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In effetti

  • Cattedra, penna e libro (La Bibbia secondo Il Trono di Spade)

    27 AGO. 2023 · Testo della catechesiSi alza un portale, tre Guardiani della Notte oltrepassano un lungo tunnel che termina con un secondo portale, oltrepassato il quale vedono ciò che non avrebbero mai immaginato di vedere: gli Estranei! Solo uno di loro riesce a sopravvivere e, giunto a Grande Inverno, viene decapitato per aver detto quanto visto.. letteralmente un martire, dal greco mártys, “testimone”, colui che ha visto qualcosa e ne dà “testimonianza”. Alla sua esecuzione assiste, con occhi ben aperti, un giovanotto di nome Brandon. Ha appena dieci anni e gli viene chiesto di assistere come forma di rito iniziatico poiché, dice il padre alla moglie: «il bambino deve crescere, l’inverno sta arrivando». Brandon poco prima si stava esercitando con l’arco, ma aveva mancato più volte il bersaglio, azione che, nella Bibbia, è l’immagine più concreta per intendere il peccato. Nei boschi viene ritrovato un cervo morto, ucciso da un animale estinto ormai da anni, la metalupa, morta a sua volta a pochi metri, lasciando orfani cinque cuccioli, ognuno dei quali viene preso dai rispettivi figli di Eddard Stark, colui che ha decapitato il Guardiano nonché padre di Brandon. Un sesto cucciolo, tuttavia, «lo scarto della figliata», così si dice, viene affidato a Jon Snow, figlio “bastardo” di Eddard. Il sesto giorno, sempre nella Sacra Scrittura, Dio ha creato l’uomo.. (cfr. Gn 1,26-27). Pochi minuti e Jon, mentre a Grande Inverno si sta festeggiando per l’arrivo del re, incontra il nano Tyrion, che lo chiama bastardo, sentendosi rispondere: «Che ne sai di cosa provi un bastardo?». «I nani – gli fa eco Tyrion, in assoluto il personaggio più amato dal pubblico – sono bastardi agli occhi dei loro padri». L’episodio si chiude con qualcuno, questa volta Brandon, che vede qualcosa che non doveva vedere.. E nella Bibbia, ci sia concesso un ultimo accostamento (bugia!), Dio sceglie continuamente l’ultimo, il secondo, lo scarto, non certo i migliori e più quotati. Tale concetto ha la sua trasposizione “martiniana” nelle figure del nano e del bastardo. Ma di cosa stiamo parlando? Nei 62’ della prima puntata – che ci spoilera subito che il Regno di Dio è dei “piccoli”, in tutti i sensi – sono insomma concentrati quasi tutti gli elementi di una saga fantasy pazzesca, carica di sesso quanto violenta, capace di mostrare risvolti politici quanto religiosi, psicologici quanto sociologici, atavici quanto attuali.  Il titolo che abbiamo voluto dare a questo episodio della rubrica In effetti, che indaga la serie tv de Il Trono di Spade, è già gravido di intenti: se la cattedra, dal greco “sedia (a braccioli)”, è simbolo di autorità e potere, in chiesa come a scuola, il trono ne è la sua forma diciamo così “imperiale”; la  penna è invece lo strumento capace di mettere “nero su bianco” quanto la parola afferma, ma «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio», recita la Lettera agli Ebrei (4,12), mentre in quella agli Efesini san Paolo invita i suoi a prendere «la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (6,17), ragion per cui viene spesso raffigurato con quest’arma in mano; il libro, infine, è l’oggetto fisico che contiene e trasmette quanto narrato, nella Bibbia come nel romanzo de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R.Martin, che ha ispirato l’adattamento televisivo di  Game of thrones, la serie tv andata in onda dal 2011 al 2019 attraverso 73 episodi, proprio come il numero dei libri che compongono la Bibbia cattolica, ma prendiamolo come un caso..          A crearla sono stati David Benioff (pseudonimo di David Friedman), la cui famiglia ha origini ebraiche e già noto per l’adattamento cinematografico de Il cacciatore di aquiloni, e l’appassionato di videogiochi Daniel Brett Weiss. Durante l’eucaristia di una settimana di evangelizzazione di strada a Riccione, datata ormai nel lontano 2003, il fiorentino don Gianni Castorani disse durante l’omelia: «Preghiamo affinché i VIP si convertano!». È la serie tv statunit...
    Escuchado 48m 3s
  • Cattedra, penna e libro (La Bibbia secondo Il Trono di spade)

    27 AGO. 2023 · Si alza un portale, tre Guardiani della Notte oltrepassano un lungo tunnel che termina con un secondo portale, oltrepassato il quale vedono ciò che non avrebbero mai immaginato di vedere: gli Estranei! Solo uno di loro riesce a sopravvivere e, giunto a Grande Inverno, viene decapitato per aver detto quanto visto.. letteralmente un martire, dal greco mártys, “testimone”, colui che ha visto qualcosa e ne dà “testimonianza”. Alla sua esecuzione assiste, con occhi ben aperti, un giovanotto di nome Brandon. Ha appena dieci anni e gli viene chiesto di assistere come forma di rito iniziatico poiché, dice il padre alla moglie: «il bambino deve crescere, l’inverno sta arrivando». Brandon poco prima si stava esercitando con l’arco, ma aveva mancato più volte il bersaglio, azione che, nella Bibbia, è l’immagine più concreta per intendere il peccato. Nei boschi viene ritrovato un cervo morto, ucciso da un animale estinto ormai da anni, la metalupa, morta a sua volta a pochi metri, lasciando orfani cinque cuccioli, ognuno dei quali viene preso dai rispettivi figli di Eddard Stark, colui che ha decapitato il Guardiano nonché padre di Brandon. Un sesto cucciolo, tuttavia, «lo scarto della figliata», così si dice, viene affidato a Jon Snow, figlio “bastardo” di Eddard. Il sesto giorno, sempre nella Sacra Scrittura, Dio ha creato l’uomo.. (cfr. Gn 1,26-27). Pochi minuti e Jon, mentre a Grande Inverno si sta festeggiando per l’arrivo del re, incontra il nano Tyrion, che lo chiama bastardo, sentendosi rispondere: «Che ne sai di cosa provi un bastardo?». «I nani – gli fa eco Tyrion, in assoluto il personaggio più amato dal pubblico – sono bastardi agli occhi dei loro padri». L’episodio si chiude con qualcuno, questa volta Brandon, che vede qualcosa che non doveva vedere.. E nella Bibbia, ci sia concesso un ultimo accostamento (bugia!), Dio sceglie continuamente l’ultimo, il secondo, lo scarto, non certo i migliori e più quotati. Tale concetto ha la sua trasposizione “martiniana” nelle figure del nano e del bastardo. Ma di cosa stiamo parlando? Nei 62’ della prima puntata – che ci spoilera subito che il Regno di Dio è dei “piccoli”, in tutti i sensi – sono insomma concentrati quasi tutti gli elementi di una saga fantasy pazzesca, carica di sesso quanto violenta, capace di mostrare risvolti politici quanto religiosi, psicologici quanto sociologici, atavici quanto attuali.   Il titolo che abbiamo voluto dare a questo episodio della rubrica In effetti, che indaga la serie tv de Il Trono di Spade, è già gravido di intenti: se la cattedra, dal greco “sedia (a braccioli)”, è simbolo di autorità e potere, in chiesa come a scuola, il trono ne è la sua forma diciamo così “imperiale”; la  penna è invece lo strumento capace di mettere “nero su bianco” quanto la parola afferma, ma «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio», recita la Lettera agli Ebrei (4,12), mentre in quella agli Efesini san Paolo invita i suoi a prendere «la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (6,17), ragion per cui viene spesso raffigurato con quest’arma in mano; il libro, infine, è l’oggetto fisico che contiene e trasmette quanto narrato, nella Bibbia come nel romanzo de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R.Martin, che ha ispirato l’adattamento televisivo di  Game of thrones, la serie tv andata in onda dal 2011 al 2019 attraverso 73 episodi, proprio come il numero dei libri che compongono la Bibbia cattolica, ma prendiamolo come un caso..          A crearla sono stati David Benioff (pseudonimo di David Friedman), la cui famiglia ha origini ebraiche e già noto per l’adattamento cinematografico de Il cacciatore di aquiloni, e l’appassionato di videogiochi Daniel Brett Weiss. Durante l’eucaristia di una settimana di evangelizzazione di strada a Riccione, datata ormai nel lontano 2003, il fiorentino don Gianni Castorani disse durante l’omelia: «Preghiamo affinché i VIP si convertano!». È la serie tv statunitense Of kings and pr...
    Escuchado 48m 14s
  • Nemici mai...per chi si cerca come noi (Bibbia e Scienza)

    30 JUL. 2023 · Testo della catechesi«Prof.. sa.. io l’ammiro molto, da grande voglio diventare come lei: appassionato della sua materia e ateo!». Con quest’affermazione un adolescente riminese si è rivolto al suo docente di Scienze Naturali, sentendosi rispondere in tutta franchezza: «Mi fa molto piacere, ma io non sono ateo..». Sorpreso e sconcertato che un uomo di scienza come lui potesse rimettere allo stesso tempo la propria vita nella mani di Dio, beh, sconvolse non poco l’alunno.. Il titolo di questa puntata, rivisitazione della celebre canzone di Antonello Venditti, vorrebbe provare a sfatare un falso mito, quello cioè che vede fede e scienza come antagoniste, il tutto, ovviamente, partendo dal e in relazione al testo biblico.  Siamo fatti “ad immagine e somiglianza di Dio”, come attesta il primo libro della Bibbia (cfr. Gn 1,26), o “ad immagine e somiglianza della scimmia”, come attesta Charles Darwin? Detto altrimenti: siamo capaci di trascendere la nostra biologia o siamo appena un ammasso di istinti e “natura”? E ancora, se è vero che ogni essere a modo suo comunica, come mai apparteniamo all’unica specie dotata di linguaggio? La risposta risiede forse in quel Dio biblico che è Logos e Verbum, Ragione e Parola?  Anzitutto, cos’è la scienza? Cosa si intende con questa vocabolo? Stando alle prime parole della celebre enciclopedia online Wikipedia, o Wikipidia per dirla all’inglese, «La scienza è un sistema di conoscenze ottenute attraverso un’attività di ricerca prevalentemente organizzata con procedimenti metodici e rigorosi, coniugando la sperimentazione con ragionamenti logici condotti a partire da un insieme di assiomi, tipici delle discipline formali. Uno dei primi esempi del loro utilizzo lo si può trovare negli Elementi di Euclide, mentre il metodo sperimentale, tipico della scienza moderna, venne introdotto da Galileo Galilei, e prevede di controllare continuamente che le osservazioni sperimentali siano coerenti con le ipotesi e i ragionamenti svolti». Il Dizionario etimologico della Zanichelli afferma che si tratta di un «complesso di risultati dell’attività speculativa umana volta alla conoscenza di cause, leggi, effetti intorno ad un determinato ordine di fenomeni, e basata sul metodo, lo studio e l’esperienza». Un altro poderoso tomo, il Dizionario dei sinonimi e dei contrari di Aldo Gabrielli, come contrari di scienza cita: «ignoranza, asineria, imperizia, fanatismo, mezza scienza, infarinatura, pregiudizio, mito (e) dogmatismo».. mooooolto interessante! Dunque sia “sistema di conoscenze” sia “complesso di risultati volti alla conoscenza”, per cui occorre chiedersi cosa sia la conoscenza, ovvero, stando all’ultima fonte, «la facoltà.. (e l’) effetto del conoscere», cioè «l’apprendere con l’intelletto, sapere qualche cosa». Questa catena di domande ci porta allora alla sapienza che, è ancora lo Zanichelli a dircelo, è «il più alto grado di conoscenza delle cose». Nella Bibbia cosa s’intende per sapienza? Prima della sua stesura, il lontano passato è stato caratterizzato da ciò che oggi chiamiamo genericamente “superstizione”: «Nel mondo pagano antico – scrive lo storico e giornalista Francesco Agnoli nel suo libro Scienziati, dunque credenti – vigeva l’idea animista: ogni cosa è animata.. tutto è abitato da presenze spirituali (ninfe, gnomi, folletti, troll..) che rendevano la natura superiore all’uomo», ragion per cui quest’ultimo era costretto a propiziarsi queste entità. I primi a sganciarsi da questa visione della vita furono i filosofi greci, che nella natura videro un certo ordine.. Il testo di Agnoli si apre con un’affermazione provocatoria quanto netta: «Chi sono i padri, gli “inventori” della scienza moderna come oggi la conosciamo?»; per poi rispondere qualche riga dopo: «l’autore della Genesi e, tramite lui, il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe; e dopo di lui, sant’Agostino, sant’Ambrogio, gli apologeti cristiani dei primi secoli, e, con loro, migliaia e migliaia di altri predicatori, confessori, teologi, fil...
    Escuchado 29m 22s
  • L'ultimo nemico che sarà sconfitto (La Bibbia secondo J.K.Rowling)

    25 JUN. 2023 · Testo della catechesi Tra i successi editoriali più importanti di sempre compare la saga di Harry Potter, sette libri editi in Italia tra il 1998 e il 2007, resi ancor più celebri dalla trasposizione cinematografica realizzata dalla Warner Bros (società fondata nel 1918 da quattro fratelli, uno dei quali si chiamava casualmente Harry), che ne ha acquisito i diritti nel 1999, presentando la saga nelle sale di tutto il mondo tra il 2001 e il 2011: otto film (i Doni della Morte è stato infatti diviso in due pellicole) diventati la serie col più alto incasso della storia.  Il pastore protestante metodista Peter Ciaccio, laureatosi alla facoltà valdese di Teologia di Roma con una tesi sul regista Ingmar Bergman, nel 2011 ha dato vita a Il vangelo secondo Harry Potter, edito dalla Claudiana. Nello spassosissimo testo mette in luce, senza ovviamente contare la magia, che funge da elemento diciamo così, trasversale, le diverse tematiche affrontate dalla celebre saga della Rowling: l’adolescenza, il male, la responsabilità, la predestinazione, il sistema scolastico, il libero arbitrio, la vocazione e tante altre ancora, su tutte però la morte, o meglio l’elaborazione del lutto.   «Ognuno di noi – afferma l’autore – ha bene e male dentro di sé», come dimostra il fatto che Silente da giovane abbia causato la morte della sorella Ariana per orgoglio ed ambizione, riconoscendo però il male all’interno di sé stesso e decidendo di combatterlo, scegliendo di fare il professore e non il politico, ruolo che forse avrebbe maggiormente assecondato la sua ambizione. Lo stesso padre di Harry Potter in gioventù ha vestito i panni del bullo. Che dire poi di Severus Piton, mosso dal rancore per aver dovuto rinunciare al suo amore, eppur capace di sacrificarsi per la giusta causa?  Quanto al binomio magia-teologia è necessario affermare anzitutto che la loro rivalità è stata per secoli portata avanti dalla Chiesa (sia da parte cattolica sia protestante), talvolta in maniera ossessiva ed omicida: dalle inquisizioni contro le streghe alle battaglie mediatiche di oggi. Ma la magia in questa saga è parte della natura, teologicamente parlando del “creato”, non un imbroglio di Satana. Tali critiche alla magia la Rowling le sottolinea ad esempio attraverso i personaggi degli zii Vernon e Petunia Dursley, classici esempi di chi vive senza fantasia. Nella Bibbia leggiamo: «Non praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia», ma il libro del Levitico (19,26b) non vieta di leggere o guardare Harry Potter, bensì di affidarsi a chi promette una vita migliore attraverso lo sfruttamento. Da questo punto di vista, precisa Ciaccio, si tratta di una saga contro il Superenalotto piuttosto che contro Maga Magò. Il testo citato, tra l’altro – sottolinea il pastore metodista – è preceduto dalla citazione «Non mangerete nulla che contenga sangue», che quasi tutti noi ignoriamo, pur non rinunciando ad essere cristiani..   Com’è possibile inoltre spiegare ai più piccoli, i prediletti da Dio, l’esistenza di un male radicale che neanche gli adulti comprendono? La risposta è già stata data da gran parte della letteratura per l’infanzia, pensiamo solamente a Pollicino, Pinocchio, Cappuccetto Rosso, e via dicendo.. Harry a scuola incontrerà sia il bene (rappresentato dal trio che forma con Ron ed Ermione) sia il male (Malfoy, Tiger e Goyle). La Rowling nel suo romanzo di formazione ha raccontato quindi l’adolescenza, identificata solitamente in quella fascia di età che va dagli undici ai diciotto-diciannove anni, non a caso quelli durante i quali si svolge l’intera saga, che accompagna Harry nel suo cammino adolescenziale appunto, e lo ha fatto ispirandosi sia ai grandi temi della letteratura per bambini sia al cristianesimo.  I temi della predestinazione e della vocazione sono invece ben sintetizzati dallo scambio tra Harry e il cappello parlante (in inglese sorting hat, “cappello selezionatore, di smistamento”) nel momento in cui il primo deve essere associato ad una delle...
    Escuchado 27m 47s
  • Escuchado 23m 30s
  • Il Principe dell'altro mondo (La Bibbia secondo Il Piccolo Principe)

    23 ABR. 2023 · Testo della catechesi«Se avessi fede, è ben certo che, passata quest’epoca.. non sopporterei altro che (il monastero di) Solesmes. Vedete, non si può vivere di frigoriferi, di politica.. e di parole crociate! Non si può più. Non si può vivere senza poesia, colore né amore». Con quest’affermazione, netta ed attualissima, l’aviatore Antoine Jean-Baptiste Marie Roger vergava una lettera ad un suo generale. Nato a Lione il 29 giugno 1900 da Jean de Saint-Exupery e Marie Boyer, dopo una vita trascorsa tra l’aviazione e la scrivania, o meglio in aereo e a scrivere libri, nel 1943 partorisce il suo capolavoro: Il Piccolo Principe. Appena un anno dopo, nonostante i divieti impostigli e i diversi incidenti aerei avuti riprende a volare, fino al 31 luglio, giorno in cui, proprio come il piccolo principe, “ritorna sul sulla sua stella”.  Il libro si apre con la dedica all’amico ebreo comunista Leone Werth: «Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande.. il miglior amico che abbia al mondo», per poi correggerla, dato che «Tutti i grandi sono stati bambini una volta»: “A Leone Werth, quando era bambino”.  Ciò che più ci interessa in questa sede è il possibile legame tra Il Piccolo Principe e la Bibbia.. un azzardo? Vediamo. Se quest’ultima è il libro più letto di sempre, o almeno il più posseduto, il primo nel 2017 ha superato le 300 traduzioni in diverse lingue e dialetti: dal gallurese al milanese, dal napoletano al friulano, dall’aragonese all’esperanto, e perfino in guaranì. È inoltre il testo più tradotto se si escludono quelli religiosi. Anzitutto, di cosa parla? I temi trattati sono molteplici e noti: se l’amicizia e l’amore costituiscono senza dubbio i temi poetici più alti della fiaba, è meraviglioso l’affetto del piccolo principe per la “sua” rosa, in francese une fleur, ma anche la rose.  Poi il silenzio, con la sua simbologia più profonda: non si raggiungono infatti i valori dello spirito se non nella concentrazione. Quindi il deserto, con la sua infinita solitudine, segno del silenzio dell’anima e immagine dell’aridità del cuore. L’esperienza del deserto Tonio – così lo chiamavano in famiglia – la visse a lungo, ma nei cieli assieme al suo aereo, un deserto celeste fatto di silenzio e ricerca di assoluto, rendendolo in qualche modo monaco del firmamento! E poi i temi dell’acqua e della sete, che simboleggiano le aspirazioni più profonde di ogni uomo e ne qualificano il progresso spirituale. Infine il segreto che la volpe confida al principino, forse la pagina più famosa e alta di tutti i libri di Sanit-Exupéry: «Il mio segreto è molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». C’è poi un evidente richiamo all’importanza dei riti: «“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “ È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore”». Già, cos’è un rito? Etimologicamente deriva dal latino ritus, che si riallaccia al sanscrito ritis, “andamento, disposizione, usanza”, traducibile pressappoco con “schema”. Esso tiene insieme ordine e disordine, almeno stando alla tesi del celebre sociologo francese Emile Durkheim. Il teologo e monaco benedettino Giorgio Bonaccorso ci ricorda poi che «L’uomo credente non è solo colui che ascolta la parola di Dio e le obbedisce, ma anche colui che sente, vede, percepisce, tocca quella stessa Parola». E ancora: «Nel cristianesimo.. l’uomo non è obbedienza senza essere emozione, non è conoscenza senza essere passione, non è ascolto senza essere contatto, non è parola senza essere spazio e tempo, gesto e azione, immagine e suono, musica, danza, arte». Tutti elementi che il capolavoro di Saint-Exupéry ci ha regalato a piene mani. Quanto alle possibili chiavi di lettura del romanzo, ne sono state fornite tantissime: dalla creatività tipica dell’infanzia al coraggio di scoprire; dall’amicizia all’amore; da chi lo ritiene un saggio sulla resp...
    Escuchado 26m 21s
  • Il Principe dell'altro mondo (La Bibbia secondo Il Piccolo Principe)

    23 ABR. 2023 · Testo della catechesi«Se avessi fede, è ben certo che, passata quest’epoca.. non sopporterei altro che (il monastero di) Solesmes. Vedete, non si può vivere di frigoriferi, di politica.. e di parole crociate! Non si può più. Non si può vivere senza poesia, colore né amore». Con quest’affermazione, netta ed attualissima, l’aviatore Antoine Jean-Baptiste Marie Roger vergava una lettera ad un suo generale. Nato a Lione il 29 giugno 1900 da Jean de Saint-Exupery e Marie Boyer, dopo una vita trascorsa tra l’aviazione e la scrivania, o meglio in aereo e a scrivere libri, nel 1943 partorisce il suo capolavoro: Il Piccolo Principe. Appena un anno dopo, nonostante i divieti impostigli e i diversi incidenti aerei avuti riprende a volare, fino al 31 luglio, giorno in cui, proprio come il piccolo principe, “ritorna sul sulla sua stella”.  Il libro si apre con la dedica all’amico ebreo comunista Leone Werth: «Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande.. il miglior amico che abbia al mondo», per poi correggerla, dato che «Tutti i grandi sono stati bambini una volta»: “A Leone Werth, quando era bambino”.  Ciò che più ci interessa in questa sede è il possibile legame tra Il Piccolo Principe e la Bibbia.. un azzardo? Vediamo. Se quest’ultima è il libro più letto di sempre, o almeno il più posseduto, il primo nel 2017 ha superato le 300 traduzioni in diverse lingue e dialetti: dal gallurese al milanese, dal napoletano al friulano, dall’aragonese all’esperanto, e perfino in guaranì. È inoltre il testo più tradotto se si escludono quelli religiosi. Anzitutto, di cosa parla? I temi trattati sono molteplici e noti: se l’amicizia e l’amore costituiscono senza dubbio i temi poetici più alti della fiaba, è meraviglioso l’affetto del piccolo principe per la “sua” rosa, in francese une fleur, ma anche la rose.  Poi il silenzio, con la sua simbologia più profonda: non si raggiungono infatti i valori dello spirito se non nella concentrazione. Quindi il deserto, con la sua infinita solitudine, segno del silenzio dell’anima e immagine dell’aridità del cuore. L’esperienza del deserto Tonio – così lo chiamavano in famiglia – la visse a lungo, ma nei cieli assieme al suo aereo, un deserto celeste fatto di silenzio e ricerca di assoluto, rendendolo in qualche modo monaco del firmamento! E poi i temi dell’acqua e della sete, che simboleggiano le aspirazioni più profonde di ogni uomo e ne qualificano il progresso spirituale. Infine il segreto che la volpe confida al principino, forse la pagina più famosa e alta di tutti i libri di Sanit-Exupéry: «Il mio segreto è molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». C’è poi un evidente richiamo all’importanza dei riti: «“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “ È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore”». Già, cos’è un rito? Etimologicamente deriva dal latino ritus, che si riallaccia al sanscrito ritis, “andamento, disposizione, usanza”, traducibile pressappoco con “schema”. Esso tiene insieme ordine e disordine, almeno stando alla tesi del celebre sociologo francese Emile Durkheim. Il teologo e monaco benedettino Giorgio Bonaccorso ci ricorda poi che «L’uomo credente non è solo colui che ascolta la parola di Dio e le obbedisce, ma anche colui che sente, vede, percepisce, tocca quella stessa Parola». E ancora: «Nel cristianesimo.. l’uomo non è obbedienza senza essere emozione, non è conoscenza senza essere passione, non è ascolto senza essere contatto, non è parola senza essere spazio e tempo, gesto e azione, immagine e suono, musica, danza, arte». Tutti elementi che il capolavoro di Saint-Exupéry ci ha regalato a piene mani. Quanto alle possibili chiavi di lettura del romanzo, ne sono state fornite tantissime: dalla creatività tipica dell’infanzia al coraggio di scoprire; dall’amicizia all’amore; da chi lo ritiene un saggio sulla resp...
    Escuchado 26m 21s
  • La salvezza a colori. (La Bibbia secondo Giotto)

    26 MAR. 2023 · Testo della catechesiGiotto, probabile diminutivo di Ambrogio, Biagio o Agnolo, nasce nel 1267 a Colle di Vespignano (oggi frazione di Vicchio), nella zona collinare del Mugello, vicino a Firenze. Dei genitori conosciamo solo il nome del padre, l’agricoltore Bondone, che quando il figlio ha circa dieci anni, un giorno come tanti lo porta a pascolare il gregge, ma quel giorno – così narra un’accreditata leggenda – sarà diverso da tutti gli altri (come accadde ad un altro celebre pastore, il re Davide!), perché viene notato dal più famoso pittore italiano, Cimabue, mentre sta scarabocchiando su una roccia.. l’artista non ha esitazione: lo vuole nella sua bottega! Il giovanotto non se lo fa ripetere due volte e lo segue. «Quello scarabocchio su un sasso – sottolinea lo storico dell’arte Stefano Zuffi – era l’inizio di una rivoluzione, una delle più decisive nell’arte occidentale: il passaggio dal simbolo alla realtà», e questo perché se «Cimabue considera la pittura come piano disteso in superficie, Giotto invece come una profondità da colmare.. sta nascendo la prospettiva, il sistema di “vedere oltre”, per andare al di là dello schermo». Intorno ai ventitre anni sposa la fiorentina Ciuta di Lapo del Pela, dalla quale avrà otto figli, equamente divisi in maschi e femmine. Qualche anno dopo è ad Assisi per dipingere le volte e parte della navata della basilica superiore di san Francesco, in cui il patrono d’Italia è sepolto da una sessantina d’anni. Nell’anno 1300 è invece a Roma per dipingere la scena che ritrae Bonifacio VIII nell’atto di indire, con la bolla Antiquorum habet fida relatio del 22 febbraio, il primo giubileo della storia cristiana, evento straordinario che fece accorrere nella città eterna (in qualità di pellegrini per lucrare l’indulgenza) il suo maestro Cimabue e Dante Alighieri, che in questo clima spirituale e culturale immagina il suo viaggio ultraterreno, proprio “durante” la Settimana Santa di quell’anno. Nello stesso anno con ogni probabilità si reca a Rimini, dove realizza uno splendido Crocifisso, attualmente conservato nel duomo. Tra il 1303 e il 1305 soggiorna a Padova, periodo in cui viene costruita e decorata la celebre Cappella degli Scrovegni. Forse è in questo momento che incontra Dante.. Nel 1327 si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali di Firenze, la stessa corporazione di cui faceva parte Dante trent’anni prima. Nel frattempo vede “sistemarsi” diversi figli: Francesco diventa priore della chiesa di San Martino a Vespignano, paese natale del padre, Caterina e Chiara si sposano (la prima con un pittore), mentre Bice diventa terziaria francescana. Nel 1334 è nominato magister et gubernator dell’Opera di Santa Reparata, il cantiere della cattedrale di Firenze. Il 18 giugno getta le fondamenta per il campanile, cui darà il nome. Ma veniamo al focus del nostro tema: quale contributo biblico ci ha lasciato? Nel libro Giotto e Dante. Paradiso per due, il già citato Zuffi mette in parallelo le vite di questi due mostri sacri e precisa come il pittore sia «il primo artista a diventare davvero popolare, nel più pieno senso della parola». Per quanto riguarda la Cappella degli Scrovegni, l’autore non manca di esaltarne il valore: «sono fermamente convinto – scrive – che ogni cittadino italiano abbia il diritto, anzi, il dovere, di visitar(la).. almeno una volta nella vita», ma non esita neppure a polemizzare sull’attuale utilizzo del luogo: «E certamente di potersi fermare più a lungo dello striminzito quarto d’ora attualmente concesso ai visitatori». Come dargli torto? Ma Zuffi non risparmia nemmeno lo stesso artista: «Il primo miracolo compiuto da Cristo, tramutare l’acqua in vino – riferendosi ovviamente all’episodio di Cana – , doveva essere molto gradito a Giotto, frequentatore di feste e allegre compagnie». Ah.. Le opere legate al suo “percorso biblico”, se così possiamo dire, se si eccettua la Cappella degli Scrovegni non sono tantissime: cinque volte ritrae la Vergine, sette la Crocifissio...
    Escuchado 30m 39s
  • La salvezza a colori. (La Bibbia secondo Giotto)

    26 MAR. 2023 · Testo della catechesiGiotto, probabile diminutivo di Ambrogio, Biagio o Agnolo, nasce nel 1267 a Colle di Vespignano (oggi frazione di Vicchio), nella zona collinare del Mugello, vicino a Firenze. Dei genitori conosciamo solo il nome del padre, l’agricoltore Bondone, che quando il figlio ha circa dieci anni, un giorno come tanti lo porta a pascolare il gregge, ma quel giorno – così narra un’accreditata leggenda – sarà diverso da tutti gli altri (come accadde ad un altro celebre pastore, il re Davide!), perché viene notato dal più famoso pittore italiano, Cimabue, mentre sta scarabocchiando su una roccia.. l’artista non ha esitazione: lo vuole nella sua bottega! Il giovanotto non se lo fa ripetere due volte e lo segue. «Quello scarabocchio su un sasso – sottolinea lo storico dell’arte Stefano Zuffi – era l’inizio di una rivoluzione, una delle più decisive nell’arte occidentale: il passaggio dal simbolo alla realtà», e questo perché se «Cimabue considera la pittura come piano disteso in superficie, Giotto invece come una profondità da colmare.. sta nascendo la prospettiva, il sistema di “vedere oltre”, per andare al di là dello schermo». Intorno ai ventitre anni sposa la fiorentina Ciuta di Lapo del Pela, dalla quale avrà otto figli, equamente divisi in maschi e femmine. Qualche anno dopo è ad Assisi per dipingere le volte e parte della navata della basilica superiore di san Francesco, in cui il patrono d’Italia è sepolto da una sessantina d’anni. Nell’anno 1300 è invece a Roma per dipingere la scena che ritrae Bonifacio VIII nell’atto di indire, con la bolla Antiquorum habet fida relatio del 22 febbraio, il primo giubileo della storia cristiana, evento straordinario che fece accorrere nella città eterna (in qualità di pellegrini per lucrare l’indulgenza) il suo maestro Cimabue e Dante Alighieri, che in questo clima spirituale e culturale immagina il suo viaggio ultraterreno, proprio “durante” la Settimana Santa di quell’anno. Nello stesso anno con ogni probabilità si reca a Rimini, dove realizza uno splendido Crocifisso, attualmente conservato nel duomo. Tra il 1303 e il 1305 soggiorna a Padova, periodo in cui viene costruita e decorata la celebre Cappella degli Scrovegni. Forse è in questo momento che incontra Dante.. Nel 1327 si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali di Firenze, la stessa corporazione di cui faceva parte Dante trent’anni prima. Nel frattempo vede “sistemarsi” diversi figli: Francesco diventa priore della chiesa di San Martino a Vespignano, paese natale del padre, Caterina e Chiara si sposano (la prima con un pittore), mentre Bice diventa terziaria francescana. Nel 1334 è nominato magister et gubernator dell’Opera di Santa Reparata, il cantiere della cattedrale di Firenze. Il 18 giugno getta le fondamenta per il campanile, cui darà il nome. Ma veniamo al focus del nostro tema: quale contributo biblico ci ha lasciato? Nel libro Giotto e Dante. Paradiso per due, il già citato Zuffi mette in parallelo le vite di questi due mostri sacri e precisa come il pittore sia «il primo artista a diventare davvero popolare, nel più pieno senso della parola». Per quanto riguarda la Cappella degli Scrovegni, l’autore non manca di esaltarne il valore: «sono fermamente convinto – scrive – che ogni cittadino italiano abbia il diritto, anzi, il dovere, di visitar(la).. almeno una volta nella vita», ma non esita neppure a polemizzare sull’attuale utilizzo del luogo: «E certamente di potersi fermare più a lungo dello striminzito quarto d’ora attualmente concesso ai visitatori». Come dargli torto? Ma Zuffi non risparmia nemmeno lo stesso artista: «Il primo miracolo compiuto da Cristo, tramutare l’acqua in vino – riferendosi ovviamente all’episodio di Cana – , doveva essere molto gradito a Giotto, frequentatore di feste e allegre compagnie». Ah.. Le opere legate al suo “percorso biblico”, se così possiamo dire, se si eccettua la Cappella degli Scrovegni non sono tantissime: cinque volte ritrae la Vergine, sette la Crocifissio...
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  • Escuchado 30m 51s

Non è possibile capire “dove andiamo” senza sapere “da dove veniamo”: occorre allora tornare al grande codice della cultura occidentale. Non solo, è utile osservare come questo, nel tempo, abbia...

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Non è possibile capire “dove andiamo” senza sapere “da dove veniamo”: occorre allora tornare al grande codice della cultura occidentale. Non solo, è utile osservare come questo, nel tempo, abbia prodotto degli “effetti” sulla cultura in generale. Il capitolo 24 di Luca può aiutarci ad attualizzare la questione: come i due diretti a Emmaus «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto», altrettanto potremmo fare oggi, conversando tra noi di tutto quello che è accaduto negli ultimi duemila anni. In generale, che tracce ha lasciato sul pianeta Terra l’evento Gesù Cristo? Nello specifico, quali effetti ha prodotto sulla cultura e nei diversi ambiti: la storia, la letteratura, la geografia, la scuola, la scienza, la filosofia, l’arte, la politica, la superstizione, l’etica e, avvicinandoci al nostro tempo, lo sport, i mass media, e via dicendo? Più precisamente: il mondo coi suoi mille risvolti, si è lasciato scalfire dalle pagine bibliche? Quanto, queste, hanno inciso nello svolgimento della “storia”? Ma soprattutto: quali “effetti” ha avuto su di essa?
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