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L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà
5 NOV. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7965
IL RELATIVISMO CHE NON GUASTEREBBE, OGGI di Roberto Marchesini
Ve la ricordate la «dittatura del relativismo»? Era l'aprile del 2005, durante il conclave, quando il cardinale Joseph Ratzinger tenne una splendida omelia per la Missa pro eligendo Romano Pontifice (che poi fu lui stesso). A un certo punto, come una bomba, esplose una frase destinata a segnare il discorso pubblico: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». E proseguiva: «Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È Lui la misura del vero umanesimo». Divenne, quello, un grido di battaglia che fu subito colto da ampie parti del mondo cattolico: combattere la «dittatura del relativismo» affermare Cristo come Via, Verità e Vita dell'uomo. Bei tempi, quelli in cui c'era ancora una battaglia da combattere; quelli in cui c'era la dittatura del relativismo.
ASCOLTARE ANCHE L'ALTRA CAMPANA
La cultura moderna metteva in discussione l'egemonia culturale cattolica, chiedeva un ascolto rispettoso per culture altre, diverse dal cattolicesimo. La sola idea che l'errore non avesse diritti, compresi quelli costituzionali di espressione, era rifiutata come medievale, oscurantista eccetera eccetera. Erano anni che si tentava di scardinare quel punto, persino a scuola. Quanti di noi si sono sentiti ammonire: «Bisogna ascoltare anche l'altra campana»? In fondo, ognuno ha le sue ragioni, no? Bei tempi, quelli dell'altra campana...
E poi: come dimenticare il falso aforismo attribuito a Voltaire che recita: «Non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire»? Che levatura morale, questi illuministi: tengono così tanto alla libertà d'espressione da dare la vita per garantirla anche a coloro che non la pensano come loro... E che grettezza, questi cattolici, intolleranti e illiberali, che hanno bruciato libri, liberi pensatori, fior di scienziati, eccetera, eccetera, eccetera. Bei tempi, quelli del «Non sono d'accordo ma...», buttato qua e là, a proposito e sproposito, come il prezzemolo.
Insomma: il mondo moderno, occidentale, liberale si è sempre posto in cattedra per quanto riguarda la libertà di parola, di espressione, di pensiero. Del resto, non si chiamavano liberali? Non chiedevano più libertà? Per tutti, ovvio. Per quasi tutti... Bei tempi, bei tempi. Purtroppo finiti. Già, perché adesso il mondo occidentale, il mondo libero, non è più molto intenzionato a sentire l'altra campana. Darebbero volentieri la vita... di chi non la pensa come loro. E il relativismo si è rivelato la dittatura più breve della storia dell'umanità.
UNA MANFRINA ACCHIAPPA GONZI
Adesso, nel mondo libero, se qualcuno osa esprimersi in modo non gradito subisce dei trattamenti sanitari obbligatori, perde il lavoro, finisce in galera. Magari per aver pregato (in silenzio) davanti a una clinica abortista. C'è chi finisce in galera per dei commenti sui social media, persino per dei «like». Imprenditori vengono arrestati perché, sui mezzi di comunicazione da loro creati, c'è troppa libertà d'espressione. Chi si illude che in Occidente ci sia libertà di parola rischia di venire additato come un agente al soldo di potenze straniere. Ci stupiamo? Del resto, sono anni, decenni che nel mondo libero esistono leggi che puniscono chi la pensa in un modo o nell'altro; che, se i cittadini votano in modo non gradito, devono rivotare o subiscono delle «sanzioni». La libertà d'espressione in Occidente è così sacra che si possono imbrattare impunemente capolavori d'arte e monumenti; ma basta manifestare per la parte sbagliata e si finisce manganellati, colpiti da cannoni d'acqua, ci si vede comminato un Daspo, nato come divieto di accedere a manifestazioni sportive e finito come limitazione del diritto di circolazione e soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale.
Insomma, i casi sono due: o il mondo occidentale ha perso i suoi riferimenti filosofici, culturali e politici; oppure non li ha mai avuti e quella del «Non sono d'accordo ma...» era la solita manfrina acchiappa gonzi. Insomma: adesso un pochino di tolleranza e relativismo, cioè di rispetto per le mie opinioni, mi farebbe anche comodo...
22 OCT. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7953
NUDA IN STRADA PER VOLERE DEL GURU di Raffaella Frullone
"Depurare il corpo" e "purificare l'anima" attraverso digiuni estremi, pratiche ascetiche durissime e distacco completo non solo dal mondo, ma da tutto quello che è stato il proprio passato e naturalmente relativi legami, che devono essere recisi. Il caso della presunta setta di Miggiano, nel leccese, guidata dal sedicente "guru Khadir" ha lo stesso copione che emerge - con sfumature e forme diverse - quando diventa cronaca. Normalmente nera. Come nel caso di Alex Marangon, 25enne veneto morto in circostanze ancora non del tutto chiare quest'estate mentre si trovava ad un non precisato raduno New Age a base di ayahuasca, guidato da uno sciamano che, sempre come da copione, nega qualunque coinvolgimento.
Questa volta sui giornali è finita una 36enne siciliana che si è trasferita a Miggiano, 3.000 abitanti in provincia di Lecce, per vivere in una sorta di comune gestita da tale Khadir, da cui la donna sarebbe stata psicologicamente dipendente, un santone, un maestro di vita, un guru che la teneva in pugno, tanto da convincerla a girare per strada completamente nuda. Sul caso lavora la procura di Foggia, le indagini sono scattate a partire dalla denuncia del padre di un 47enne, a sua volta ex membro della presunta setta, che lo scorso anno si sarebbe trasferito nella comunità e ne avrebbe sperimentato le imposizioni, cibo razionato, controllo sui movimenti, le attività, le relazioni. Incoraggiate quelle interne, riferiscono i giornali anche intime, vietate quelle con i non adepti.
Secondo un rapporto del Codacons stilato un paio d'anni fa, nel nostro Paese sono circa due milioni i cittadini sono coinvolti in più o meno costante nel fenomeno delle cosiddette "sette", ovvero organizzazioni spesso segrete dedite a culti e dottrine esoteriche, guidate da leader carismatici e alla continua caccia di adepti. Il dato tuttavia non tiene conto di tutte quelle realtà che si presentano in un modo che l'immaginario collettivo non assimila al concetto di setta, ovvero tutte quelle realtà che si presentano come pura avanguardia spirituale: la mindfulness, la cristalloterapia, le costellazioni, gong tibetano, la meditazione buddhista, i chakra, e chi più ne ha più ne metta.
Un esercito di adepti inconsapevoli che apparentemente svolgono una vita normale ma che probabilmente sono implicate in pratiche nella migliore delle ipotesi nebulose quando non proprio occulte. Nell'epoca dell'emotività imperante, del benessere individuale psicofisico come unica bussola, è facile cadere preda di imbonitori che fanno leva sulla fragilità, ma soprattutto che hanno chiaro che c'è un vuoto d'amore che viene riempito con il fenomeno del "love bombing", letteralmente un bombardamento d'amore che conquista la vittima fino a renderla dipendente psicologicamente.
Certo dovrebbe essere lampante che "purificare il corpo e l'anima" non può significare correre nuda per strada, allontanarsi dai legami di sempre, arrivare quasi a non mangiare, mortificare il corpo e o donarlo a sedicenti appartenenti alla comunità. Eppure la fragilità di oggi è tale, se ci si pensa, che trovarsi dentro una setta non è poi così improbabile. Perché quando si smette di credere in Dio, inevitabilmente si finisce col credere in qualunque altra cosa. O persona.
Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Raffaella Frullone, nell'articolo seguente dal titolo "Alex Marangon, gli sciamani e l'illusione della magia che cura" racconta nel dettaglio quello che è stato accennato nel precedente articolo.
Ecco l'articolo completo pubblicato sul sito del Timone il 10 luglio 2024:
La vicenda tiene banco da giorni su tutti i giornali. Gli elementi per il giallo dell'estate ci sono tutti: un ragazzo ucciso in modo violento, due sedicenti guaritori in fuga forse in Sud America, un'abbazia sconsacrata, decotti magici e riti sciamanici. Solo che questo non è un giallo da leggere sotto l'ombrellone, ma la storia vera di una vita prematuramente spezzata in un modo atroce. Riavvolgiamo il nastro.
Alex Marangon aveva 26 anni e chissà quali sogni nel cassetto e desideri nel cuore. Lavorava in un bar sul lago, aveva iniziato la stagione poco meno di un mese fa, e una troupe televisiva lo aveva intervistato per quei servizi di rito sulla stagione estiva che si apre: «Ci aspetta una grande estate, aveva detto sorridente». E invece lo scorso due luglio il suo corpo è stato trovato arenato su un isolotto del fiume Piave, in provincia di Treviso. Si chiamava «Sol del Putymayo» e tecnicamente era descritto come «un rituale di cura con la forza della Foreza» che si sarebbe svolto in un luogo «davvero speciale e protetto». Il Luogo era un'abbazia sconsacrata di Vidor ed è qui che ha inizio la tragedia.
Non è chiarissimo in cosa consistesse effettivamente la serata, le ricostruzioni parlano di riti esoterici innaffiati da sostanze allucinogene tra cui l'ayahuasca, un decotto con effetti psichedelici a base di piante amazzoniche. Si sa che all'evento ha preso parte tale Jhonni Daniel Benavides, nonché il musicista Andrea Zuin, identificato come l'organizzatore della serata e fondatore del progetto ZuMusic Project, che su Instagram dice di fare «medicina musicale» insieme alla sua compagna ispirandosi ai rituali degli sciamani. Fatto sta che Alex attorno alle tre di notte si allontana dalla struttura e verrà ritrovato morto pochi giorni dopo.
Gli esiti dei primi esami autoptici hanno rilevato che l'uomo è stato ucciso in modo brutale, un pestaggio forse, aveva diverse costole rotte. Ma per avere un quadro completo, relativo anche a quello che il ragazzo aveva assunto, bisognerà aspettare l'esito degli esami tossicologici. Aveva paura Alex, così riporta Quotidiano Nazionale citando le confidenze del ragazzo ad un amico. Era la terza volta che partecipava a queste "feste" ma aveva paura. Era stato attratto probabilmente dalla possibilità di guarire dai suoi stati asmatici ma aveva timore. Così pare. Così sembra. Il condizionale è d'obbligo. La procura indaga per omicidio volontario, intanto ha dato il nulla osta per il funerale che sarà celebrato sabato nella chiesa SS. Patroni d'Europa di Marcon (Venezia).
Non pretendiamo certo di trovare né indicare il colpevole. E nemmeno siamo in grado di sondare le ragioni che hanno portato Alex nel luogo in cui ha trovato la morte. Sono troppo intime e certamente a noi sconosciute. Quel che possiamo fotografare però è l'immagine di una società che ha fatto di tutto per buttare fuori Dio dal discorso pubblico e dalla vita di ciascuno. Dire di credere oggi, in Occidente, nel 2024 fa guadagnare al massimo un sorriso compassionevole, dire di essere cattolici è aver diritto d'ufficio ad uno sguardo tra il pietoso e il sorpreso.
Eppure la stessa società normalizza riti sciamanici, incoraggia le pratiche New Age, ammette i decotti magici allucinogeni, i bagni di luce, i rituali con la Forza della Foresta, i sedicenti medium che ti mettono in contatto con non specificati spiriti che emanano energie quando non addirittura guariscono. Il problema è che a volte funzionano, non sono fake, ma la matrice puzza spesso di zolfo anche se questo è non si dice, perché chiamare satana col suo nome significherebbe chiamare col suo nome anche quel Dio che il padre della menzogna vuole combattere facendo credere che non esista. Invece esiste, ed è l'alternativa reale, luminosa e vera che il nostro cuore cerca. E sì, può anche guarire. Perché cercare altrove?
2 OCT. 2024 · VIDEO IRONICO: Lo Stato, il tuo socio nascosto ➜ https://www.youtube.com/watch?v=AcKgPI2HMSw&list=PLolpIV2TSebVSarVSJS-Gy5hJo3_40bhI
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7938
QUANDO E' LECITO EVADERE LE TASSE?
Secondo San Tommaso è lecito disobbedire a leggi dannose ed è doveroso se sono immorali
di Don Stefano Bimbi
Un artigiano aveva completato dei lavori nella casa di un uomo che insegnava catechismo in parrocchia. Aveva chiesto al cliente se preferisse pagare senza fattura in modo da potergli fare uno sconto, ma la risposta fu che non esistono solo i peccati di natura sessuale, ma anche quelli legati alla violazione delle norme fiscali. Il catechista era convinto di aver fatto il proprio dovere di cristiano. Ma chi aveva ragione: l'artigiano o il catechista?
Prima di affrontare direttamente il dilemma, è necessario distinguere tra due tipi di leggi: quelle naturali e quelle positive. Le prime sono insite nella natura umana, cioè scritte da Dio nel cuore di ogni uomo, credente o non credente che sia. Le troviamo riassunte nei dieci comandamenti e sono valide per tutti gli uomini. Rappresentano le fondamenta della convivenza civile, senza le quali si cadrebbe nella legge del più forte. Tuttavia, le leggi naturali forniscono solo linee guida generali, senza regolamentare dettagliatamente le questioni pratiche. Ad esempio, è ovvio che per utilizzare veicoli nelle strade occorre una regolamentazione, altrimenti si violerebbe il principio del "non uccidere". La legge naturale non prescrive se bisogna usare la corsia di destra o di sinistra, arrestarsi al semaforo quando è rosso o verde. Questo è compito della legge positiva, ossia posta dall'autorità civile, per garantire nella pratica i principi della legge naturale. Di conseguenza, gli individui non sono obbligati sotto pena di peccato a rispettare solo la legge naturale, ma anche quella positiva, altrimenti regnerebbe il caos. Questo perché ogni forma di autorità deriva da Dio e pertanto merita rispetto. Come afferma san Paolo: «Infatti non c'è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13, 1b-2a).
Ma siamo sempre tenuti ad obbedire alla legge? Alla legge naturale, sì. Non si può mai uccidere un innocente, ad esempio un bambino concepito, nemmeno se la mamma è stata stuprata o se il bambino presenta malformazioni. Invece per quanto riguarda le leggi positive, dipende. Quando Hitler ordinò l'olocausto degli ebrei, le sue leggi erano state promulgate in modo legittimo, da un parlamento democraticamente eletto. Tuttavia, ciò non significa che le sue leggi dovessero essere rispettate in quanto contrarie alla legge naturale. Stessa cosa vale per le leggi attuali sull'aborto. Risulta dunque evidente che l'autorità civile deve essere rispettata, ma non in ogni caso.
QUANDO SI PUÒ VIOLARE UNA NORMA GIURIDICA?
Esaminiamo i due casi in cui è lecito violare una legge positiva, secondo gli insegnamenti di san Tommaso d'Aquino.
Il primo caso riguarda le leggi positive emanate dall'autorità civile che sono contrarie alla legge morale naturale, alla legge divina o a quella ecclesiastica (come, ad esempio, se uno Stato imponesse il divieto di partecipare alla Messa la domenica). In questo caso non si deve obbedire ad esse. Poiché lo Stato è subordinato sia a Dio che alla Chiesa, non è lecito disobbedire all'ordine di un superiore per seguire quello di un inferiore. Nei casi in cui vi sia conflitto tra la legge dello Stato e quella naturale (o divina o ecclesiastica), la legge statale non solo perde la sua forza vincolante, ma è addirittura obbligatorio trasgredirla. Se uno Stato costringesse i medici a prescrivere contraccettivi o a praticare aborti, essi non solo avrebbero la facoltà, ma il dovere morale di violare tali leggi. Chi non lo facesse commetterebbe peccato.
Se adesso è chiaro che bisogna disobbedire all'autorità quando impartisce comandi ingiusti, meno diffusa è la consapevolezza che esiste un'altra categoria di leggi che è lecito disobbedire senza incorrere nel peccato. Si tratta delle norme dannose. Rientrano in questa categoria tutte quelle norme che non perseguono il fine della legge positiva, che è il bene comune, imponendo ai sudditi oneri eccessivi o non necessari. San Tommaso afferma che queste norme sono piuttosto violenze che leggi e quindi si ha il diritto alla legittima difesa nei confronti di esse. Anche lo Stato può essere, e a volte lo è, un aggressore contro cui difendersi. La differenza tra le norme immorali e quelle dannose è che nel primo caso è obbligatorio violarle, mentre nel secondo è lecito farlo, ma non è un obbligo. Ad esempio, è un'ingiustizia che lo Stato imponga la raccolta differenziata per lucrare su questo commercio oppure abbassi eccessivamente i limiti di velocità per scoraggiare l'uso delle auto. In questi casi, un cittadino, se ne ha la possibilità, è libero di obbedire o disobbedire, e in entrambi i casi non pecca. Peccato sarebbe invece per chi, potendo evadere tasse ingiuste, abbassasse invece il tenore di vita della propria famiglia.
DUNQUE COSA FARE OGGI?
In Italia la pressione fiscale supera il 60%. Di fatto, chi lavora fino a luglio lo fa gratuitamente per lo Stato, e solo da agosto in poi comincia a guadagnare per sé. È evidente a chiunque che si tratta di un vero e proprio saccheggio, perpetrato con il suadente slogan di "pagare tutti per pagare meno". L'idea che l'evasione fiscale sia il principale problema della società odierna e che vada perseguita con ogni mezzo, nonché con la riprovazione sociale, è una grossa menzogna, alimentata da decenni di tassazione esosa senza alcun cambiamento significativo, nonostante le promesse dei politici di abbassare le tasse. Per ridurre le imposte non serve perseguire gli evasori, ma è necessario ridurre drasticamente i servizi forniti dallo Stato. In Italia lo Stato interviene in ogni ambito: istruzione, sanità, infrastrutture, gestione dei rifiuti, sussidi per chi non lavora e per la maternità. Il problema è che lo Stato è un pessimo imprenditore, privo dell'incentivo costituito dalla competitività sul mercato. Questo è il motivo per cui i dipendenti pubblici sono spesso accusati di essere negligenti e svogliati. Questo è dovuto al fatto che i dipendenti pubblici rischiano meno essendo meno a rischio di perdere il lavoro rispetto a chi lavora nel settore privato. Ognuno di noi conosce casi di dipendenti pubblici che passano le giornate facendo poco o nulla, ma che continuano a ricevere lo stipendio, a differenza di chi, nel settore privato, deve realmente meritarselo. Ovviamente non si può generalizzare e ci sono dipendenti pubblici bravissimi che fanno il loro dovere, ma il problema è che ricevono lo stesso stipendio di chi invece non lavora con la stessa dedizione.
Infine bisogna notare che in passato ci sono stati Paesi con livelli di tassazione ancora più elevati di quelli attuali. Sono i Paesi comunisti, dove lo Stato si appropriava quasi del 100% della ricchezza dei cittadini per ridistribuirla a suo piacimento. Si diceva che questo sistema avrebbe garantito una maggiore giustizia sociale e così "eliminare la povertà" (anche questo un ricorrente slogan di oggi). Qual è stato il risultato? Gli stati comunisti erano caratterizzati da povertà diffusa. Se tutto appartiene allo Stato, perché impegnarsi per produrre di più visto che la ricchezza verrà redistribuita a chi non si impegna altrettanto? Inoltre, per rendere i cittadini tutti uguali, si privano della libertà. Non si può essere contemporaneamente liberi e uguali. Liberté ed égalité erano l'utopia rivoluzionaria. O scegli di rispettare la libertà e quindi ci sarà di conseguenza diseguaglianza, oppure l'unica alternativa è privare della libertà per costringere una forzata ed innaturale uguaglianza.
RIPARTIRE DALLA SUSSIDIARIETÀ
Dovremmo a questo punto renderci conto che con un prelievo fiscale del 60% siamo un Paese che ha applicato l'ideologia comunista, magari senza che i cittadini se ne siano accorti in quanto non ci sono stati espropri forzati brutali. I moralisti che seguono la dottrina di San Tommaso ritengono che un'equa tassazione dovrebbe essere intorno al 10-15%. Se lo Stato prelevasse solo questa percentuale del reddito dei cittadini potrebbe limitarsi a fornire servizi essenziali come difesa dei confini e ordine pubblico, mentre alla società civile sarebbe restituita la gestione di scuole e strutture sanitarie, come avveniva nel medioevo quando scuole e ospedali nascevano, non a caso, per l'iniziativa dei cristiani e con l'aiuto della Chiesa nel rispetto di quel principio di dottrina sociale della Chiesa oggi così dimenticato che è la sussidiarietà: «Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» (Quadragesimo anno, Papa Pio XI, 15 maggio 1931).
In conclusione, applicando questi principi si rilancerebbe l'iniziativa della società civile. Ad esempio i genitori sarebbero stimolati ad occuparsi dell'educazione dei propri figli costituendo scuole parentali anche grazie alle risorse economiche che una giusta tassazione lascerebbe nelle loro tasche. Si avrebbe anche la conseguenza che i disoccupati non avrebbero diritto a sussidi provenienti dai soldi di chi lavora, ma dovrebbero cercarsi un lavoro o, se anziani, basarsi sui risparmi di quando il lavoro ce l'avevano. Questo stimolerebbe anche il rilancio della famiglia per farsi carico di chi non fosse a
2 OCT. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7939
L'UOMO MEDIOCRE E' MODERATO, IL CATTOLICO INVECE E' ANIMATO DA SANTA INTRANSIGENZA
L'intransigenza è la fermezza con cui si difendono le proprie idee. E' santa quando queste idee sono religiose. Non di una religione qualunque, ma di quella vera, fondata da Gesù Cristo, Uomo-Dio, Redentore del genere umano. La maggiore intransigenza che si possa immaginare è espressa dai dogmi della Chiesa cattolica, che sono talmente veri da essere definiti come infallibili.
Per difendere il nome di Cristo e il Suo insegnamento, innumerevoli cristiani hanno affrontato persecuzioni, sofferenze e morte nel corso della storia. I martiri sono stati testimoni di Cristo, unica Via, Verità e Vita (Gv, 14, 8). All'epoca dell'Impero romano, come in quella odierna del relativismo, si riteneva che tutte le religioni dovessero essere equiparate. Nel Pantheon antico tutte le religioni dovevano subordinarsi al culto della dea Roma; nel Pantheon moderno devono subordinarsi al culto del relativismo che, negando a ogni religione, il diritto di definirsi assolutamente vera, le proclama tutte false. Per questo la società moderna può essere qualificata come intrinsecamente atea, anche se la dittatura del relativismo non arriva ancora alle persecuzioni cruente dei primi secoli della Chiesa.
Coloro che abbracciano in pieno la filosofia del relativismo sono una minoranza, come sono una minoranza coloro che si comportano con santa intransigenza nell'ora attuale. La maggior parte degli uomini, oggi come allora, è fatta di mediocri, che odiano tutto ciò che porta allo scontro delle idee. L'uomo mediocre è colui che odia gli uomini a lui superiori, perché la loro presenza turba la sua tranquillità, che non è la "tranquillitas ordinis" classica, cioè la pace assicurata dall'ordine dei valori assoluti, ma è quella del proprio egoistico interesse. L'uomo superiore è invece colui che segue una regola di vita e di pensiero alta e disinteressata. E' un uomo di idee ferme e coerenti, di princìpi vissuti.
L'UOMO MEDIOCRE AMA PRESENTARSI COME MODERATO
Lo scrittore francese Ernest Hello ha dedicato pagine memorabili all'"uomo mediocre". L'uomo mediocre - scrive Hello - è quello che vive nella paura di compromettersi. Ha paura delle polemiche, delle controversie. Detesta il genio e la virtù, ama la moderazione e quello che chiama il "giusto mezzo". Una sua caratteristica è la deferenza che ha per l'opinione pubblica. Non parla, ripete. Rispetta coloro che hanno successo, ma ha timore di coloro che sono combattuti dal mondo. Arriverebbe a fare la corte al suo peggiore nemico se questi fosse omaggiato dal mondo, ma è pronto a prendere le distanze dal suo migliore amico quando il mondo lo attacca.
L'uomo mediocre ama presentarsi come "moderato". La moderazione, quando è vera, è una virtù, ma non ha nulla a che fare con il "moderatismo", che è invece una pratica di vita, che si oppone all'intransigenza di chi combatte per difendere la verità. All'ipermoderato la verità sembra un eccesso, come del resto l'errore.
In un articolo pubblicato sulla rivista "Catolicismo" nel settembre 1954, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, spiegava bene come "la caratteristica propria del moderatismo è quella di condurre in pratica ad una posizione "terzaforzista", intermedia tra la verità e l'errore, tra il bene e il male. Se ad un estremo sta la Città di Dio, i cui figli cercano di diffondere il bene e la verità in tutte le forme, e se all'altro estremo sta la Città di Satana, i cui seguaci cercano di diffondere l'errore ed il male in tutte le forme, è chiaro che la lotta tra queste due città è inevitabile: due forze, operando sullo stesso campo e in sensi opposti, debbono necessariamente combattersi. Da questo si deduce che non può darsi diffusione della verità e del bene che non implichi la lotta all'errore e al male; inversamente, non può esserci diffusione dell'errore e del male che non comporti la lotta contro la verità e il bene, contro coloro che diffondono la verità e che lavorano per il bene".
ELOGIO DELL'INTOLLERANZA
Il moderato, l'uomo mediocre detesta l'uomo coerente con le proprie idee, che definisce intollerante. In realtà l''intolleranza non è una virtù, così come non lo è la tolleranza, ma, come la tolleranza può essere conseguenza dell'esercizio della virtù. L'intolleranza può essere legata all'amor proprio, all'arroganza, allo zelo amaro, oppure nascere da un amore intransigente della verità, così come la tolleranza può derivare dalla carità e dalla prudenza, ma può anche essere figlia di un colpevole relativismo e spirito di compromesso.
Intolleranza è il termine spregiativo che i filosofi dell'illuminismo, come Voltaire, diedero alla santa intransigenza. Colui che professa la santa intransigenza ha il suo modello nella Beatissima Vergine Maria. In un altro articolo dedicato questa volta, a L'Immacolata e la santa intransigenza, su "Catolicismo" del marzo 1954, il prof. Corrêa de Oliveira, dopo descritto l'epoca di confusione e corruzione morale del tempo che precedette la nascita di Cristo, scrive: "Mentre il mondo antico viveva tutte queste circostanze, chi era la Santissima Vergine, creata da Dio in quell'epoca di completa decadenza? Era la più completa, intransigente, categorica, inequivocabile e radicale antitesi del proprio tempo. (...) Immacolato" è una parola privativa. Essa significa etimologicamente l'assenza di macchie, e quindi di ogni e qualsiasi errore, per minimo che sia, e di ogni e qualsiasi peccato, per lieve e insignificante che sembri. È l'integrità nella fede e nella virtù. È quindi l'intransigenza assoluta, sistematica, irreducibile, è l'avversione completa, profonda e diametrale, ad ogni specie di errore o di male. La santa intransigenza nella verità e nel bene è l'ortodossia e la purezza, in quanto si oppone all'eterodossia e al male. Per amare Dio senza misura, la Madonna corrispondentemente amò di tutto cuore tutto quanto è di Dio. E poiché odiò senza misura il male, odiò senza misura Satana, le sue pompe e le sue opere; odiò il demonio, il mondo e la carne ["perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!" - cfr. Gv. 2, 16-17]. La Madonna della Immacolata Concezione è la Madonna della santa intransigenza."
E per questo noi seguiamo con fierezza la scuola della "santa intransigenza".
10 SEP. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7905
L'IMPORTANZA DELLA LOTTA CONTRO LA TIEPIDEZZA di Veronica Rasponi
La tiepidezza è una malattia spirituale che indebolisce le forze dell'anima e apre la strada al peccato. Nostro Signore la denuncia con queste parole: «Conosco le opere tue e che non sei né freddo né caldo, Sarebbe meglio che tu fossi o freddo o caldo, Ora perché sei tiepido, né freddo né caldo, comincerò a vomitarti dalla mia bocca» (Apoc., 3, 15-16). Alla tiepidezza si oppone il fervore che apre a sua volta la strada alla perfezione cristiana.
Tra gli autori spirituali che più combatterono la tiepidezza fu sant'Antonio Maria Zaccaria, uno dei grandi esponenti della Riforma cattolica del XVI secolo, nato a Cremona nel 1502 e morto a soli 36 anni a Guastalla nel 1539. Cappellano della contessa Ludovica Torelli (1500-1569), attorno al 1530 fondò a Milano un sodalizio spirituale che comprendeva al suo interno tre Collegi, uno di sacerdoti (i Chierici regolari di San Paolo, noti come Barnabiti, perché presero dimora definitiva presso la chiesa di San Barnaba), uno di religiose (le Angeliche di San Paolo) e uno di laici (i Coniugati o Maritati di San Paolo).
Esce ora una nuova edizione commentata de Gli scritti di sant'Antonio Maria, a cura dei padri Antonio Gentili e Giovanni Scalese (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 1148, euro 60). L'opera, suddivisa in paragrafi e versetti, e accompagnata da abbondanti note esplicative e da utili Excursus, è di lettura impegnativa, ma ci fa conoscere più profondamente la fisionomia spirituale di questo grande santo, che affidò ai suoi figli spirituali la missione di distruggere la «maggior nemica di Cristo crocifisso», «la tiepidezza» e «annunciare la vivezza spirituale e lo spirito vivo dappertutto».
Le pagine più interessanti sono proprio quelle dedicate alla «tiepidezza» (in particolare pp. 1004-1011). Ecco alcuni degli Aforismi del fondatore dei Barnabiti: «La tiepidezza è un'eresia diffusa in tutto il mondo, non perseguitata dagli inquisitori, ma abbracciata dal demonio»; «La tiepidezza è un accecamento della mente. Perciò il tiepido è sempre distratto con la mente e privo dell'attenzione interiore»; «Il tiepido, apparentemente, sembrerebbe aver cura del culto divino, ma solo quanto alle cerimonie esteriori e in modo ripetitivo»; «La tiepidezza incomincia nella disattenzione, prosegue nell'oscurità della mente, finisce nell'accecamento dell'intelletto»; «La madre della tiepidezza è l'ingratitudine per i benefici divini; le sue compagne sono la sensualità, la curiosità e le distrazioni; la (sua) nutrice è la confidenza nella bontà divina, basata su qualche opera buona e sulla convinzione che sia sufficiente evitare i peccati gravi, come se la tiepidezza non fosse un peccato grave»; «Se non ti risollevi subito dalla tiepidezza, proverai maggiore fatica a tornare al primo fervore; perché la tiepidezza, più di tutte le infermità spirituali, è molto lontana dalla guarigione»; «Se tu hai promesso a Dio di volere sempre progredire e fuggire la tiepidezza, non tardare a metterlo in pratica: perché come dice il Sapiente, dispiace a Dio la promessa stolta e infedele».
Una delle cause profonde della crisi religiosa contemporanea è che, come già accadde nel XVI secolo, al fervore di chi serve il male non si contrappone il fervore, ma la tiepidezza, di chi dice di voler servire il bene. Le parole di sant'Antonio Maria, ci giungono dunque di sprone, in un momento in cui la Chiesa ha bisogno, come allora, di una profonda riforma interna. Zaccaria, sottolineano giustamente gli autori di questo importante volume, «non fu l'uomo della rottura, ma della continuità: un riformatore che voleva rinnovare la Chiesa traendo l'ispirazione e la spinta dalla tradizione della Chiesa stessa, e non un rivoluzionario, come gli umanisti e i "riformatori" che, avendo la pretesa di ritornare alle origini, di fatto interruppero quella tradizione e sovvertirono la vera natura della Chiesa».
10 SEP. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7899
COSA PUO' INSEGNARCI UN OROLOGIO TROVATO NEL DESERTO?
Una storiella edificante ci spiega che se ci meravigliamo studiando il meccanismo di un orologio e siamo certi dell'esistenza del suo artefice anche se non lo vediamo, ne consegue che...
di Padre Gnarocas
Tre arabi viaggiavano nel deserto sconfinato, sotto i raggi ardenti del sole, quand'ecco sull'arida sabbia essi scorgono qualche cosa che riluce vivamente.
Si fermano osservando attentamente, ed oh! Meraviglia, un bellissimo orologio d'oro!
Uno di essi si china e lo raccoglie e lo mostra ai compagni. Nessuno dei tre aveva mai visto un orologio; sicché, meravigliatissimi, non sapevano che cosa pensare su quel meraviglioso oggetto. L'osservarono a lungo con grande curiosità, li girarono per ogni verso, e, quando udirono il tic-tic del movimento interno e si accorsero che le sfere si muovevano, ebbero una gran voglia di vedere che cosa vi fosse all'interno di quella meravigliosa scatolina.
Dopo aver frugato per un bel pezzo, finalmente riuscirono ad aprirlo. Al vedere quell'insieme di rotelline, di spirali, di pezzetti di metallo disposti con tanto ordine e precisione fecero mille esclamazioni di meraviglia.
Come mai un oggetto costruito con tanta precisione si trova qui, abbandonato sull'arida sabbia del deserto?
- Certamente qualche viaggiatore, che ha attraversato il deserto prima di noi, ha perduto questo tesoro.
- Ma non potrebbe essere sta to prodotto dalla sabbia del deserto?
- No, no, impossibile, impossibilissimo; un meccanismo cosi perfetto non può essere prodotto alla sabbia arida e inerte, questo oggetto è stato fabbricato da una persona molto intelligente.
- Ma noi non abbiamo visto il bravo artista che ha fabbricato questo meccanismo, e che ha messo insieme queste rotelline.
- E che importa se non l'abbiamo visto noi? L'artista sarà in paesi lontani, lontanissimi, ma certamente egli deve esistere.
E i tre arabi continuarono il loro viaggio, portando con sé il piccolo tesoro, che avevano trovato. E più osservavano quell'orologio e più si persuadevano che doveva essere opera di una persona molto intelligente.
Infine uno di essi esclamò: "Varrebbe la pena fare un lungo viaggio per andare in traccia di colui, che ha fabbricato questo oggetto, per rendere a sì grande artista l'onore che merita".
Quei tre arabi ragionavano molto rettamente; ma se noi, in una notte serena, solleviamo gli occhi verso il cielo stellato, dobbiamo restare colpiti da meraviglia infinitamente più grande di quella che ebbero i tre arabi nel trovare l'orologio.
Miliardi e miliardi di astri formano nello spazio infinito mille volte più perfetto di quello di un orologio; e noi, contemplando questo meccanismo celeste, dobbiamo concludere, con più ragione dei tre arabi: "Certamente questo meraviglioso meccanismo è stato creato da un Essere sapientissimo. Certamente questo Essere sapientissimo deve esistere, e anche se non l'avesse visto mai nessuno, sarebbe ugualmente certa la sua esistenza. Vale ben la pena di fare lunghi studi per cercare, per conoscere, questo Essere supremo per rendergli l'onore che merita".
3 SEP. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7907
FRENARE LA PROPRIA LINGUA E' LA COSA PIU' DIFFICILE
Come il morso orienta il cavallo dove vuole il padrone, così la lingua può orientare l'uomo alla virtù o a soddisfare le passioni a seconda se è tenuta a freno oppure no
di Don Dolindo Ruotolo
"Perché tutti quanti inciampiamo in molte cose: Se uno non inciampa con la parola, questi è un uomo perfetto, capace di tenere a freno tutto il corpo. Ecco: Noi mettiamo il morso in bocca ai cavalli per renderceli obbedienti, e possiamo condurre dove ci pare tutto il loro corpo" (Gc 3, 2-3).
Se si riflette, infatti, e se facciamo appello alla nostra medesima esperienza, la cosa più difficile a dominarsi è proprio la lingua.
Nelle discussioni o nelle contese noi sentiamo un impeto irresistibile a rispondere, a ribattere appena ci sorge nell’anima un pensiero; impeto tanto irresistibile, che noi ci sentiamo intimamente contenti e soddisfatti di aver parlato, di aver risposto, di aver rimbeccato, e tanto soddisfatti da sentire il bisogno di dirlo agli altri, esclamando anche al primo che capita: "Ben fatto, gliel’ho detto; io... crepavo se non glielo dicevo; io sono Franco, non ho peli sulla lingua, e quello che sento dentro debbo metterlo fuori" e simili vivaci e taglienti espressioni che manifestano di quale forza è l’impeto della lingua, e come il saperlo frenare è segno di perfezione interiore e di completo dominio delle nostre passioni.
Tutte le passioni, infatti, trovano nella parola la loro espressione e il loro incentivo.
La superbia e la vanagloria suggeriscono alla parola la propria lode; l’invidia spinge alla maldicenza e alla calunnia; l’avidità del guadagno spinge alla menzogna e alla frode; l’ira all’ingiuria e alla bestemmia; l’ozio al pettegolezzo, alla chiacchiera frivola, ai giudizi avventati e infine la lussuria vi trova la causa del suo risveglio e il suo sfogo scandaloso con i discorsi impuri, le parole a doppio senso o la rievocazione di peccati commessi o di avventure "galanti".
Perciò il Siracide si domanda: "Chi non inciampa nel conversare?" (Sir 19,16). E Gesù Cristo dice: "Dall’abbondanza del cuore parla la lingua" (Mt 12,34). E ancora, considerando la lingua come espressione dei peccati dei quali si deve rendere conto a Dio nel giudizio, proclama solennemente: "In verità vi dico che di ogni parola oziosa che l’uomo avrà proferita, renderà conto nel giorno del giudizio" (Mt 12,36). E ancora: "Ciò che esce dalla bocca renderà impuro l’uomo" (Mt 15,11).
San Giacomo per mostrare come è necessario dominare la lingua, perché per essa l’uomo esprime e fomenta le passioni, porta alcuni paragoni che fanno capire, come la lingua, per piccola che sia come muscolo, può determinare o esprimere l’indirizzo della vita, e dice: "Noi mettiamo il morso in bocca ai cavalli per renderceli obbedienti, e possiamo condurre dove ci pare tutto il loro corpo" (provvidenzialmente la dentatura del cavallo è adatta a portare il morso: essa, infatti, contiene sei incisivi nella parte superiori che sono adattissimi a strappare le erbe; i canini sono piccolissimi o addirittura mancano, e di conseguenza lasciano una zona semivuota o vuota tra gli incisivi e i molari, dove si adatta e può stare il morso; i molari sono larghi e grossi con ripiegature nello smalto, e perciò adatti a triturare l’erba; sono dodici sopra e sotto; il morso, tirato in un senso o in un altro, costringe il cavallo per il dolore o per il fastidio che gli procura lo strappo, a voltarsi secondo la direzione voluta da chi lo guida).
Così la lingua, adoperata per il male o per il bene, orienta l'uomo al male o al bene, come il morso orienta il cavallo con tutto il suo corpo, dove vuole il padrone.
27 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7900
BOXE: E' GIUSTO CHE UN UOMO PICCHI UNA DONNA? CHE DUE DONNE FACCIANO A BOTTE? E DUE UOMINI? di Fabio Fuiano
Lo scorso primo agosto si è disputato, in occasione delle Olimpiadi di Parigi, un incontro di pugilato tra Angela Carini e Imane Khelif che ha suscitato un acceso dibattito sulla disparità biologica tra i contendenti. Un dibattito che, purtroppo, è rimasto su un piano superficiale e opinabile, anche a causa di elementi di informazione insufficienti per poter prendere una posizione equilibrata. Con questo articolo si tralascerà volutamente la questione relativa all'identità sessuale di Imane Khelif, o la valutazione sull'opportunità che un tale personaggio possa essere adatto a partecipare ad un incontro di boxe in tale o tal altra categoria. Queste sono questioni particolari che, molto opportunamente, vanno lasciate alla scienza medica, perfettamente in grado, alla luce dei progressi della genetica, di stabilire il genotipo di qualsiasi essere umano. Lo sforzo da fare è quello di ricondurre l'intera vicenda a principi generali che, in quanto tali, non possono essere messi in discussione.
Anzitutto, è fondamentale ribadire l'esistenza di una natura umana, oggettiva e immutabile, con una conseguente legge morale naturale che ingiunge all'uomo di agire conformemente a tale natura se vuol conseguire il proprio fine ultimo. Secondariamente, bisogna domandarsi se, tra gli sport esistenti, la boxe sia o meno conforme alla natura umana e, particolarmente, a quella femminile. Ecco il nocciolo della questione: se la risposta a tali interrogativi è negativa, allora si possono tranquillamente tralasciare tutte le discussioni conseguenti.
LA DOTTRINA DELLA CHIESA
La Dottrina della Chiesa in merito al tema dello "sport" ha avuto il suo sviluppo con i pontificati di San Pio X e i successivi. In particolare, papa Sarto, pur rilevando gli aspetti positivi dello sport, rivolgeva ai partecipanti al Concorso Internazionale di Ginnastica del 27 settembre 1908 l'invito a «non passare i confini della prudenza, non esporsi a pericoli» recando danno alla propria salute.
Nel suo Discorso agli sportivi romani del 20 maggio 1945, Pio XII parlava positivamente di uno sport che «concorre ad elevare il valore spirituale dell'uomo e, quel ch'è più, lo orienta verso una nobile esaltazione della dignità, del vigore e della efficienza di una vita pienamente e fortemente cristiana». Al tempo stesso, il Papa ricordava come questa concezione cristiana fosse lontana da quel materialismo «per il quale il corpo è tutto l'uomo! Ma come è anche aliena da quella follia di orgoglio, che non si rattiene dal rovinare con uno strapazzo insano le forze e la salute dello sportivo, per conquistare la palma in una gara di pugilato o di velocità, e lo espone talvolta temerariamente anche alla morte! Lo "sport" degno di questo nome rende l'uomo coraggioso di fronte al pericolo presente, ma non lo autorizza a sfidare senza una ragione proporzionata un grave rischio; il che sarebbe moralmente illecito».
Per quel che attiene alla boxe, la Chiesa ha spesso espresso la sua condanna per due principali ragioni:
1) perché richiede, per poter essere svolta, un confronto violento con l'avversario, mettendone in pericolo l'incolumità, se non la vita stessa;
2) a causa del clima di eccitazione violenta che esso provoca tra gli spettatori, analogo ai giochi gladiatori già condannati da sant'Agostino.
Basti ricordare, a questo proposito, un articolo dell'Osservatore Romano del 15 febbraio 1933 in cui si descrive «quel popolo che invade, assiepa, riempie sino all'impossibile gli stadi [...] pronto a dirsi truffato se la rissa coi guantoni non ha spaccato sopracciglia, infranto nasi, slogato mascelle, rotto costole, pesto almeno un occhio, regalata una emorragia [...] quel popolo che s'erge dal suo posto allo stadio come su un piedistallo e si innalza a simbolo della civiltà odierna. La quale è fiera di premiare i "pugili" che con la forza, la violenza, la brutalità proiettate nello stadio, nella arena del mondo, ne esalta e diffonde la fama. Questa nostra civiltà! [...] Quella che ha tanto camminato in venti secoli da ritrovarsi seduta ancora nell'anfiteatro».
LA MORTE IN DIRETTA TELEVISIVA
Numerosi sono stati gli interventi di questa natura, soprattutto dopo le ingenti morti seguite alla diffusione di questa disciplina sportiva a partire dagli anni '60. "La Civiltà Cattolica", in una documentata analisi del problema, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, affermava che «la maggior parte dei moralisti, confortata dal giudizio ancora più severo dei medici, non ha dubbi nel ritenere il pugilato professionistico, così come è attualmente, di fatto, esercitato, uno sport oggettivamente immorale» (Il pugilato professionistico e la morale, in "La Civiltà Cattolica", 1962, II, p. 160); «in verità - proseguiva l'organo ufficioso della Santa Sede - non c'è ancora su tale problema una dichiarazione ufficiale della Chiesa; ma occorre notare che, per giudicare della moralità di un fatto o di un problema, non si richiede sempre un intervento ufficiale della Chiesa; basta applicare ai casi concreti i principi generali della morale naturale, elevata e perfezionata dal cristianesimo» (ivi).
Dopo la morte in diretta televisiva, del pugile Davey Moore il 21 marzo 1963, in un incontro con Sugar Ramos, "L'Osservatore Romano" ribadiva a sua volta «il giudizio intrinseco sulla immoralità di uno sport che attenta all'integrità della persona fisica degli atleti gratuitamente e stoltamente e nella triste cornice della passionalità scatenata del pubblico». Nell'articolo si concludeva: «Non si dica che anche gli altri sport, auto, ciclismo, alpinismo, calcio, possono provocare tragedie e costare vittime. In quegli sport la disgrazia non può essere che accidentale e, del resto, anche per essi vale l'obbligo del limite ragionevole e della prudenza cristiana. Ma nel pugilato l'essenza è l'offesa fisica contro l'avversario. Fissare un punto limite o stabilire una sicurezza certa nell'impetuoso gioco, alla luce dell'esperienza sembra pura illusione. E la persona umana va salvaguardata, non distrutta. Va educata non abbruttita» (Ribalta dei fatti: Lo stadio o il circo? in "Osservatore Romano", 27 marzo 1963, p. 2).
IL PIANTO DELLA PUGILE ANGELA CARINI
Ma, a questo punto, se già per lottatori di sesso maschile si pongono remore morali, che pensare quando a combattere sul ring sono delle donne? È davvero conforme alla natura femminile? La Chiesa non avrebbe esitazioni: la natura della donna è fatta per ben altro. Il pianto prorompente della pugile Angela Carini a seguito dell'incontro è una palpabile testimonianza della cocente sconfitta, certo, ma anche dello sfogo inconsapevole dovuto all'innaturalità di questo sport per una donna.
In una riflessione, pubblicata su CR, dedicata alle donne c.d. "childfree", si sono riportati ampi stralci delle parole di papa Pio XII sulla naturale vocazione della donna alla maternità, alla sua spiccata sensibilità e delicatezza, che la rendono regina del focolare, atta a diffondervi gentilezza e dolcezza. L'antitesi della intrinseca violenza della boxe. Già il predecessore, Pio XI, metteva in guardia da una pretesa emancipazione femminile che mira ad assegnare alla donna i medesimi ruoli che ricopre l'uomo. Nella sua enciclica Casti Connubii, del 1930, il pontefice rilevava che in tal modo si mira alla corruzione dell'indole muliebre e della dignità materna, nonché alla perversione di tutta la famiglia. Anzi, «questa falsa libertà e innaturale eguaglianza con l'uomo tornano a danno della stessa donna; giacché se la donna scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non di apparenza, certo di fatto) e ridiventerà, come nel paganesimo, un mero strumento dell'uomo».
Per curare questa piaga materialistica e individualista, affermava Pio XII nella sua Allocuzione alle delegate delle Leghe Femminili Cattoliche il 14 aprile 1939, «non c'è che un balsamo efficace: il ritorno dello spirito e del cuore umano alla conoscenza e all'amore di Dio, il Padre comune, e di Colui che Egli ha inviato per salvare il mondo: Gesù Cristo. Ora, per versare l'unzione di questo balsamo sulle carni vive dell'umanità straziata da tanti urti, le mani delle donne sembrano provvidenzialmente preparate, rese più docili dalla sensibilità più affinata e dalla tenerezza più delicata del cuore». Ecco l'alta vocazione cui sono destinate le mani di una donna, lasciando da parte i guantoni del pugile.
21 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7894
L'ETERNA SFIDA DEI GIOVANI CONTRO I VECCHI di Roberto Marchesini
Girano diversi articoli nei quali si riportano frasi vecchie di secoli nelle quali alcuni barbogi si lamentano dei giovani. Ad esempio Aristotele: «I giovani sono magnanimi; poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, anzi sono inesperti delle ineluttabilità, e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità: e ciò è proprio di chi è facile a sperare [...]. Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa del loro eccesso in tutto»; oppure Orazio: «Questa gioventù di sbarbati... non prevede ciò che è utile, sperperando i suoi soldi».
Lo scopo di queste citazioni è più o meno questo: i vecchi si sono sempre lamentati dei giovani, eppure il mondo è ancora qui. I vecchi non amano i cambiamenti e rimpiangono la loro gioventù; per questo il loro mondo gli sembra migliore dell'attuale. Sì, può essere: in effetti in molti considerano infanzia e giovinezza come un periodo bello della loro vita; attribuiscono quindi a quegli anni la bellezza che, invece, era solo nei loro occhi. Tuttavia... se questo bias esiste, non esiste solo per i vecchi: anche i giovani potrebbero leggere con gli occhi della bellezza un mondo e un'epoca che così bella forse non è. Quindi: uno e uno, palla al centro.
I boomer, tuttavia, potrebbero a loro volta obiettare che loro sanno com'era il passato, mentre i giovani non lo sanno. Solo chi ha vissuto il passato può confrontarlo con il presente in modo credibile. A loro volta, i giovani potrebbero replicare «Ok, boomer», aggiudicandosi la partita: coi vecchi è inutile parlare, non sanno niente e non capiscono niente.
È, dunque, un problema insolubile?
Da una parte, la contrapposizione tra generazioni è un tema che ritorna ciclicamente (non so quanto in modo spontaneo) nei momenti turbolenti: negli anni della contestazione i giovani dicevano più o meno le stesse cose dei «matusa». Dall'altro lato, credo che si tratti della solita questione: pensiero classico contro pensiero moderno. Questi due pensieri hanno una concezione del tempo, naturalmente, opposta.
Il pensiero classico è attraversato dal mito dell'età dell'oro, età del latte e del miele che, progressivamente, è degradata. Il cristianesimo fa riferimento, all'origine dei tempi, nientemeno che al paradiso terrestre, nel quale gli uomini erano più vicini a Dio non solo cronologicamente o fisicamente, ma anche ontologicamente. Dal peccato originale e dalla cacciata, la storia dell'umanità è una progressiva decadenza e un allontanamento dal progetto originario di Dio. Si potrebbe obiettare: ci sono stati dei picchi come il Medioevo e la Controriforma.
Ora: io adoro l'architettura gotica e l'arte barocca, dal punto di vista artistico sono indubbiamente delle vette. Tuttavia, come faceva notare qualcuno: davvero i quadri di Caravaggio o le composizioni del Palestrina inducono all'elevazione spirituale? Bisogna riconoscere che l'architettura romanica, il canto gregoriano e ambrosiano, hanno una valenza spirituale superiore. E poi? Esaurita anche la spinta controriformistica? Un progressivo e inesorabile allontanamento dal progetto originario di Dio. Ma Dio stesso è venuto sulla terra! Certo, ma per spalancarci le porte del Cielo, non per migliorare questa valle di lacrime.
Opposta la visione del tempo della modernità: che si faccia riferimento a Comte, a Darwin, Hegel o a Marx, per la modernità ciò che è attuale è necessariamente meglio di ciò che è stato. Le «magnifiche sorti e progressive» cantate (ironicamente?) da Leopardi (Giacomo).
Quindi: per chi è nato e cresciuto in un mondo che, anche solo per inerzia, era ancora un mondo classico (greco, romani e cristiano) è facile pensare che «prima della guerra anche il fango era migliore», come dicono in Polonia: per chi è nato e cresciuto in un mondo integralmente moderno è ovvio che l'oggi è meglio di ieri e non può essere altrimenti.
Cosa ne penso io? Che non so se sia meglio ieri o oggi e nemmeno se abbia senso parlare di meglio o peggio. Tutto ciò che è del mondo cambia, nulla dura in eterno. Tutto è effimero e vano. Tranne la Croce di Cristo. Stat Crux, dum volvitur orbis.
21 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7894
L'ETERNA SFIDA DEI GIOVANI CONTRO I VECCHI di Roberto Marchesini
Girano diversi articoli nei quali si riportano frasi vecchie di secoli nelle quali alcuni barbogi si lamentano dei giovani. Ad esempio Aristotele: «I giovani sono magnanimi; poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, anzi sono inesperti delle ineluttabilità, e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità: e ciò è proprio di chi è facile a sperare [...]. Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa del loro eccesso in tutto»; oppure Orazio: «Questa gioventù di sbarbati... non prevede ciò che è utile, sperperando i suoi soldi».
Lo scopo di queste citazioni è più o meno questo: i vecchi si sono sempre lamentati dei giovani, eppure il mondo è ancora qui. I vecchi non amano i cambiamenti e rimpiangono la loro gioventù; per questo il loro mondo gli sembra migliore dell'attuale. Sì, può essere: in effetti in molti considerano infanzia e giovinezza come un periodo bello della loro vita; attribuiscono quindi a quegli anni la bellezza che, invece, era solo nei loro occhi. Tuttavia... se questo bias esiste, non esiste solo per i vecchi: anche i giovani potrebbero leggere con gli occhi della bellezza un mondo e un'epoca che così bella forse non è. Quindi: uno e uno, palla al centro.
I boomer, tuttavia, potrebbero a loro volta obiettare che loro sanno com'era il passato, mentre i giovani non lo sanno. Solo chi ha vissuto il passato può confrontarlo con il presente in modo credibile. A loro volta, i giovani potrebbero replicare «Ok, boomer», aggiudicandosi la partita: coi vecchi è inutile parlare, non sanno niente e non capiscono niente.
È, dunque, un problema insolubile?
Da una parte, la contrapposizione tra generazioni è un tema che ritorna ciclicamente (non so quanto in modo spontaneo) nei momenti turbolenti: negli anni della contestazione i giovani dicevano più o meno le stesse cose dei «matusa». Dall'altro lato, credo che si tratti della solita questione: pensiero classico contro pensiero moderno. Questi due pensieri hanno una concezione del tempo, naturalmente, opposta.
Il pensiero classico è attraversato dal mito dell'età dell'oro, età del latte e del miele che, progressivamente, è degradata. Il cristianesimo fa riferimento, all'origine dei tempi, nientemeno che al paradiso terrestre, nel quale gli uomini erano più vicini a Dio non solo cronologicamente o fisicamente, ma anche ontologicamente. Dal peccato originale e dalla cacciata, la storia dell'umanità è una progressiva decadenza e un allontanamento dal progetto originario di Dio. Si potrebbe obiettare: ci sono stati dei picchi come il Medioevo e la Controriforma.
Ora: io adoro l'architettura gotica e l'arte barocca, dal punto di vista artistico sono indubbiamente delle vette. Tuttavia, come faceva notare qualcuno: davvero i quadri di Caravaggio o le composizioni del Palestrina inducono all'elevazione spirituale? Bisogna riconoscere che l'architettura romanica, il canto gregoriano e ambrosiano, hanno una valenza spirituale superiore. E poi? Esaurita anche la spinta controriformistica? Un progressivo e inesorabile allontanamento dal progetto originario di Dio. Ma Dio stesso è venuto sulla terra! Certo, ma per spalancarci le porte del Cielo, non per migliorare questa valle di lacrime.
Opposta la visione del tempo della modernità: che si faccia riferimento a Comte, a Darwin, Hegel o a Marx, per la modernità ciò che è attuale è necessariamente meglio di ciò che è stato. Le «magnifiche sorti e progressive» cantate (ironicamente?) da Leopardi (Giacomo).
Quindi: per chi è nato e cresciuto in un mondo che, anche solo per inerzia, era ancora un mondo classico (greco, romani e cristiano) è facile pensare che «prima della guerra anche il fango era migliore», come dicono in Polonia: per chi è nato e cresciuto in un mondo integralmente moderno è ovvio che l'oggi è meglio di ieri e non può essere altrimenti.
Cosa ne penso io? Che non so se sia meglio ieri o oggi e nemmeno se abbia senso parlare di meglio o peggio. Tutto ciò che è del mondo cambia, nulla dura in eterno. Tutto è effimero e vano. Tranne la Croce di Cristo. Stat Crux, dum volvitur orbis.
L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà
Información
Autor | BastaBugie |
Organización | BastaBugie |
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