullo: "Io personalmente lo pensavo".
Spesso infatti i numerosi fallimenti dei matrimoni e portano la gente a pensare che se uno va in Chiesa a sposarsi e che non "ci crede", non è sposato. Non è così!
Ogni uomo ha un potere naturale speciale e unico di darsi al suo coniuge, potere davanti al quale Dio quasi sembra cedere il passo: è un grande potere, ed è una grande responsabilità. Il sacramento del matrimonio vive in tutti coloro che fanno un vero matrimonio perché la Grazia non distrugge la natura ma la perfeziona.
22 AGO. 2023 · VIDEO: Franco Nembrini ➜ https://www.youtube.com/watch?v=NAZACKOwRq4
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7507
COME SI EDUCANO GLI ADOLESCENTI di Fiorenza Cirillo
Ah, le vacanze! Periodo di rinascita, per tutti, tempo prezioso da condividere con i figli... a meno che non siano adolescenti. L'alterità di un figlio è qualcosa che sciocca e stupisce fin dal primo momento in cui li teniamo in braccio, ma c'è un periodo glorioso, che è quello dell'adolescenza, in cui questa alterità esplode in tutta la sua brutalità. Pare che nulla di quello che facciamo come genitori venga da loro apprezzato e più andiamo loro incontro e meno ci riesce il contatto. E poi c'è la faccenda dell'educazione che opprime noi che, a nostra volta, opprimiamo loro.
È infatti uno sperticarsi di tentativi di proporre qualcosa che noi avremmo fatto alla loro età, qualcosa che noi avremmo dovuto fare alla loro età o che avremmo dovuto voler fare, se avessimo avuto, allora, il senno di poi che ora abbiamo. In questo modo rischiamo di vivere l'educazione come una pretesa, perché la confondiamo con il tentativo di fare diventare nostro figlio quello che noi vorremmo che fosse, ma a lui di quel che noi vogliamo che sia non gliene importa niente e fa bene. Ma quando parliamo di educazione, di che cosa parliamo?
COSA SIGNIFICA PARLARE DI EDUCAZIONE?
Recentemente mi hanno provocata e affascinata le parole del prof. Franco Nembrini in un incontro a Cesena su adulti e adolescenti, di rado infatti ho sentito parlare con tanta chiarezza di un tema così urgente. Lo slogan con il quale esordisce sull'argomento è già estremamente eloquente: "Il segreto dell'educazione è non avere il problema dell'educazione, se hai il problema dell'educazione, vuol dire che fai parte del problema".
Cita poi un vecchio articolo del Corriere della Sera in cui un neurologo infantile spiega chiaramente che un bambino che sta per nove mesi nella pancia di una donna contenta, più facilmente verrà al mondo con un sentimento positivo della vita e la percepirà come una cosa grande, buona, bella. Al contrario, un bambino che passa nove mesi nella pancia di una donna incazzata, arrabbiata con sé, col marito che la tradisce, col figlio grande che c'è già e la fa tribolare, quel bambino più difficilmente sentirà la vita come un bene. Se le cose stanno così, vuol dire che la cosa più importante nell'educazione è far sì che il bambino, e poi il ragazzo, abbia attorno a sé un sentimento positivo della vita da cui assimilare come per osmosi il bello dell'esserci. Come lo apprende? Semplicemente guardando gli adulti che gli danno, con la loro testimonianza, l'idea della vita.
Il problema vero dell'educazione, dunque, è che cosa vede il bambino quando ci guarda. "La prima grande verità" insiste Nembrini "è che l'emergenza educativa in cui viviamo non è l'emergenza di ragazzi che non vanno bene, ma è l'emergenza di una generazione di adulti che non ha speranza sufficiente da dare ai propri figli, non ha un'ipotesi grande per cui vivere. Tutti noi adulti siamo senza alibi. L'emergenza educativa siamo noi. I nostri figli, il loro mestiere lo fanno, lo sanno fare per natura, perché nascono con quella cosa che si chiama cuore, una inarrestabile tensione ad abbracciare tutto, a conoscere tutto, ad amare tutto. E anche se da bambino è inconsapevole di questa tensione positiva, poi, crescendo, comincia a rendersi conto di avere dei desideri. [...] Per questo un figlio non ha bisogno che gli si dica spesso che cosa deve fare, come deve essere, non si tratta di insegnargli a diventare grande, perché impara semplicemente guardandoci. Il problema dell'emergenza educativa è chiedersi: quando guarda noi, che cosa vede? Se non si capisce questo, è inevitabile il fallimento, è davvero decisivo questo aspetto, perché è la fonte di tutti gli equivoci. In famiglia, a scuola, in oratorio, il bambino, il ragazzo apprende così".
DOVE SONO GLI EDUCATORI?
Riporta poi un esempio della sua fanciullezza: "Io son certo di una cosa nel rapporto con mio papà. Io avrei potuto giurare, ero bambino, eh, ma avrei potuto giurare che, quando mio padre mi guardava, se riuscivo a intravedere un sorriso, un qualche sorriso, appena appena l'ombra di un sorriso di compiacimento, io impazzivo, io sentivo che mio padre avrebbe dato la vita per me lì, in quell'ora, in quel momento. Avrebbe dato la vita per me, senza chiedermi di cambiare. In questo senso sono sempre stato grato dell'amore che ho colto nella mia storia. [...] Ringrazierò mio padre per l'eternità di una cosa: che si è occupato della sua santità, non della mia e occupandosi della sua mi ha reso invidioso, ho desiderato essere felice come lui".
Rispondere ai figli con una testimonianza così luminosa fa sì che desiderino anche per sé quella contentezza e si avvicinino, invece di sentirci così nemici, così lontani, così estranei. "Perché noi veniamo fuori con delle incoerenze mostruose: parliamo di alti valori e poi l'unico valore del figlio che prendiamo in considerazione è dato dalla performance scolastica, dalla pagella. Quando disubbidisce, quando ti insulta, quando scappa di casa, quando si ammazza di canne in realtà sta gridando: papà, mamma, prete, maestro, maestra, suora, adulto, dove siete? L'educatore è quello che sente il grido di questi ragazzi. Giovanni Bosco, a Torino, andava con le tasche piene di caramelle dalla polizia a chiedere che quei ragazzi di strada li dessero a lui, perché lui riusciva a sentire il grido di quei ragazzi: "Fatemi vedere che vale la pena!" Il problema educativo è tutto qui".
Se dunque vale la pena, non ci sarà bisogno di tante spiegazioni, ma di un vivere nostro che testimoni la bellezza di diventare grandi.
Consigli utili (e verificati sul campo) su come vivere bene in famiglia
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Autor | BastaBugie |
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