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Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)

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8 JUL. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8205
OMELIA XV DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 10,25-37) di Giacomo Biffi
Un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù; dunque non per conoscere la verità. La domanda (Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?), che pure è la più importante che possa essere posta da un uomo, non proveniva da un animo retto.
Sia però benedetto quell'ignoto malevolo interlocutore di Cristo, che ha provocato in risposta uno degli insegnamenti più alti del Signore, e ci consente di riflettere oggi ancora una volta sulla legge dell'amore, cuore e sostanza di tutto l'Evangelo.
LA LEGGE CRISTIANA DELL'AMORE RIASSUME IN SÉ TUTTI I COMANDAMENTI RICEVUTI DA MOSÈ
1. A questo mondo non c'è fascino di bellezza che non venga deturpato dall'uomo, né splendore di verità che non venga travisato. Anche la legge dell'amore corre questo rischio, per esempio quando viene presentata come un superamento o addirittura un'abrogazione dei comandamenti di Dio. La legge dell'amore non è l'abrogazione, ma piuttosto è il cuore e il compendio dei comandamenti, che Mosè ha ricevuto su tavole di pietra, ma che sono indelebilmente iscritti nell'animo umano.
Chi infatti ama Dio con tutto il cuore, adora lui solo, rispetta il suo nome e trova un'ora di tempo alla setti mana da dedicargli in esclusiva. Se no, che amore è?
E questi sono i primi tre comandamenti.
E chi ama sul serio il prossimo, cioè ha a cuore tutti i valori dell'uomo, rispetta e onora i vincoli familiari, considera sacra la vita e non manipolabile al servizio dell'egoismo la capacità di trasmettere la vita, rispetta e onora gli altri nella loro dignità, nella loro proprietà, nel loro diritto a non essere ingannati. E questi sono gli altri comandamenti.
Sicché la legge dell'amore non è il modo astuto insegnatoci da Gesù per fare i nostri comodi, ma è l'aiuto e l'ispirazione a osservare integralmente e con piena coscienza la volontà di Colui che ci ha creati.
CI AMIAMO TRA NOI PERCHÉ DIO CI AMA TUTTI DELLO STESSO AMORE
2. Un secondo modo di non intendere questa pagina di Vangelo è quello di presentare l'amore del prossimo come se a questo comando si potesse ridurre il messaggio di Cristo nella sua vera originalità.
Ma le cose non stanno propriamente così. La stessa frase: Amerai il prossimo come te stesso non è stata inventata da Gesù. Era già contenuta nei libri dell'Antico Testamento e ogni ebreo la conosceva bene.
L'originalità di Gesù sta piuttosto nella spiegazione di chi si debba considerare prossimo. Gli ebrei non avevano dubbi che per prossimo da amare si dovessero intendere i parenti, gli amici, i connazionali, i correligionari, e solo loro. Gesù ritiene invece che tutte le limitazioni nel concetto di prossimità devono cadere: prossimo è ogni uomo che il Signore mette sulla mia strada e offre alla mia attenzione.
Più ancora l'originalità di Gesù sta nella motivazione che regge e giustifica il comando dell'amore. Noi non dobbiamo amarci tra noi perché siamo amabili; anzi, spesso non lo siamo affatto. Dobbiamo amarci tra noi perché il Signore ci ha amati tutti dello stesso amore, si è chinato sulle nostre ferite, ci ha resi una cosa sola coll'impeto unificante della sua sorprendente misericordia. Se dimenticano questa motivazione, che solo la fede può dare, invano gli uomini tentano di amarsi tra loro. Come la storia spesso ci insegna, ogni slancio di solidarietà e di fratellanza finisce nell'oppressione e nella strage.
IL NOSTRO PROSSIMO È OGNI UOMO A CUI VOGLIAMO FARCI VICINI
3. E a imprimerci nell'animo questo insegnamento quasi con un quadro, Gesù racconta la celebre parabola del samaritano compassionevole, che è una delle parabole evangeliche meglio rifinite e più verosimili.
La strada che dalle alture di Gerusalemme discende alla pianura fiorita di Gerico, attraversa il deserto di Giuda, cioè una zona del tutto disabitata, dove le rapine e gli attentati erano di facile esecuzione, nonostante i pattugliamenti della polizia romana.
Il significato più decisivo del racconto sta nel fatto che il ferito è soccorso da uno che è straniero e nemico. Così si allarga il concetto di prossimo: "prossimo" è colui che io col mio amore, col mio interessamento, con la mia disponibilità voglio rendermi vicino. Vale a dire, la "prossimità" non ha altri confini se non la finitezza del cuore. Quanto più il nostro cuore sarà grande, tanto meno escluderemo qualcuno dalla cerchia di chi dobbiamo amare.
IL BUON SAMARITANO È, PRIMA DI TUTTO, GESÙ
4. Ma in questa parabola Gesù sembra anche voler raffigurare la storia della nostra salvezza, nella quale appunto la legge dell'amore del prossimo si motiva. L'uomo percosso, piagato, spogliato, che giace sul ciglio della strada, siamo noi, è la stessa umanità, che il peccato ha privato di ogni bellezza e di ogni vigore, e pare non avere più speranza né scopo di vita.
Lo straniero pietoso è il Figlio di Dio, venuto fino a noi da un mondo lontano e diverso, che si è chinato sulle nostre piaghe e ci ha dato il sollievo della fede e dei sacramenti.
L'albergatore, cui ci ha affidati per la guarigione completa, è la Chiesa che, mentre egli è visibilmente assente, continua la sua opera di risanamento, sapendo che un giorno il divino straniero tornerà a ricompensare tutti di ogni spesa e di ogni fatica.
Questa, nella sua semplicità e nella sua verità, è la nostra storia; questo è il riassunto di tutto l'Evangelo. Chiediamo la grazia di capire questo disegno misterioso e mirabile e di saper conformare alle sue linee la nostra vita, con umiltà di cuore, con fede viva, con gratitudine senza confini.
1 JUL. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8204
OMELIA XIV DOMENICA T.O. - ANNO C (Lc 10,1-12.17-20) di Giacomo Biffi
Dopo aver ricordato, nel capitolo 9, la missione degli Apostoli, l'evangelista Luca, in questo capitolo decimo, ci racconta la missione del gruppo più numeroso dei discepoli. La prima, nel numero dodici degli inviati, richiamava le tribù di Israele; la seconda, col numero settantadue, richiama tutta l'umanità: settantadue era infatti il numero dei popoli della terra secondo l'elenco dell'antico Libro della Genesi.
Le due missioni sembrano dirci che, se la salvezza deve essere proposta prima di tutto al popolo ebreo, deve però arrivare fino ai confini del mondo. Designò... li inviò...
Anche per questa missione, come per quella degli Apostoli, Gesù non lascia ad altri la decisione. È lui che sceglie, che incarica, che manda. Tutto ciò perché risulti chiaro e incontestabile che nel piano di salvezza ogni autentica missione è un dono dall'alto e che nel disegno di Dio gli uomini non sono salvati dall'iniziativa di altri uomini ma dall'amore del Padre. Tanto è vero che, se gli operai scarseggiano in questa divina impresa, non ad altri ci si deve rivolgere ma al Signore di tutto: Pregate il Padrone della messe, per ché mandi operai per la sua messe.
È interessante poi esaminare quali siano le istruzioni che ricevono gli inviati di Gesù.
1. Non devono essere impacciati dalle ricchezze, non devono cercare gli appoggi delle potenze mondane (siano esse politiche, economiche, sindacali o dell'informazione) perché la loro forza sta tutta nella parola di Dio che annunciano e nella grazia di Dio di cui sono ministri.
Badate che Gesù non dice che devono parlare troppo della loro povertà o presentarla come un manifesto pubblicitario. Dice che devono essere poveri, e se lo sono silenziosamente, nascostamente, dignitosamente, tanto meglio.
2. Non salutate nessuno lungo la strada. In Oriente il saluto tra due che si incontrano nel loro cammino può consistere in ore di conversazione. Gesù dunque non dice che i suoi inviati devono essere scortesi, ma che non devono lasciarsi distrarre dall'adempimento della loro missione né devono prestare eccessiva attenzione alle opinioni, alle chiacchiere, alle critiche, alle lodi ambigue di chi non è per niente interessato all'annuncio del Regno di Dio. La loro prima e più grande attenzione è verso il Padre che li ha incaricati e verso il compito che hanno ricevuto.
3. Ma non devono farsi illusioni: saranno sempre agnelli in mezzo ai lupi. Se restano discepoli fedeli del Signore, devono aspettarsi incomprensioni e calunnie.
4. Essi portano una cosa preziosa, cioè l'annunzio di salvezza. Lo devono offrire, ma non devono sprecarlo. Se qualcuno non lo vuole, peggio per lui. Non devono mendicare il favore e l'accoglimento degli uomini. Non è il Vangelo ad aver bisogno degli uomini, ma sono gli uomini ad aver bisogno del Vangelo, un bisogno profondo, ardente, disperato, anche se non ne sono sempre consapevoli. Non bisogna scendere di prezzo o portare per forza nel Regno di Dio coloro che si rifiutano di entrarvi.
5. L'operaio è degno della sua mercede. Gesù vuole che gli inviati da lui siano normalmente a tempo pieno. Non prende neppure in considerazione il caso di un apostolo che continui a fare il suo lavoro o a vivere con la sua famiglia: il lavoro unico dell'apostolo è l'annuncio del Regno, la sua famiglia è la comunità che è edificata dalla sua parola di salvezza.
A questa comunità Gesù affida il sostentamento materiale dei suoi incaricati. Quelli che capiscono il valore del dono che ricevono, saranno lieti di obbedire a questa direttiva del Signore. A quelli che non capiscono nessuno domanda niente.
6. Dite loro: "È vicino a voi il Regno di Dio". Che cosa devono dire i discepoli? Essi devono soprattutto e in primo luogo annunciare il Regno di Dio, che è vicino, che è imminente, a cui tutti dobbiamo prepararci con la conversione, verso il quale dobbiamo tendere con desiderio fiducioso.
LA NOSTRA PREGHIERA PER GLI APOSTOLI DEL SIGNORE
Queste sono le istruzioni di Cristo a coloro che egli manda come suoi portavoce tra gli uomini. La nostra meditazione si deve ora mutare in preghiera.
Preghiamo perché gli operai della vigna del Signore non manchino. Preghiamo perché siano sempre fedeli ai comandi che hanno ricevuto. Noi non abbiamo bisogno di annunciatori della parola che cambino il Vangelo con la scusa di adattarlo al nostro tempo, ma di annunciatori che tentino ogni giorno, magari riuscendoci poco, di cambiare se stessi per essere ogni giorno più conformi al Vangelo che non cambia.
24 JUN. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8203
OMELIA SOLENNITA' SS. PIETRO E PAOLO (Mt 16,13-19) di Papa Benedetto XVI
Siamo riuniti attorno all'altare per celebrare solennemente i santi Apostoli Pietro e Paolo, principali Patroni della Chiesa di Roma. [...]
Davanti alla Basilica di San Pietro, come tutti sanno bene, sono collocate due imponenti statue degli Apostoli Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili dalle loro prerogative: le chiavi nella mano di Pietro e la spada tra le mani di Paolo. Anche sul portale maggiore della Basilica di San Paolo fuori le mura sono raffigurate insieme scene della vita e del martirio di queste due colonne della Chiesa. La tradizione cristiana da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè, la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l'effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l'uno dall'altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità odierna consegna a ciascuno di noi. [...]
TU SEI PIETRO
Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l'intero edificio spirituale della Chiesa. Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? Il racconto dell'evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell'identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: ... questo non ti accadrà mai». E Gesù a sua volta replicò: «Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...». Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall'alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall'altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l'apertura all'azione di Dio può trasformare.
LE PORTE DEGLI INFERI NON PREVARRANNO
E nel Vangelo di oggi emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non praevalebunt». Viene alla mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affidando la missione, disse: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno - non praevalebunt -, perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,18-19). In realtà, la promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell'esistenza personale di Pietro stesso.
SIMBOLO DELLE CHIAVI
Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Esso rimanda all'oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). La chiave rappresenta l'autorità sulla casa di Davide. E nel Vangelo c'è un'altra parola di Gesù rivolta agli scribi e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini (cfr Mt 23,13). Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere (cfr Ap 3,7). Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere – esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L'espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall'altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra... nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell'esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio.
LEGARE E SCIOGLIERE
Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18). E san Giovanni, nel racconto dell'apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Alla luce di questi parallelismi, appare chiaramente che l'autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell'amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. I detti di Gesù sull'autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l'amore, l'amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l'umanità intera.
HO COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA
Cari fratelli, come ricordavo all'inizio, la tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell'Apostolo delle genti, scopriamo che l'immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tm 4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell'edificio spirituale della Chiesa. [...]
28 MAY. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8180
OMELIA DELL'ASCENSIONE - ANNO C (Lc 24,46-53) di Don Stefano Bimbi
Celebriamo la Solennità dell'Ascensione, un momento che non è solo un "arrivederci" di Gesù al cielo, ma un passaggio decisivo che ci coinvolge direttamente. Il Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato ci presenta un Gesù che, prima di salire al Padre, affida ai discepoli una missione e una promessa.
LA MISSIONE DI CRISTO: SOFFERENZA, RISURREZIONE E PERDONO
Gesù inizia spiegando ai discepoli che il suo percorso - la sofferenza, la morte e la risurrezione - non è stato un caso, ma il compimento di un disegno divino. Nel suo nome, il perdono dei peccati deve essere annunciato a tutti i popoli, a partire da Gerusalemme. Questo ci ricorda che la fede non è solo un'esperienza personale, ma è anche una chiamata a far parte della missione della Chiesa di portare al mondo intero la buona notizia. Tu sei chiamato non solo a ricevere il perdono di Cristo, ma a portarlo agli altri, ovunque tu sia. Come stai vivendo la chiamata a essere testimone del perdono di Cristo nella tua vita quotidiana? C'è qualcuno nella tua cerchia - un familiare, un collega, un amico - che ha bisogno di un ascolto attento, una parola di incoraggiamento, un atto di riconciliazione? A chi puoi annunciare il Vangelo perché si converta a Cristo?
San Francesco d'Assisi è un modello potente di come vivere questa missione. Non si limitò a predicare con le parole, ma con la sua vita. Fu un esempio di umiltà. A chi lo elogiava diceva di essere la persona peggiore di tutte, perché se Gesù ne avesse trovata una peggiore avrebbe scelto lei per far risaltare meglio la sua potenza. Inoltre andò incontro ai lebbrosi e ai poveri per portare il conforto di Cristo. Volle persino incontrare il sultano d'Egitto per convertirlo al Vangelo. Non riuscì a portarlo alla vera Fede, ma avendolo favorevolmente impressionato ottenne il permesso per i cristiani di visitare i luoghi santi. Da allora la Custodia francescana di Terra Santa permette la presenza cristiana nei luoghi di Gesù.
TESTIMONI CON LA VITA
Gesù aggiunge: "Di questo voi siete testimoni". Essere testimoni non significa solo parlare di Gesù, ma vivere in modo che la nostra vita racconti la sua presenza. In un mondo che spesso ci spinge a competere, a emergere, a pensare solo a noi stessi, essere testimoni di Cristo significa scegliere la via dell'amore come donazione, dell'onestà come rispetto degli altri, della generosità verso gli altri come risposta alla generosità di Dio verso di noi. Pensa a una situazione concreta: al lavoro, quando tutti cercano di fare carriera a scapito degli altri, tu puoi scegliere di collaborare con umiltà. Oppure, sui social, dove spesso prevalgono critiche e giudizi, tu puoi condividere parole che costruiscono.
Un esempio straordinario è San Giovanni Bosco, che ha dedicato la sua vita ai giovani di Torino, spesso emarginati e senza futuro. Con il suo sorriso e la sua dedizione, ha mostrato loro che Dio li amava. Ogni ragazzo che ha incontrato è diventato per lui un'occasione per testimoniare Cristo. E tu, in quali momenti della tua giornata puoi essere un testimone credibile di Gesù? Quali scelte puoi fare per far vedere che la tua fede non è solo parole, ma vita?
LA FORZA DELLO SPIRITO E LA GIOIA DELLA LODE
Prima di salire al cielo, Gesù promette ai discepoli la "potenza dall'alto", lo Spirito Santo, e li invita ad aspettare la Pentecoste con fiducia. E loro, dopo l'Ascensione, tornano a Gerusalemme "con grande gioia", lodando Dio. Questo ci insegna due cose: primo, che non siamo soli nella missione; secondo, che la Fede è fonte di una gioia che nessuno può toglierci. Lo Spirito Santo è la forza che trasforma le nostre paure in coraggio, le nostre incertezze in speranza. E la gioia? È il segno che Cristo è con noi, anche quando non lo vediamo.
San Filippo Neri, noto come il "santo della gioia", nel XVI secolo trasformava le strade di Roma in un luogo di festa e preghiera. Organizzava pellegrinaggi, incontri e momenti di allegria per i giovani, mostrando che la fede è motivo di felicità profonda. La sua capacità di ridere e far ridere, anche in tempi difficili, ci sfida: come puoi portare la gioia del Vangelo nei tuoi ambienti, magari con un sorriso o un gesto di speranza?
Quali momenti della tua giornata o della tua settimana dedichi a lodare Dio, magari attraverso la preghiera, la Messa o mettendo in pratica le opere di misericordia corporali e spirituali? Conosci le opere di misericordia corporali e spirituali? Prendi l'impegno di metterne in pratica una alla settimana e poi verifica se lo hai fatto.
UNO SGUARDO AL CIELO, I PIEDI SULLA TERRA
L'Ascensione non è la fine della storia di Gesù, ma l'inizio della nostra missione. Cristo sale al cielo, ma ci promette il dono dello Spirito Santo e ci invita ad essere suoi testimoni, portare il suo perdono, vivere con gioia.
Il mondo ha bisogno di qualcuno che ricordi la salvezza portata da Gesù. Qualcuno che indichi le realtà del Cielo. Non dobbiamo aver paura di essere diversi, di scegliere la via di Cristo in un mondo che spesso va in un'altra direzione. Come i discepoli dobbiamo tornare alla nostra "Gerusalemme" - la famiglia, il lavoro, le amicizie - con grande gioia, sapendo che lo Spirito ci guida.
Preghiamo Maria, Regina degli Apostoli, affinché ci aiuti a vivere questa missione con coraggio e amore. E ora, prenditi un momento per rileggere il brano e rispondere in silenzio alle domande proposte sopra. Chiediti infine: Cosa mi sta dicendo Gesù oggi? Come posso rispondere alla sua chiamata con la mia vita?
Che lo Spirito Santo ti guidi e ti doni la gioia di essere suo testimone!
20 MAY. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8176
OMELIA VI DOM. DI PASQUA - ANNO C (Gv 14,23-29) di Don Stefano Bimbi
Il Vangelo di questa sesta domenica di Pasqua ci invita a entrare in un dialogo intimo con Gesù, che ci parla di amore, fedeltà, presenza divina e pace. È un discorso denso, che tocca il cuore e interpella la nostra vita quotidiana. Visto che siamo immersi in un mondo frenetico e spesso confuso, queste parole ci offrono una bussola per orientarci verso ciò che davvero conta.
L'AMORE SI FA OBBEDIENZA
"Se uno mi ama, osserverà la mia parola". Gesù inizia con un'affermazione chiara: amare Lui significa osservare la sua parola. Non si tratta di un amore romantico o astratto, ma di un amore concreto, che si traduce in scelte, azioni e fedeltà. Osservare la parola di Gesù significa vivere secondo i suoi insegnamenti, anche quando è scomodo o controcorrente. Questo può significare scegliere l'onestà in un contesto lavorativo competitivo, perdonare un amico che ti ha ferito o dedicare tempo alla preghiera in una giornata piena di impegni. Quando vivi così, Gesù promette che il Padre ti amerà e che loro "prenderanno dimora" in te. È un'immagine potente: Dio non è lontano, ma vuole abitare nel tuo cuore, essere parte della tua vita.
Pensiamo a San Francesco d'Assisi. Nato in una famiglia benestante, avrebbe potuto vivere una vita comoda e spensierata. Invece, ha scelto di ascoltare la parola di Gesù, spogliandosi di tutto per seguire il Vangelo alla lettera. La sua obbedienza era gioiosa, perché scaturiva dall'amore per Cristo. La sua vita mostra che osservare la parola di Gesù non toglie libertà, ma, al contrario, la rende piena.
Nella tua vita quotidiana, quali sono le "parole" di Gesù che trovi più difficili da mettere in pratica? Perché? C'è una situazione in cui senti di dover fare una scelta coraggiosa per essere fedele a ciò che Gesù ti chiede? Come puoi affrontarla?
LO SPIRITO SANTO, GUIDA E MEMORIA
"Il Paràclito vi insegnerà ogni cosa". Gesù sa che non possiamo farcela da soli. Per questo promette il dono dello Spirito Santo, il Paràclito, che significa "colui che sta accanto". Lo Spirito non è un concetto astratto: è la presenza viva di Dio che ti illumina, ti consola e ti ricorda le parole di Gesù nei momenti di smarrimento. Se ti trovi a dover prendere decisioni importanti nella tua vita lo Spirito Santo è lì per guidarti, se gli dai spazio attraverso la preghiera e l'ascolto. È come un navigatore interiore che ti aiuta a ritrovare la strada quando sei confuso.
Santa Teresa di Lisieux, la "piccola Teresa", visse una vita apparentemente semplice, ma profondamente guidata dallo Spirito. Nella sua autobiografia, racconta come lo Spirito le insegnava a fare piccoli atti d'amore con grande cuore, anche nelle difficoltà del convento. La sua "piccola via" è un esempio di come lo Spirito può ispirare anche le vite più ordinarie a diventare straordinarie.
Quando hai sentito, magari in un momento di preghiera o riflessione, una "luce" o un'intuizione che ti ha aiutato a capire meglio la tua strada? Come puoi coltivare l'ascolto dello Spirito nella tua vita quotidiana? Ci sono momenti in cui ti senti smarrito o confuso? Come puoi affidarti allo Spirito Santo per ritrovare chiarezza?
LA PACE DI CRISTO E' DIVERSA DA QUELLA DEL MONDO
"Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi". In un mondo che associa la pace all'assenza di problemi o al successo materiale, Gesù offre una pace diversa, profonda, che non dipende dalle circostanze esterne. È la pace che ci viene donata nella confessione quando ci vengono rimessi i peccati. Per questo la pace la puoi sperimentare solo sapendo che sei amato da Dio, anche nei fallimenti o nelle tempeste della vita. Questa pace può essere un'ancora in momenti di ansia, come l'incertezza del futuro, le insicurezze personali o i conflitti relazionali. Gesù ci invita a non lasciare che il nostro cuore sia turbato, ma a fidarci di Lui. Questa pace è un dono, ma richiede di accoglierlo, di scegliere di non lasciarsi sopraffare dal peccato e dalla paura.
San Giovanni Paolo II da giovane visse in un contesto di guerra e oppressione prima sotto il regime nazista e poi quello comunista. Nonostante le difficoltà, trovò pace nel suo rapporto con Cristo, dedicando tempo alla preghiera e al teatro clandestino per mantenere viva la speranza. La sua serenità, anche di fronte alle minacce, era radicata nella fiducia in Dio e questa pace lo accompagnò fino a quando fu eletto Papa. Nella omelia per l'inizio del pontificato disse: "Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi - vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia - permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna".
Quali sono le "tempeste" che turbano il tuo cuore in questo momento? Come puoi accogliere la pace di Cristo in queste situazioni? In che modo la pace di Gesù è diversa da quella che cerchi nel successo, nelle distrazioni o nelle approvazioni degli altri? Come puoi coltivarla?
LA GIOIA DELLA FEDE
"Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre". Gesù invita i discepoli a rallegrarsi della sua partenza verso il Padre, perché è parte del piano di salvezza. Questo può sembrare paradossale: come rallegrarsi di un distacco? Eppure, Gesù ci insegna che la fede è gioia, anche quando non capiamo tutto. Questa gioia può essere difficile da vivere in un mondo che spesso premia il cinismo o l'indifferenza. Rallegrarsi significa scegliere di vedere la presenza di Dio anche nelle incertezze, di credere che Lui sta lavorando nella tua vita, anche quando non lo vedi chiaramente.
Il Beato Carlo Acutis, un giovane vissuto nel nostro tempo, aveva una fede contagiosa. Nonostante la leucemia fulminante che lo colpì a soli quindici anni, Carlo non perse la gioia. Offrì le sue sofferenze per il Papa e la Chiesa, vivendo con un sorriso che nasceva dalla sua amicizia con Gesù e dall'accogliere il dono dell'Eucaristia che diceva essere "l'autostrada per il paradiso". La sua vita ci ricorda che la gioia cristiana non è superficiale, ma radicata in un amore più grande.
Quando hai sperimentato una gioia profonda, magari in un momento di preghiera, servizio o condivisione? Come puoi ritrovarla oggi? Cosa ti impedisce di rallegrarti pienamente della presenza di Gesù nella tua vita? Come puoi fare un piccolo passo per fidarti di più del suo piano per te?
Gesù ti invita a vivere un cristianesimo vivo, pratico e personale. Ti chiama ad amarlo con le tue scelte, ad affidarti allo Spirito Santo, a pentirti dei tuoi peccati e accogliere la sua pace per trovare la vera gioia. Hai davanti a te un mondo pieno di opportunità, ma anche di sfide. Lascia che le parole di Gesù risuonino nel tuo cuore: non sei solo, Dio vuole abitare in te e guidarti.
Prenditi un momento per pregare con queste parole: "Signore Gesù, grazie per il tuo amore che non si stanca di cercarmi. Donami il coraggio di osservare la tua parola, la fiducia di affidarmi al tuo Spirito, l'umiltà di pentirmi dei miei peccati, la pace che supera ogni paura e la gioia di sapere che sei con me. Fa' che la mia vita, a imitazione di quella dei santi, sia un riflesso del tuo amore. Amen."
13 MAY. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8163
OMELIA V DOM. PASQUA - ANNO C (Gv 13, 31-33.34-35) di Don Stefano Bimbi
Nel Vangelo di questa domenica Gesù annuncia che la sua glorificazione è iniziata e affida ai discepoli un comandamento nuovo.
Abbiamo sentito che Giuda esce dal cenacolo per andare a tradire Gesù. Ma dopo questo momento oscuro Gesù, pronuncia parole di luce, parla di gloria. La gloria di Dio non è fatta di applausi o di potere. È amore che resta fedele anche quando viene tradito. E tu come reagisci quando qualcuno ti ferisce o ti delude? Sai ancora parlare con amore? O ti chiudi, ti indurisci, ti vendichi?
San Francesco d'Assisi, dopo essere stato ripudiato da suo padre, ha scelto la via opposta all'odio: l'amore. E così ha abbracciato la povertà e ha amato anche chi lo derideva. In quell'umiliazione, si è avvicinato alla gloria vera di cui ci parla Gesù. Infatti la croce non è un incidente di percorso. È l'ora in cui l'amore di Dio si mostra al massimo. È il capovolgimento della logica umana del "te la faccio pagare".
Santa Gianna Beretta Molla aveva quarant'anni, era medico e madre. Scoprì di avere un fibroma all'utero, ma scelse di non curarsi e mettere a rischio la sua vita pur di dare alla luce la sua quarta figlia. Disse ai medici: "Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete (e lo esigo) il bimbo; salvate lui!". La sua gloria non fu un successo mondano, ma un amore che si dona fino in fondo, anche nel dolore.
Tu dove cerchi la gloria? Nell'idea che gli altri hanno di te? Nell'approvazione di chi ti sta intorno? Nei like sui social? E quando vivi una situazione di sofferenza, riesci ancora ad affidarti a Dio?
Gesù nel dare un "comandamento nuovo" non sta dando una regola morale in più. Sta consegnando la chiave per riconoscere i suoi amici, i suoi discepoli. "Amatevi gli uni gli altri" era un comandamento antico. La novità sta nel premettere "Come io ho amato voi". Gesù ci ha amato dando la sua vita sulla croce e soffrendo tutte le pene della Passione. Così dobbiamo amarci anche noi gli uni gli altri.
San Massimiliano Kolbe, internato ad Auschwitz, si offrì al posto di un altro prigioniero, padre di famiglia, condannato a morte. Questo è il "come" di Gesù: un amore che si fa dono per gli altri anche a costo della vita.
Gesù è stato chiaro "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri". Il segno distintivo dei discepoli di Cristo è l'amore. Non un amore qualunque, ma quello che, sul modello di Cristo, resiste, si abbassa, lava i piedi, non si ritira davanti alla fatica, alla sofferenza e nemmeno alla morte.
Se nel Vangelo Gesù dà il comandamento nuovo dell'amore, nella seconda lettura tratta dall'Apocalisse vediamo il frutto finale di quell'amore vissuto fino in fondo: un mondo rinnovato, guarito, senza più dolore.
Questa visione non è un sogno astratto. È la meta concreta che Dio vuole per noi e per tutta l'umanità: una nuova creazione dove l'Amore ha vinto: "Vidi un cielo nuovo e una terra nuova". Il mondo che conosciamo - con il suo caos, i suoi inganni, le sue ferite - non è l'ultima parola. Dio promette un cambiamento radicale: non solo aggiustare ciò che è rotto, ma rifare tutto da capo, in modo nuovo, vero, eterno. Per questo dobbiamo credere che Dio possa fare nuova anche la nostra vita già da adesso. Con la conversione possiamo sperimentare questa novità di vita. Non possiamo rassegnarci dicendo "sono fatto così" oppure "tanto le cose non cambiano mai". Invece Gesù dice: "Io faccio nuove tutte le cose". Da pubblicani e prostitute ne ha fatto santi che hanno preceduto in paradiso quelli che si ritenevano a posto con Dio. Il buon ladrone, che era un assassino, è stato trasformato nel primo ad essere ammesso in Paradiso. Una vergine è stata trasformata in madre, addirittura la madre di Dio. Insomma, a Gesù tutto è possibile.
Il Vangelo ci chiede di amare "come Gesù ha amato". L'Apocalisse ci mostra dove porta quell'amore: verso un mondo rinnovato in cui tutto trova senso, tutto viene sanato.
La città santa, la Gerusalemme nuova, pronta come una sposa è il volto della Chiesa, di chi ha vissuto l'amore del Vangelo e resistito nella fede, anche quando il mondo diceva: "ama solo te stesso" e "realizza te stesso".
E tu, come ami? A pezzi? Solo quando conviene? Solo chi ti capisce? Solo se ti rispondono come vuoi? Chi direbbe di te: "Ecco, questa persona ama come Gesù"?
Santa Teresa di Calcutta diceva: "Non tutti possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore". Anche tu, oggi, puoi iniziare così. Con una parola gentile detta a chi ti è antipatico. Con un messaggio mandato a chi si sente solo. Con una scelta che mette l'altro al centro in una cosa piccola, ma concreta. Non aspettare condizioni perfette per amare, non aspettare che gli altri inizino per primi. Inizia tu. Oggi.
6 MAY. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8158
OMELIA IV DOM. DI PASQUA - ANNO C (Gv 10, 27-30) di Don Stefano Bimbi
Gesù è il Buon Pastore, un'immagine che parla direttamente al cuore, anche a noi oggi, che spesso ci sentiamo smarriti in un mondo caotico, pieno di voci contrastanti e incertezze. Questo passo ci invita a riflettere sulla relazione profonda che possiamo avere con Gesù, sul suo amore che ci protegge e ci guida, e sulla nostra identità di figli di Dio.
"LE MIE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE E IO LE CONOSCO ED ESSE MI SEGUONO"
Gesù descrive un rapporto di fiducia e intimità: le sue pecore riconoscono la sua voce e lo seguono. In un mondo pieno di distrazioni - tv, social media, notifiche continue sul cellulare, pressioni sociali - ascoltare la voce di Gesù può sembrare difficile. La sua voce non è rumorosa, non è un post virale o un trend, ma è quella voce dolce e costante che parla al nostro cuore, magari in un momento di silenzio, in preghiera, o attraverso la Parola di Dio. Gesù ci conosce profondamente, più di quanto noi conosciamo noi stessi: conosce i nostri sogni, le nostre paure, le nostre insicurezze. E ci invita a seguirlo, non come un obbligo, ma come un atto di amore e fiducia.
Pensiamo alla fiducia in Dio che i santi hanno dimostrato. San Francesco d'Assisi era un giovane pieno di sogni e ambizioni mondane. Ma un giorno, mentre pregava nella chiesetta di San Damiano, sentì la voce di Gesù che gli diceva: "Francesco, va' e ripara la mia casa". Quella voce cambiò la sua vita: lasciò tutto per seguire Cristo, trovando una gioia che non aveva mai conosciuto prima. Anche tu puoi imparare ad ascoltare quella voce interiore che ti chiama a qualcosa di più grande. Quali "voci" ascolti di più nella tua vita quotidiana? Sono voci che ti avvicinano a Gesù o che ti allontanano da Lui? Come puoi creare spazio per la preghiera nella tua routine quotidiana? Riesci a sentire che Gesù ti conosce come il pastore che conosce ogni singola pecora? C'è qualcosa di te che vorresti affidargli oggi?
"IO DO LORO LA VITA ETERNA E NON ANDRANNO PERDUTE IN ETERNO"
Gesù fa una promessa straordinaria: la vita eterna. Ma non si tratta solo di una vita dopo la morte; la vita eterna inizia già ora, quando viviamo in comunione con Lui. Con la Grazia che ci arriva principalmente dai sacramenti partecipiamo già da ora alla vita soprannaturale. Per noi così concentrati sul presente - la famiglia, il lavoro, le relazioni - questa promessa ci ricorda che c'è un orizzonte più grande. Gesù ci dice che non siamo fatti per perderci, per rimanere intrappolati nei nostri peccati o nelle difficoltà e fatiche della vita. Anche quando sbagliamo, anche quando ci sentiamo lontani da Dio, Lui ci cerca, come un pastore che va a recuperare la pecora smarrita (che siamo noi). La vita eterna è una vita piena, una vita che ha senso perché è vissuta con Lui.
Santa Teresa di Lisieux, la "piccola Teresa", è un esempio potente. Anche se era giovane e fragile, spesso si sentiva inadeguata e piena di limiti. Ma si affidò completamente a Gesù, scegliendo la "piccola via" dell'amore e della fiducia totale a Dio. Disse: "Tutto è grazia". Nonostante le sue insicurezze, trovò la vera vita in Cristo, una vita che continua ad affascinare milioni di persone. Anche tu, con la tua fragilità, puoi trovare questa pienezza. Cosa significa per te "vita eterna"? Ti capita di cercare la felicità in cose che non durano (successo, approvazione, piaceri momentanei)? Chiediti quali passi concreti puoi fare per vivere una vita più piena, in comunione con Cristo, già da oggi.
"NESSUNO LE STRAPPERÀ DALLA MIA MANO"
Le parole di Gesù sono un balsamo per l'anima. Viviamo in un mondo in cui ci sentiamo spesso vulnerabili: le insicurezze sul futuro, le pressioni sociali, le tentazioni del demonio, le difficoltà relazionali. Ma Gesù ci rassicura: siamo nelle sue mani e nessuno può strapparci da lì. Questo non significa che non affronteremo sfide, ma che non saremo mai soli. La sua protezione è più forte di qualsiasi cosa: più forte delle nostre paure, più forte del male, più forte di tutto ciò che cerca di allontanarci da Lui.
San Giovanni Bosco, che dedicò la sua vita ai giovani, è un esempio di questa fiducia. Don Bosco affrontò tantissime difficoltà: povertà, critiche, ostacoli nel suo lavoro con i ragazzi di strada. Ma non si perse mai d'animo, perché si sentiva guidato e protetto da Dio. Spesso diceva ai suoi ragazzi: "Affidatevi a Maria Ausiliatrice e a Gesù e non sarete mai soli". Anche noi possiamo trovare forza in questa promessa di Gesù.
Quali sono le cose che ti fanno sentire vulnerabile o insicuro nella tua vita? Ti capita di dubitare della protezione di Dio? Puoi rafforzare la fiducia in Lui migliorando la tua preghiera quotidiana. Chiediti se c'è una situazione concreta in cui puoi chiedere a Gesù di tenerti nella sua mano e guidarti.
"IL PADRE MIO, CHE ME LE HA DATE, È PIÙ GRANDE DI TUTTI E NESSUNO PUÒ STRAPPARLE DALLA MANO DEL PADRE"
Gesù ci ricorda che la nostra appartenenza a Lui non è casuale: è il Padre che ci ha affidati a Lui. Questo ci fa capire che c'è un progetto su ciascuno di noi e quanto siamo preziosi agli occhi di Dio. Non siamo qui per caso: siamo voluti, amati, scelti. E il Padre, che è "più grande di tutti", veglia su di noi. Per chi è incerto su quale sia il suo posto nel mondo, questa affermazione è un'ancora: siamo figli di un Padre che ci ama infinitamente, e questo dà senso alla nostra vita.
Santa Chiara d'Assisi, che seguì San Francesco nella sua vocazione, ebbe la necessaria fiducia in Gesù. Chiara lasciò una vita di agi per seguire Cristo in povertà, affidandosi completamente alla provvidenza di Dio. Quando il convento delle sue suore fu minacciato dall'arrivo dei saraceni, Santa Chiara uscì con l'eucaristia confidando nell'aiuto del suo buon Gesù. Alla sua vista i musulmani scapparono lasciando in pace Chiara con le sue sorelle. Affidarsi a Gesù cambia il modo di affrontare le difficoltà. La Fede dona la certezza che il nostro Padre Celeste è onnipotente e sa Lui quando intervenire nella nostra vita e quando invece permettere il male per trarne un bene superiore. E tu ringrazi il Padre per l'amore e la protezione con cui ti ha guidato finora?
"IO E IL PADRE SIAMO UNA COSA SOLA"
Gesù rivela la sua unità con il Padre, un'unità che è il cuore della Trinità. Questo ci dice qualcosa di profondo sull'amore: Dio non è un'entità lontana, ma una comunione d'amore in cui siamo invitati a entrare. Per noi che cerchiamo relazioni autentiche e profonde, questa unità è un modello: l'amore vero non divide, ma unisce. E Gesù ci invita a vivere in questa comunione, non solo con Lui, ma anche con gli altri, costruendo relazioni basate sull'amore e sulla fede in Lui.
San Giovanni Paolo II anche nei momenti più difficili - come l'attentato del 1981 - ha sempre testimoniato un'unione profonda con Dio, che si rifletteva nel suo amore per il gregge che Gesù gli ha affidato quando è diventato Papa. Poco dopo l'elezione a Sommo Pontefice disse: "Non abbiate paura! Spalancate le porte a Cristo!". Anche tu sei chiamato a vivere questa comunione, senza paura. Come puoi "spalancare le porte" a Cristo nella tua vita? Quali porte hai ancora chiuse?
In conclusione, il vangelo di questa domenica ci parla di un amore che non ci lascia mai: il Padre e il Figlio ci tengono stretti nelle loro mani. È un invito a fidarci, a seguire la voce di Gesù anche quando il mondo ci confonde, a vivere con la certezza che siamo amati e protetti dal Padre celeste. Prendiamoci un momento per pregare e affidarci a Lui, chiedendogli di aiutarci a riconoscerlo come nostro Pastore e a seguirlo con tutto il cuore.
29 ABR. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8146
OMELIA III DOMENICA PASQUA - ANNO C (Gv 21, 1-19) di Don Stefano Bimbi
I discepoli sono in un momento di attesa, di incertezza. Hanno visto il Risorto, ma non sanno ancora bene cosa fare. Pietro torna a pescare, a ciò che conosce, alla sua vecchia vita. Gesù si manifesta al mattino, nella luce nuova. Non è riconosciuto subito: è discreto, quasi nascosto. Ma quando i discepoli obbediscono alla sua Parola, succede qualcosa di inaspettato: la rete si riempie. È in quel segno che Giovanni esclama: "È il Signore!".
È una scena che parla anche a te, che magari stai attraversando una fase di confusione, di passaggio: un nuovo lavoro, il fallimento di alcune relazioni, dubbi di fede. A volte, quando non capiamo cosa sta succedendo, torniamo a ciò che ci è familiare. Ma in questa notte, la pesca è un fallimento. Non basta tornare alle "vecchie reti" se manca il senso. Ma c'è una speranza. Anche tu, nella tua vita quotidiana, puoi non accorgerti subito della presenza di Gesù. Ma a volte basta un gesto semplice, un ascolto sincero, una parola inattesa... e Lui si rivela. In quali momenti della tua vita hai percepito che "era il Signore"? Riesci a riconoscerlo anche oggi? E se Gesù ti chiamasse adesso, sulla riva della tua vita, lo riconosceresti? E cosa faresti: resteresti in barca o ti getteresti in acqua come Pietro per corrergli incontro?
PORTATE UN PO' DEL PESCE CHE AVETE PRESO ORA
Gesù ha già il fuoco acceso e il pasto pronto. Ma chiede ai discepoli di portare anche il loro pesce. Non perché ne abbia bisogno, ma perché vuole che facciano la loro parte. È così anche con te. Dio non ti scavalca. Ti chiede collaborazione, ti dà responsabilità. Il miracolo è suo, ma le reti le ha usate con te. Cosa puoi portare tu oggi al fuoco di Gesù? Cosa hai da offrirgli della tua vita ordinaria?
Gesù non chiede a Pietro "Sei pronto?", "Sei capace?", "Hai rimediato ai tuoi errori?". No. Gli chiede: "Mi ami?". Tre volte. È un dialogo profondo, che passa anche attraverso la ferita del triplice rinnegamento. Pietro risponde con sincerità: "Tu lo sai che ti voglio bene". L'amore è ciò che fonda ogni vocazione, ogni missione. Anche nella tua vita, Gesù ti chiede prima di tutto questo: "Mi ami?". Non chiede perfezione, chiede fiducia in Lui. Se oggi Gesù ti guardasse negli occhi e ti chiedesse "Mi ami?", cosa gli risponderesti?
Gesù conclude il dialogo con Pietro con una parola decisiva: "Seguimi". Non gli promette un cammino facile. Gli preannuncia una vita donata fino alla fine. Ma Pietro ora è pronto. Non perché è diventato perfetto, ma perché ha capito che amare Gesù significa seguirlo, anche nei momenti in cui "un altro ti porterà dove non vuoi".
Questo Vangelo è un invito personale, oggi, a ritrovare Gesù nella tua quotidianità, a lasciarti coinvolgere da Lui, a rispondere con amore e coraggio. Anche tu, come Pietro, puoi dire: "Tu lo sai che ti voglio bene". E poi alzarti e seguirlo. Cosa significa per te oggi "seguire Gesù"? Cosa sei disposto a lasciare? Dove ti sta chiamando?
DOMINE, QUO VADIS?
Dopo quel giorno sul lago di Tiberìade, Pietro non è più lo stesso. Quel "Mi ami?" ripetuto tre volte gli brucia dentro, ma lo rende anche libero. Libero di non appoggiarsi più sulla sua forza, ma sull'amore ricevuto da Dio. Libero di iniziare davvero a "pascolare" il gregge del Signore: guidare la Chiesa e confermare nella fede i discepoli di Cristo.
Dopo la Pentecoste, troviamo Pietro a Gerusalemme a predicare e convertire i fratelli ebrei, sempre pronto a testimoniare Cristo, anche se viene arrestato per questo. Infine, arriva a Roma, la capitale dell'impero, il centro del potere del mondo di allora. Ma Roma è ostile, i cristiani sono pochi, spesso maltrattati.
Durante una persecuzione particolarmente feroce sotto l'imperatore Nerone, Pietro decide di lasciare Roma. Camminando lungo la via Appia, diretto fuori città, gli appare Gesù che cammina nella direzione opposta portando una pesante croce. Pietro, sconvolto, gli chiede: "Domine, quo vadis?" ("Signore, dove vai?"). E Gesù risponde: "Vado a Roma a farmi crocifiggere di nuovo". Pietro capisce. Ha sbagliato ancora una volta, ma è l'ultima. Non deve più fuggire. Torna a Roma a compiere fino in fondo la volontà del suo Maestro e Signore.
E a Roma viene imprigionato nel carcere Mamertino, vicino al Foro Romano. Una cella buia, umida, isolata. Pietro non si scoraggia, anzi per lui la fine non è un fallimento, ma compimento. Sa che la sua morte è volontà di Dio. Quando arriva il momento dell'esecuzione, Pietro fa una richiesta che rivela tutta la sua umiltà: non si ritiene degno di morire allo stesso modo del suo Maestro. Per questo chiede di essere crocifisso a testa in giù. E così avviene: sul colle Vaticano, Pietro viene inchiodato a una croce rovesciata come si vede nel famoso dipinto del Caravaggio. È l'anno 64 d.C. In quel luogo l'imperatore Costantino, convertito al cristianesimo, farà costruire la Basilica di San Pietro, a custodire la memoria del pescatore diventato pastore. Sarà Papa Pio XII ad ordinare nel 1940 gli scavi sotto l'altare della basilica vaticana dove vengono ritrovate una decina d'anni più tardi sia la tomba che le ossa appartenute a Pietro, come dimostrò l'archeologa ed epigrafista Margherita Guarducci. Il 26 giugno 1968, durante un'udienza generale, Papa Paolo VI annunciò ufficialmente che "le ossa ritrovate appartengono all'Apostolo Pietro".
Sei mai stato a visitare la necropoli sotto San Pietro? Basta prenotare per tempo la visita guidata che si conclude con la venerazione della tomba del capo degli apostoli, primo vescovo di Roma e primo Papa.
La vita di Pietro è un viaggio che parte dal mare di Galilea dove era pescatore di pesci e finisce sulla croce dopo essere stato "pescatore di uomini", come predetto da Gesù, ma la sua morte non è stata una sconfitta. Anzi, è stata una vita spesa per amore di Gesù. Un amore imperfetto, umano, che però ha imparato a fidarsi di Dio fino alla fine.
Da allora, fino alla fine dei tempi, il vescovo di Roma è il successore di Pietro e quindi il Papa regnante che garantisce l'unità della Chiesa Cattolica, l'unica autentica Chiesa di Cristo.
23 ABR. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8145
OMELIA II DOM. DI PASQUA - ANNO C (Gv 20,19-31) di Don Stefano Bimbi
Oggi il Vangelo ci mette davanti a un'immagine potente: le porte chiuse. I discepoli sono chiusi in casa. Non per comodità, ma per paura. Paura dei Giudei di fare la fine di Gesù, paura forse anche di sé stessi, per essere scappati via ed aver abbandonato il Figlio di Dio. Potrebbe essere che anche noi ci sentiamo così. Chiusi in qualche stanza interiore. Bloccati da dubbi, da delusioni, da una fede che a volte non sentiamo più. Oppure feriti, scoraggiati, arrabbiati con Dio, o semplicemente stanchi. Ed è lì, esattamente lì, che Gesù entra. Non bussa. Non rimprovera. Non dice: "Ehi, dove eravate quando ero sulla croce?". Entra. Si mette in mezzo. E dice: "Pace a voi". È la prima parola del Risorto. Non un'accusa, ma un dono. Non un "vi siete comportati male", ma un "sono qui per voi".
Iniziamo a farci delle domande profonde. Dove nella mia vita sto tenendo le porte chiuse a Gesù? Ho il coraggio di lasciarlo entrare nella mia paura, nella mia confusione?
Gesù nel Cenacolo fa un gesto strano ma essenziale: mostra le mani e il fianco. Non nasconde le ferite. Le ferite sono testimonianza della Passione e trofei della Resurrezione. Sono la prova che l'amore è sempre unito al dolore. Se vogliamo amare realmente dobbiamo essere pronti a soffrire per la persona amata. Lo sa bene una mamma che va a partorire. Lo sa ogni padre di famiglia che si sacrifica ogni giorno per dare sicurezza e benessere ai suoi cari.
IL PERDONO DEI PECCATI ATTRAVERSO LA CONFESSIONE
Cristo poi invia gli apostoli: "Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". Non dice: "Aspettate quando sarete più preparati e vi sentirete pronti". Li manda così come sono, ma pieni di Spirito Santo. La forza viene da Dio, non dalle capacità dei singoli apostoli. Tra l'altro la parola "apostolo" in greco significa "inviato". Per cosa Gesù invia gli apostoli nel mondo? Per portare la sua Parola e i sacramenti, segni efficaci della Grazia di Dio. Dice Gesù ai dodici: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". Gesù dona lo Spirito Santo per rimettere i peccati. Da notare che il Signore stabilisce che il perdono dei peccati deve passare dalla Chiesa che, non a caso, è apostolica. E non dice: "A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, ci penserò io direttamente". Ma dice: "A coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". L'insegnamento è chiaro. Chi vuole essere perdonato non può dire: "Non mi fido della Chiesa e poi i sacerdoti sono più peccatori di me, quindi io mi confesso direttamente da Gesù". Assolutamente no. No Chiesa? No confessione al sacerdote? Niente perdono dei peccati. Il Vangelo non poteva essere più chiaro di così!
TOMMASO APOSTOLO
Poi arriva Tommaso. Lui non era lì con gli altri la prima volta che è apparso Gesù risorto. Non ci sta a credere solo per sentito dire. Vuole toccare. Vuole vedere. E Gesù non si scandalizza. Anzi, otto giorni dopo torna, entra ancora a porte chiuse, e dice la stessa cosa: "Pace a voi". Poi si rivolge proprio a lui: "Metti qui il tuo dito... e non essere incredulo, ma credente". Gesù non ha paura del nostro dubbio. Lo incontra.
Ciascuno di noi deve chiedersi se sta davvero cercando Dio, se approfondisce i temi della fede o è fermo a quello che ha imparato da piccolo. Avere un padre spirituale e fare un cammino di fede è essenziale per fare passi avanti. Altrimenti nella vita spirituale, se non si va avanti, si va indietro.
Tommaso tocca, vede, e non dice: "Ah, ok, ora ho la prova, avevano ragione gli altri ora gli chiedo scusa". No, dice: "Mio Signore e mio Dio!". È un grido d'amore. È il momento in cui la Fede diventa un rapporto personale. Non più solo teoria. È relazione con Gesù.
Dobbiamo chiederci se anche noi diciamo con Tommaso e nella verità: "Mio Signore e mio Dio". Oppure la nostra Fede è ancora solo una cosa esterna, fatta di abitudini?
Il Vangelo di questa domenica in Albis ci chiama a fare pace con la nostra paura, a credere anche con le ferite addosso, a non avere vergogna dei nostri dubbi, ma soprattutto a fidarci di un Dio che continua a entrare, anche quando le porte sono chiuse.
Beati noi - dice Gesù - se crediamo anche senza vedere. Beati noi se lo lasciamo entrare, ogni volta, anche nella penombra della vita di ogni giorno.
SANT'IGNAZIO DI LOYOLA
Concludiamo con una storia vera, di un uomo che non cercava affatto Dio, ma che lo ha incontrato proprio quando le speranze erano finite e tutto sembrava crollare.
Il suo nome è Ignazio di Loyola. Da giovane non aveva nessuna intenzione di diventare santo. Era un nobile, un cavaliere. Gli interessavano la gloria, la fama, le armi e le donne. Voleva spaccare il mondo, essere ammirato, vincere battaglie. Non c'era spazio per la fede vera. Era cristiano di nome, come tanti oggi, ma il centro della sua vita era lui stesso. Poi, in una battaglia a Pamplona, fu gravemente ferito da una cannonata. Tutto crollò in un attimo. Costretto a letto per mesi, solo, immobile, con il futuro distrutto. Le sue "porte" erano chiuse: quelle dei sogni, della carriera, delle certezze. Ma lì, in quella stanza ferma, buia, noiosa, Ignazio cominciò a leggere. Cercava romanzi cavallereschi, ma trovò solo una Vita di Cristo e un libro sui Santi. All'inizio li leggeva per passare il tempo, poi… qualcosa cominciò a toccarlo.
Ogni volta che immaginava le imprese dei cavalieri, si esaltava… ma poi gli restava dentro un vuoto. Ogni volta che pensava a vivere come San Francesco o come Sant'Agostino, invece, sentiva una pace nuova, più profonda. Fu il primo segnale.
Non una visione, non un miracolo, ma un cambiamento dentro. Era Gesù che entrava, come nel Cenacolo, a porte chiuse. E da lì iniziò un cammino lungo, difficile, fatto anche di cadute, dubbi, lotte interiori. Ma quello che Ignazio cercava nel mondo, finalmente lo trovò in Cristo: la vera grandezza, la vera libertà, la vera gioia.
E cosa disse alla fine della sua vita? "Prendete, Signore, e accettate tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà… a voi, Signore, restituisco tutto."
Un uomo che voleva comandare su tutto, alla fine si consegna a Dio con tutto sé stesso. Questo è il potere dell'incontro. Questo è ciò che accade quando Cristo entra nonostante le porte chiuse.
Anche noi, come Ignazio, abbiamo i nostri sogni, i nostri castelli, i nostri dubbi. Ma forse proprio lì, dove tutto sembra fermarsi, Cristo ci aspetta per cominciare qualcosa di nuovo. Oggi, se avremo il coraggio di dire come Tommaso: "Mio Signore e mio Dio", se ci fidiamo di quel "Pace a voi", anche noi possiamo cambiare rotta, ricominciare da dentro.
Non è mai troppo tardi per incontrare Cristo. Lui entra anche se noi non lo stiamo cercando. Anzi, spesso entra proprio allora. Basta che noi lo riconosciamo come nostro unico salvatore!
15 ABR. 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8130
OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO C di Giacomo Biffi
1) VEGLIA PASQUALE
Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro
Da questa lunga e suggestiva celebrazione - con l'efficacia propria del mistero liturgico, che sa farci oltrepassare gli spazi e la successione dei tempi - siamo stati portati al cuore dell'universo e al cuore della storia del mondo.
Il cuore della storia del mondo è la Pasqua di Cristo: è il trasferimento di Gesù di Nazaret attraverso la morte e la risurrezione, dall'oscurità dello stato terrestre allo splendore della gloria del Padre. Egli - come nuovo Mosè posto a capo del popolo di Dio, che siamo noi - per primo ha operato questo passaggio di liberazione, perché noi tutti potessimo lasciare i pensieri di disperazione e di morte, che sono propri della condizione umana, per arrivare alla certa speranza della vita vera e senza fine.
Il cuore dell'universo è lui, il Crocifisso risorto nel quale tutte le cose cono state pensate: solo se guardate in lui, se illuminate dal suo Vangelo, se orientate al servizio della sua opera di amore e di salvezza, le realtà dimostrano di possedere un pregio che non si svaluta e un senso che non viene mai meno.
Così è stato stabilito nell'eterno disegno del Creatore; il disegno che in questa veglia siamo andati amorosamente contemplando.
È un disegno che può essere percepito solo dagli occhi resi penetranti dalla fede: i prodigi di Dio restano nascosti a quelli che vogliono tutto ridurre alla misura della loro corta vista e della loro angusta esperienza. La risurrezione di Cristo e la rinnovazione del mondo avvengono nella notte, senza verifiche o testimonianze mondane.
Ma per chi crede e accetta il progetto trascendente del Padre, sta scritto: La notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia.
UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ DISUMANA
Se Cristo crocifisso e risorto è il cuore dell'universo, allora comprendiamo perché l'esistenza, la vita associata, il modo generalizzato di convivere e di operare - che oggi non vuol porsi in sintonia col Signore risorto e vivo, e anzi positivamente lo rifiuta - si dimostri senza senno e senza misericordia.
Siamo diventati tecnicamente bravi, abbiamo i mezzi per le indagini più raffinate e i più spericolati interventi sulla natura, sull'economia, sulla stessa psiche dell'uomo; eppure la società che si va progressivamente configurando appare nelle sue consuetudini e nei suoi ritmi sempre più impietosa, sempre più arida, sempre più disumana: senza cuore, appunto.
Se la Pasqua di Cristo è il cuore della storia, cioè l'evento centrale che solo può dare un senso all'avventura enigmatica dell'umanità sulla terra, allora comprendiamo perché questo continuo mutare nelle varie epoche dello scenario offerto all'immutabile tragedia umana, questo succedersi troppo spesso violento di sistemi politici e di ideologie dominanti, questa serie senza fine di sopraffazioni e di guerre, che è la storia, appaia così irragionevole: proprio perché, considerata per se stessa, fuori da ogni prospettiva pasquale, non ha più un significato né un traguardo al suo divenire.
Ciò che stiamo compiendo e vivendo stanotte non è dunque qualcosa di secondario o di marginale. Celebrare o non celebrare la Pasqua - si capisce, non nominalmente o folcloristicamente, ma nella verità delle cose - non è senza conseguenze di rilievo per la vita dell'uomo e per la storia del mondo.
UN ESSERE STRANO
Chi celebra la Pasqua nella verità ha una visione dell'uomo e della storia, della fatica di esistere e della gioia, delle libertà personali e del rispetto della vita e della dignità altrui, che lo colloca ben lontano dalle idee di chi la Pasqua non celebra e perciò non ha punti di riferimento né criteri per una oggettiva valutazione.
Molte volte colui che celebra la Pasqua nella verità sembrerà all'opinione comune e agli occhi delle potenze mondane come un essere strano, un sognatore o un fanatico, o, come capita curiosamente di ascoltare, un integralista. Ma la ragione è con lui; solo lui sa leggere giustamente le cose e gli accadimenti, solo lui in definitiva può vivere con ragionevolezza, perché soltanto la luce della Pasqua può disperdere le tenebre della nostra assurdità esistenziale.
Anche le prime testimoni di Gesù vivo e Signore - Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo - hanno sperimentato l'incomprensione: le loro parole - ci ha detto il Vangelo - parvero «come un vaneggiamento». Ma avevano ragione loro: il loro annuncio - non lo scetticismo saputo degli altri - ha percorso la terra, rinnovandola e facendovi fiorire la gioia.
Questa è anche la nostra sorte e la nostra missione. Il messaggio, che noi da questo rito vogliamo recare con la nostra fede operosa in ogni angolo della città degli uomini, e l'avvenimento, di cui siamo chiamati a dar garanzia con la nostra vita, potranno anche non essere accettati, potranno perfino essere irrisi. Ma dall'accoglimento di questo messaggio di risurrezione e dal riconoscimento di questo avvenimento rinnovatore dipende la salvezza della ragione in questo nostro tempo dotto e farneticante; dipende anzi la stessa sopravvivenza della famiglia umana, insidiata com'è da una cultura egoista che ha come suo logico approdo la sterilità, lo scetticismo, la morte.
Noi però abbiamo una fiducia che nessuna delusione potrà far mai vacillare, perché ci viene proprio dalla realtà perenne della Pasqua. Il Signore è vivo e «la morte non ha più potere su di lui»; e se il Signore. è vivo, la sua Chiesa non muore; se il Signore è vivo, anche noi siamo vivi per lui; se il Signore è vivo, tutta l'umanità possiede una speranza sempre rinascente di salvezza e di vita.
2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUA
Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino
Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone (Lc 24,34). Questa è la prima espressione della fede pasquale da parte degli apostoli, di quegli uomini, cioè, che poi avrebbero fatto della testimonianza resa al Cristo vincitore della morte il senso e lo scopo di tutta la loro vita.
Percepiamo in queste parole lo stupore per un avvenimento inaudito, la primizia di una immensa speranza, come l'aurora di una luce consolante che solo da pochi istanti aveva rotto le tenebre di uno sconforto che in quegli uomini dopo la scena spaventosa del Golgota pareva definitivo.
Al tempo stesso sentiamo in questa frase una immediatezza, un tono familiare, quasi una freschezza non letteraria che ci garantisce della sua autenticità: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone.
Per la verità da molte ore avevano trovato il sepolcro di Cristo scoperchiato e vuoto; ma il sepolcro vuoto era servito a gettarli nello sconcerto, non era bastato a fondare una certezza troppo bella per essere persuasiva. Sì, fin dalla mattina avevano ascoltato alcune donne che asserivano di aver visto vivo il Nazareno; ma alle donne in queste cose - pensavano quei semplici e concreti pescatori di Galilea - è meglio non prestare troppa attenzione: «Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse» (Lc 24,11).
Ma, in un momento imprecisato di quel giorno fatale, il Maestro, che essi avevano visto morire dissanguato sulla croce, appare anche a Simon Pietro, appare cioè a colui che era stato costituito loro capo; e allora le cose cambiano: Pietro non è un uomo che patisca allucinazioni, lo conoscono bene, a lui si può dare credito. In lui, per così dire, è tutta la Chiesa che accoglie la straordinaria notizia che da allora non ha più finito di risuonare: «Il Signore è risorto».
Il colloquio tra Gesù redivivo e l'apostolo che aveva tradito non ci è riferito da nessun vangelo: è rimasto un segreto racchiuso nel cuore del più diretto interessato. Ma da quell'incontro - che sarà seguito verso sera da quello con tutto il gruppo degli Apostoli radunato - incomincia ufficialmente la proclamazione ecclesiale: «Davvero il Signore è risorto».
I DISCEPOLI DI EMMAUS
Al tramonto di quello stesso giorno però Gesù, dimostrando di essere sovranamente libero nella scelta dei suoi testimoni, si era rivelato a due personaggi del tutto secondari, che compaiono qui per la prima volta e poi non saranno più ricordati nella storia delle origini cristiane. L'episodio ci è raccontato dalla suggestiva pagina di san Luca che abbiamo ascoltato.
Se con l'apparizione a Pietro e agli Undici viene dato il fondamento a tutta la predicazione della Chiesa, con l'apparizione ai due sconosciuti discepoli ci è detto che ogni uomo - pur desolato e dubbioso e senza speranza - alla fine può e deve arrivare alla fede.
In Clèopa e nel suo anonimo compagno ciascuno di noi può riconoscere se stesso, e può riconoscere anche tutta la famiglia umana nei suoi rapporti con Cristo.
I due viaggiatori materialmente non mancano di una mèta: sono diretti a Emmaus. Ma spiritualmente non hanno più una prospettiva: camminano, ma non sanno più verso dove; vivono, ma non capiscono più per che cosa.
Avevano avuto una speranza, per così dire, «politica»: la liberazione della loro terra dall'oppressione straniera.
«Noi speravamo - dicono - che fosse lui a liberare Israele». Adesso tutto ai loro occhi sembrava crollato, e invece tutto stava per cominciare. Pensavano di essere ormai preda dello scetticismo, e non erano mai stati così vicini alla verità.
È un po' la situazione che stiamo tutti vivendo. Dopo aver sperimentato il tramonto sanguinoso dei miti del nazionalismo, della razza, della violenza presentata come il motore della storia (che cinquant'anni fa parevano forti e vincenti), il nostro popolo sta assistendo disorientato al declino della più affascinante e drammatica utopia che sia mai co
Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
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