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Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
Omelie - BastaBugie.it
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2 OCT. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7916
OMELIA XXVII DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 10,2-16) di Giacomo Biffi
Essere cristiani significa essenzialmente riconoscere Gesù come Signore e Maestro, Signore dei nostri cuori e Maestro delle nostre menti. E riconoscere Gesù come Signore e Maestro significa ritenere che il nostro modo di ragionare e di vivere deve conformarsi al suo insegnamento, anche e soprattutto quando il suo insegnamento è in contrasto con le idee, le norme, i comportamenti che nostra società appaiono dominanti. Oggi la parola di Dio ci richiama uno dei punti dove l'opposizione tra il Vangelo e il mondo è più netta, più stridente, più dolorosa: si tratta del diverso modo di concepire l'unione dell'uomo e della donna nel matrimonio. È un argomento che tocca in profondo la nostra umanità, che provoca la nostra sensibilità e suscita la reazione degli animi, che è di estrema rilevanza per tutto il modo di condurre la nostra esistenza. Tanto più siamo chiamati a restare coerenti anche in questo campo con la nostra qualifica di cristiani.
GESÙ RIVENDICA L'INDISSOLUBILITÀ ORIGINARIA DEL MATRIMONIO
La narrazione evangelica ci dice che i farisei vengono un giorno a interrogare Gesù a proposito del divorzio, e lo fanno per metterlo alla prova, cioè per avere un pretesto di accusarlo e un'occasione di renderlo impopolare. È una questione che ai nostri giorni "mette alla prova" anche la Chiesa e i pastori d'ani me, che quotidianamente sono penosamente alle prese con le conseguenze di una legislazione che ha spezzato l'antica tradizione del nostro popolo e si è posta in conflitto con la parola di Cristo. Il pensiero di Gesù era già noto, perché l'aveva espresso nel Discorso della montagna. Proprio per questo l'intervento dei farisei appare provocatorio, chiaramente finalizzato a dimostrare Gesù come non rispettoso della legge mosaica. Mosè aveva regolato questa materia, limitandosi a prescrivere che il marito, quando si stancava della moglie, dovesse mettere per iscritto le ragioni del ripudio. L'interpretazione rabbinica non era concorde sulla validità di queste possibili ragioni, che dovevano essere più o meno gravi, più o meno futili a seconda dei vari dottori della legge. Ma Gesù non si lascia impigliare in questa contesa. La sua risposta è come una spada di luce, che taglia tutte le discussioni. Egli dichiara che la verità va ricercata non nelle sottili argomentazioni dei dotti, ma nel progetto originario di Dio. Secondo questo progetto, l'uomo e la donna che si uniscono nel matrimonio assumono tra loro un vin colo che è più tenace di quello che c'è tra un figlio e i genitori (Lascerà suo padre e sua madre...) e ugualmente insopprimibile. Ciò che avviene, avviene per sempre. Quell'unione è difatti il naturale principio di una realtà che non si distruggerà più: la creatura chiamata all'esistenza dall'amore sponsale è immortale. In essa il padre e la madre restano come saldati tra loro, anche quando essi ritengono di essersi tra loro divisi in virtù di una legislazione compiacente. Qui Gesù appare davvero il Figlio di Dio e il Padrone dell'universo: solo lui poteva introdurre qualcosa di veramente nuovo nella storia ripetitiva dell'egoismo umano. L'indissolubilità del matrimonio era allora per tutti un fatto inaudito: né gli ebrei né i pagani la conoscevano. Ma, dice Gesù, perché tutti si erano allontanati dal disegno del loro Creatore. Anche i suoi fedeli discepoli sono stupiti di questa novità e rientrati a casa lo interrogano ancora sull'argomento. E ancora Gesù ribadisce la sua affermazione, chiarendo in più che, a differenza di quel che allora tutti pensavano, non c'è diversità di condizione tra l'uomo e la donna. Fino a quel momento, l'uomo era, nelle varie legislazioni, un privilegiato: a lui solo, e non alla donna, era consentito di rompere il matrimonio. Il Figlio di Dio proclama per la prima volta l'uguale dignità e l'uguale diritto dei due contraenti.
LA NECESSITÀ DI UNA PREPARAZIONE ADEGUATA AL MATRIMONIO PER I NOSTRI GIOVANI
Questo è ciò che il Signore pensa dell'unione sponsale. Pensare diverso vuol dire mettersi in pericolo di per correre una strada di malessere, di scontentezza, di sventure che spesso si ripercuotono sugli innocenti, cioè sui figli. Ai nostri ragazzi non mancano di solito le proteine, le vitamine, i mezzi di istruzione e di svago. Ma troppo spesso - da parte di chi disattende il comando di Cristo - essi vengono derubati dei loro più importanti diritti: il diritto di crescere in una famiglia stabile, concorde, in pace; il diritto di avere dei genitori che sappiano sacrificarsi per il bene dei figli; il diritto di avere un padre e una madre che si integrino a vicenda nell'opera educativa; il diritto di non essere vezzeggiati e colmati di regali da un padre e da una madre in discordia tra loro e quindi in gara per accaparrarsi con i doni e le concessioni l'affetto del figlio. Certamente il disegno di Dio è impegnativo, la sua proposta è altissima e talvolta sembra esigere troppo dalla nostra debolezza e dalla nostra fragilità. Appunto per questo al matrimonio bisogna che i giovani si preparino bene, con serietà e con determinazione, senza lasciarsi forviare dalla frivolezza e dalla stupidità che troppo spesso caratterizzano i discorsi che si sentono in giro, gli spettacoli che si vedono, gli esempi sciagurati di molti personaggi famosi. Hanno una vita sola da vivere: se non la vogliono sbagliare, devono mettersi in ascolto della parola del Signore, chiedendo a lui nella preghiera tutta la luce e la forza necessarie per vivere secondo il suo disegno.
24 SEP. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7915
OMELIA XXVI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Marco 9,38-43.45.47-48)
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala
di Giacomo Biffi
Il brano evangelico che ci viene oggi proposto non è di quelli che ci presentano un fatto circostanziato o una parabola ben definita. Potrebbe essere detta una pagina "compilatoria", che raccoglie cioè diverse frasi di Gesù, slegate tra loro e verosimilmente da lui pronunciate in momenti e situazioni diversi. Sono parole forti e taglienti, che meritano tutte di essere ben considerate, perché ci aiutano a entrare nella mentalità del Signore e ci richiamano alcune idee importanti per la vita cristiana. In esse Gesù ci appare, come sempre, originale e imprevedibile: più largo e comprensivo di quel che la nostra grettezza di mente si aspetterebbe, più rigido ed esigente di quello che la nostra faciloneria ci indurrebbe a pensare. Tre insegnamenti.
LA CHIESA DI CRISTO NON HA CONFINI GEOGRAFICI
A Giovanni, l'apostolo impetuoso che viene a confessare la sua intolleranza: Abbiamo visto uno che scaccia i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri, Gesù risponde: Non glielo proibite... Chi non è contro di noi, è per noi. È interessante notare che, in un'altra occasione, aveva detto invece: Chi non è con me, è contro di me. Ma, a ben guardare, le due affermazioni non si contraddicono. Quando si tratta del rapporto personale con Cristo e col suo Vangelo - cioè quando si tratta delle intime disposizioni di ciascuno e degli orientamenti esistenziali profondi - la neutralità non è ammessa: o si appartiene a lui, perché ci si è messi decisamente alla ricerca della verità e al servizio della giustizia, o si è contro di lui. Qui bisogna scegliere. Quando si tratta invece dell'atteggiamento esterno e dell'appartenenza formale a un'organizzazione, il Signore tiene conto più della sostanza di un comportamento che non della etichetta e della denominazione. Viene qui disapprovata quell'angustia di spirito che c'è talvolta tra noi, per cui se uno non è del nostro gruppo o della nostra aggregazione, finisce col non essere né apprezzato né cordialmente accolto. Più profondamente Gesù vuole insegnarci che la forza dello Spirito Santo non è coartata da nessun confine, neppure dai confini visibili della Chiesa. Lo Spirito opera dove vuole e per mezzo di chi vuole: c'è gente che lavora efficacemente per il Regno di Dio senza che noi ce ne avvediamo, e forse senza che se ne avvedano loro stessi. Il bene può essere dappertutto e non è monopolizzato da nessuno. I confini veri della Chiesa non sono geografici, ma passano attraverso il segreto dei cuori.
IL VALORE DI OGNI NOSTRO ATTO È NELL'AMORE E NELLA FEDE CHE ESPRIME
La seconda frase di Gesù ci dice che anche il gesto più semplice e apparentemente senza valore diventa preziosissimo se è compiuto con un'alta finalità e come espressione sincera di un giusto amore. Che c'è di più piccolo e insignificante di un bicchier d'acqua? Ma se la cortesia di dare un bicchier d'acqua è compiuta nel mio nome - dice il Signore - diventa meritevole di una grande ricompensa. Se un favore esiguo e senza importanza è reso a voi - continua il Signore - perché siete di Cristo, allora acquista il pregio di un atto d'amore verso il Re dell'universo e il Salvatore degli uomini. Come si vede, non è l'entità di un'opera a determina re la rilevanza in faccia a Dio, ma la fede e l'affetto che con essa si intendono esprimere. Questo principio evangelico ci ricorda anche che un cristiano non può accontentarsi di ricercare ciò che è buono e giusto, come la fraternità, la solidarietà tra gli uomini, la pura filantropia; deve anche preoccuparsi che tutte queste cose in lui nascano da un vero e personale amore per Cristo. Dobbiamo diffidare di noi stessi, se un nostro impegno esterno, sociale, umanitario non è quotidiana mente ispirato e sorretto da una intensa intimità e dall'abitudine a un prolungato colloquio col Signore Gesù, che è il centro e il senso della nostra vita.
RIGORE E FERMEZZA PER NON COMPROMETTERE LA PROPRIA FEDE
Se la tua mano ti scandalizza, tagliala. Questa frase, evidentemente paradossale, non va presa alla lettera; però va presa sul serio. Essa ci dice quanto grande sia il rigore dei principi e la fermezza del comportamento, che Gesù ci richiede. Nel Vangelo di Matteo questa parola aspra e precisa si trova anche nel Discorso della montagna, là dove il Signore dà la sua norma di vita a proposito del matrimonio e della castità. Dobbiamo riconoscere che questa espressione evangelica scende come una sferzata sulle concezioni della morale corrente, tutte improntate al lasciar correre, al "tutto è lecito, basta non recar danno agli altri". Che il mondo - che rifiuta il messaggio di Cristo - arrivi in questo campo alle aberrazioni più grandi e più imprevedibili, non ci meraviglia. L'aveva già notato san Paolo nel primo capitolo della Lettera ai Romani. Ciò che meraviglia - ed è inaccettabile - è che ci siano quelli che nella loro vita vogliono mettere insieme la professione cristiana e la morale permissiva, l'adesione a Cristo e la giustificazione di tutte le trasgressioni. Anche qui siamo chiamati a operare le nostre scelte. Che se pur non riusciamo a vivere in perfetta conformità con gli insegnamenti del Vangelo, almeno dobbiamo stare attenti a non mortificarne gli ideali. Domandiamo come dono al Padre dei cieli, dopo questa riflessione, di riprodurre in noi il più perfetta mente possibile sia lo spirito di comprensione verso tutti, sia la più ferma risposta alle esigenze di novità di vita, indicateci dal Signore.
18 SEP. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7912
OMELIA XXV DOMENICA T. ORD - ANNO B (Mc 9,30-37) di Giacomo Biffi
La pagina evangelica odierna ci propone un altro discorso "impopolare" del Signore Gesù. Come quello di Cafarnao sull'eucaristia, che abbiamo meditato nelle domeniche di agosto, anche il discorso sulla croce, che è presentato qui, non raccoglie molto successo tra gli ascoltatori. La prospettiva della sofferenza viene rifiutata. I discepoli si dimostrano impermeabili all'annuncio della catastrofe umana, alla profezia della condanna e della morte: Essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Avevano cioè timore che il Maestro le confermasse nel loro significato più ovvio, che essi non volevano accettare.
Ma noi proviamo a chiedergli quelle spiegazioni, che i suoi primi discepoli non osavano domandargli. Cerchiamo cioè di capire bene il suo pensiero e la sua proposta. Gesù ha sempre davanti a sé il disegno del Padre: tutta la sua vita è progressiva comprensione e totale obbedienza nei confronti di questo disegno. Egli sa che la strada che gli è stata tracciata passa dal Calvario; sa che la salvezza che egli porta arriva attraverso la sua immolazione; sa che il suo trionfo - divino e invisibile - sarà ottenuto mediante il fallimento umano e l'insuccesso.
È un progetto difficile, duro, ripugnante alle nostre orecchie; ma questo, e solo questo, è il progetto del Padre. La conoscenza di questo disegno è per Gesù il più geloso segreto, è il senso stesso del suo trovarsi tra gli uomini. Perciò niente lo indigna di più, di chi cerca di distorglielo da questa strada, di chi gli propone una vittoria terrestre; di chi, come il demonio nella terza tentazione, gli offre di essere il dominatore clamoroso dei regni della terra. Di chi insomma assegna alla sua missione un significato soltanto mondano, sia pure per il trionfo della libertà e della giustizia.
SIAMO ANCORA PRIGIONIERI DI UNA CONCEZIONE TROPPO TERRENA DELLA VITA
E questo è proprio il caso degli apostoli, i quali, mentre Gesù parla della sua prossima sofferenza e della sua fine, si sentono il partito del futuro e discutono sull'assegnazione dei posti nel governo: Per la via avevano discusso tra loro di chi dovesse essere il più grande. Ma questo è anche il nostro caso; perché anche noi, di fronte a un Dio che pone davanti ai nostri occhi la prospettiva del regno dei cieli, continuiamo, nella nostra vita religiosa, a tenere lo sguardo alla terra e a interessare il Signore solo di tutti i nostri guai di quaggiù. Certo la terra ci è cara, e i suoi problemi sono inevitabilmente i nostri problemi. Ma la speranza in un destino eterno deve essere più forte di ogni altro pensiero.
Tanto più che senza la speranza di un destino eterno, tutto si banalizza, tutto si avvelena, tutto perde di senso. Non mi interesserebbe più niente neppure di questi pochi giorni terrestri che mi sono dati da vivere, se per un solo istante pensassi che essi mi fossero dati solo per raggiungere il buio orrendo del nulla. C'è gente, anche tra quelli che si vogliono riconoscere cristiani, che a sentir parlare del Paradiso sorridono ironicamente. Il pensiero del Paradiso, dicono, distoglie dagli impegni veri, dalle lotte che dobbiamo affrontare: è un pensiero alienante. Ma il problema vero non sta nell'appurare se il pensiero del Paradiso sia utile o no, ma nel vedere se il Paradiso ci sia o non ci sia. Se il Paradiso c'è, è matto - è alienato - l'uomo che non ci pensa mai.
E in ogni caso è sbagliato sorridere: perché, se non c'è, c'è poco da sorridere; se non c'è, tutto diventa inutile e irrilevante. E se c'è, sorridere non basta: bisogna fare salti di gioia, e capovolgere i propri interessi preminenti, le proprie attese, gli orientamenti fondamentali della propria vita. Per esempio, chi cerca la giustizia in questo mondo, senza una prospettiva eterna, sarà sempre deluso: in questo mondo la giustizia non c'è; anzi, chi è veramente giusto, finisce di solito sulla croce: Tendiamo insidie al giusto perché ci è di imbarazzo.
Chi si apre invece alla sapienza che viene dall'alto e che è pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti (come abbiamo ascoltato dall'apostolo Giacomo), capirà un poco anche la difficile strada della croce e saprà aspettare - con desiderio, con fiducia, con tutto il suo essere - il giorno della risurrezione. La parola del Signore Gesù lo trasformerà dal di dentro, gli aprirà il cuore ed egli comprenderà la strada di Dio, anche se è una strada che passa per la rinuncia, per l'accettazione del dolore, per la partecipazione al mistero della croce. E questo in sostanza è l'atto di fede. Un po' di fede vera è ciò che ancora una volta ci sembra più utile domandare.
10 SEP. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7886
OMELIA XXIV DOMENICA T. ORD - ANNO B (Mc 8,27-35) di Giacomo Biffi
L'episodio offertoci in questa pagina del Vangelo di Marco è tra i più ricchi di insegnamento di tutta la vita del Signore. Si colloca in una delle rare occasioni nelle quali Gesù sconfina dalla sua terra e arriva in vista di una città pagana; una città che era stata fondata circa trent'anni prima dal figlio di Erode, Filippo, in onore dell'imperatore Cesare Augusto; e perciò era stata chiamata Cesarea di Filippo.
Era un paese verdeggiante e solcato dalle acque: Gesù vi si rifugia col piccolo gruppo degli apostoli, per un momento di riposo e di riflessione, lontano dalla folla esigente e incalzante dei suoi compatrioti. In questo contesto di raccoglimento e di pace, il Signore invita i discepoli ad affrontare due questioni decisive: il mistero di Cristo e della sua vera identità e il mistero della salvezza del mondo ottenuta attraverso la croce.
Sono due distinte lezioni. Tutte e due ci mostrano Pietro come l'interlocutore privilegiato, lo scolaro più sveglio e più reattivo. Ma è uno scolaro dal rendimento alterno: prima è acuto, e risponde bene; poi è ottuso, e sbaglia l'intervento. Prima docile all'interiore illuminazione di Dio, poi condizionato dalla mentalità mondana; prima lodato e poi rimproverato aspramente dal suo Maestro.
SOLO LA CHIESA PUO' RIVELARCI LA VERA IDENTITA' DI GESU'
La prima questione si riferisce all'identità di Gesù: Chi dice la gente che io sia? Chi sono io, secondo voi? È una domanda che ha un valore perenne, ed è ancora di attualità. Nessun uomo che pensa può sfuggire a questo interrogativo: o presto o tardi vi si deve confrontare. Chi è Gesù? Non andremo certo a cercare la risposta al cinema, sui giornali o alla televisione o in "ciò che dice la gente". Abbiamo visto che la "gente" - cioè la cultura mondana, arbitraria e vuota, scettica e irremovibile nei suoi pregiudizi, inquieta e incapace di cercare sinceramente la verità - non sa dare una risposta concorde; soprattutto non sa dare una risposta vera.
La risposta la cercheremo da Pietro, cioè dalla Chiesa, la quale conosce il suo Signore e il suo Sposo, ed è in grado di rivelarcene il volto. È il volto del più bello dei figli dell'uomo, nel quale riluce ogni valore umano e ogni giustizia; è il volto di colui che è stato mandato da Dio a dirci le cose come stanno, perché tutti potessimo deciderci a orientare bene la nostra vita; è il volto di colui che ha detto: Chi vede me, vede il Padre, e perciò è lo stesso volto del Dio eterno, reso accessibile e leggibile alle creature che vivono nelle nebbie della storia; è il volto del nostro Salvatore, dell'unico che può salvarci davvero.
Ci salva prima di tutto da quel mare di bugie, di falsità, di stupidità, nel quale siamo quotidianamente immersi e dal quale ci libera soltanto la conoscenza delle verità eterne donateci dal Vangelo; poi ci salva dalla nostra condizione di sofferenza e di morte, persuadendoci che ogni dolore ha un senso e un pregio agli occhi di Dio e che la nostra morte sarà vinta per sempre nel destino di risurrezione che ci aspetta; infine ci salva da tutte le tirannie che inceppano e umiliano la nostra esistenza: dalle mille prepotenze di chi ci vuol dominare, dalle mille paure che ci affliggono, dalle mille debolezze interiori che ci spingono a fare ciò che pur sappiamo ingiusto e riprovevole. Egli, poiché è l'unico Signore, ci dà la capacità di non arrenderci mai, ci dà il coraggio di vivere, ci dà la forza di vincere ogni seduzione del male.
Tutto questo è stato intuito e riconosciuto a Cesarea di Filippo da Pietro che dice: Tu sei il Cristo, cioè tu sei l'inviato da Dio e il Salvatore degli uomini.
LA NOSTRA RILUTTANZA AD ACCETTARE LA CROCE COME PARTE INTEGRANTE DEL PROGETTO DIVINO DI SALVEZZA
Ma Gesù è un Salvatore crocifisso. Questa seconda parte dell'insegnamento è la più dura da accettare. Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire. Certo, Cristo è colui che alla fine vince, perché ha con sé la vittoria di Dio; ma la sua è una vittoria che passa attraverso la sconfitta, l'umiliazione, la morte. Certo egli è il Re dell'universo e come tale apparirà alla fine, perché a lui è stato dato ogni potere in cielo e in terra; ma comincia a regnare dall'alto di una croce, coronato sì ma di una corona di spine. Egli è colui che è la vita e a tutti può dare la vita; ma la vita che egli dà germoglia dalla sua morte terribile.
Gesù faceva questo discorso apertamente. Traspare da questa annotazione lameraviglia dell'evangelista, quasi a dire: Aveva il coraggio di annunciare queste cose agli apostoli trasecolati. Si capisce allora la reazione di Pietro: interpreta il sentimento di tutti e si ribella. Prende in disparte Gesù, come farebbe un uomo autorevole e sensato con un giovane che l'ha detta grossa, e si mise a rimproverarlo.
Pietro siamo noi. Ci riconosciamo in quest'apostolo schietto, generoso, che però fa fatica a capire i disegni di Dio. Anche noi facciamo fatica a capire i disegni di Dio, quando includono il dolore, la mortificazione, la fine delle nostre speranze terrene. Anche noi siamo tentati di dar pareri al Signore, e di dirgli che si preoccupi un po' di più di far trionfare la giustizia, che si dia un po' da fare per far risplendere la verità davanti a tutti, che si affretti a confondere i suoi nemici e a rasserenare ed esaltare i suoi amici.
Anche noi, come Pietro, siamo pronti a suggerire al Signore quale sia la strada che deve percorrere; una strada che possibilmente non passi dal Calvario. È curioso notare che l'apostolo è stato talmente spaventato dall'idea della passione, che non sembra essersi accorto che Gesù contestualmente annunciava anche l'ora della resurrezione e della gloria: Il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ...venir ucciso, e dopo tre giorni risuscitare. Sembra non essersi avveduto che la vicenda aveva un lieto fine.
Invece il progetto di Dio va considerato tutto: c'è la croce, ma c'è anche - e definitiva - la gioia; c'è la morte, ma c'è anche la vita eterna; c'è la sconfitta, ma c'è anche la gloria. Il dolore e la prova sono la strada, e una strada che è obbligatorio percorrere; però non sono la mèta o la condizione finale. La mèta è la felicità senza termine, ed è assicurata a tutti coloro che, partecipando alla sorte del figlio di Dio crocifisso, parteciperanno anche alla sorte del Figlio di Dio che regna glorioso.
Come dice san Paolo, noi siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria (Rm 8,17).
3 SEP. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7885
OMELIA XXIII DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 7,31-37) di Giacomo Biffi
La lettura evangelica odierna propone alla nostra considerazione un miracolo di Gesù. I miracoli del Signore, se per coloro che ne sono stati i diretti destinatari sono soprattutto grazie, doni inattesi, opere di benefica potenza, per noi che li meditiamo a distanza sono primariamente insegnamenti, rivelazioni di qualche raggio prezioso di verità, nutrimento ideale dello spirito. Si tratta questa volta della guarigione di un sordomuto. Quale luce si sprigiona da questo episodio, quale è per noi il suo significato profondo?
L'INVITO A RECUPERARE LA SPERANZA IN UN TEMPO DI CRISI
Se teniamo presente anche la prima lettura di questa messa, si direbbe che in primo luogo questo prodigio voglia richiamare un annuncio del profeta Isaia e dichiararlo avverato: Si schiuderanno gli orecchi ai sordi…Griderà di gioia la lingua del muto. Quasi a dire: la salvezza predetta dal profeta antico è arrivata a noi con la missione diGesù di Nazaret. Isaia parlava in un momento di grande sconforto del suo popolo: Israele si sentiva insicuro, vacillante; si percepiva nell'aria l'imminenza di una catastrofe. Noi diremmo: un momento di crisi. Il senso delle sue parole è quello di infondere serenità con la convinzione della presenza del Dio vivo: Coraggio! Non temete: ecco il vostro Dio.
Anche il nostro è innegabilmente un tempo di crisi, anche noi siamo "smarriti di cuore" e abbiamo bisogno di essere confortati. Il nostro mondo sembra traballare. Ogni giorno basta la lettura del giornale a rovesciarci sull'anima impietosamente i segni di una dissoluzione inarrestabile: i prepotenti trionfanti; gli onesti spesso lasciati senza difesa e oppressi; interi popoli, assetati di libertà, soffocati sotto la più stupida e menzognera schiavitù che la storia abbia conosciuto; i difensori della giustizia uccisi; gli assassini impuniti; i princìpi più chiari e più certi della legge morale comunemente derisi; le regole più elementari della convivenza umana continuamente violate; una società che credeva di diventare più fraterna e più felice eliminando dalla coscienza il pensiero del Padre che è nei cieli, che si fa sempre più dura, più crudele, più disumana.
Ebbene, a noi oggi è detto: "Coraggio! Non temete: ecco il vostro Dio". Più che di ogni altra cosa, abbiamo oggi bisogno di speranza. E cioè abbiamo bisogno: prima di tutto di recuperare la certezza del Dio vivo, che è presente in mezzo a noi, ed è più grande, più forte, più duraturo di ogni apparente ed effimera vittoria del male; di recuperare il senso della provvidenza di Dio, che non è un Dio distratto o indifferente, ma ci segue, ci vede, ci ama, "viene a salvarci"; infine di recuperare il senso dei valori eterni, anche quando li vediamo dimenticati o spregiati: la giustizia verso gli altri, la misericordia, l'onestà, la capacità di rinunciare, la capacità di amare veramente. Questi valori sono ancora le cose che contano, e senza di essi nessuna società umana, con tutte le sue tecniche e i suoi progressi, può reggersi e vivere.
L'INVITO A RECUPERARE UN RAPPORTO "A TU PER TU" CON CRISTO
In questo episodio Gesù si presenta a noi come il salvatore dell'uomo, dell'uomo vero e totale. Per guarire il sordomuto, egli lo porta in disparte, lontano dalla folla. Quasi a dirci che l'uomo che vuole essere salvato deve riconquistare il rapporto personale con Cristo, da solo a solo. Deve uscire dalla folla. Che significa: deve spesso ripudiare le idee correnti, che sono così poco cristiane; deve non prendere "gli altri" come regola di vita, ma la legge di Dio; deve non lasciarsi ingolosire dalle mille ricette di felicità che ci vengono offerte a tutti gli angoli delle strade della vita, tutte immancabilmente destinate a lasciarci con la bocca amara.
Questa è la sola via che salva davvero l'uomo: stare da solo a solo con Cristo, con la sua parola esigente e liberante, con la sua croce, con il suo annuncio di speranza e di vita.
L'INVITO A IMITARE GESU' NELLA PREGHIERA E NELLA COMPASSIONE DEL PROSSIMO
Come in altre occasioni simili, Gesù ci lascia intravvedere col suo comportamento un po' del suo mistero e si fa modello per noi. Guardando verso il cielo, emise un sospiro. Egli, che opera i prodigi con l'energia creatrice della sua natura divina, egli che (come Dio all'inizio dell'opera di creazione) ha fatto bene ogni cosa, è anche veramente e pienamente uomo: un uomo che ci salva in virtù della sua appassionata ricerca della volontà del Padre che è nei cieli, al quale va sempre il suo sguardo prima di ogni atto importante, e in virtù della sua capacità di commuoversi di fronte alle sventure umane, che gli strappa un sospiro di compassione. Elevare l'animo nella preghiera, conformarsi alla volontà di Dio e cercare di essere misericordiosi col prossimo: ecco ridotto all'essenziale il programma di una vera e salvifica imitazione di Cristo.
L'INVITO A NON RINCHIUDERSI IN SE STESSI
Gesù dice: Apriti!, e non solo alla bocca e agli orecchi del sordomuto, ma a tutto l'uomo, a tutti gli uomini, a noi. Gesù ti dice: «Non rinchiuderti nelle chiacchiere vane dell'esistenza quotidiana; apriti alla luce della verità eterna. Non rinchiuderti nei tuoi momenti di tristezza e di angoscia; apriti alla speranza che io sono venuto a donarti, e che non ti deluderà alla fine. Non rinchiuderti nei tuoi piccoli calcoli; apriti ai disegni di Dio su di te, quali che essi siano. Non rinchiuderti negli egoismi della tua piccola vita; apriti all'onda sconfinata del mio amore, e fa della carità il principio della tua vita rinnovata».
27 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7884
OMELIA XXII DOM. T.O. - ANNO B (Mc7,1-8.14-15.21-23) di Giacomo Biffi
La pagina evangelica ci presenta una delle tante occasioni di polemica e di scontro con i farisei e i dottori della legge, che si sono verificate durante la missione di Gesù. L'argomento della discussione stavolta è il rispetto delle minuziose prescrizioni legali, che accompagnavano la vita giudaica di allora e spesso la intristivano e la inceppavano. Ancora una volta Gesù condanna quanto di troppo esteriore e quasi meccanico c'è nelle prescrizioni farisaiche e cerca di ridonare al rapporto con Dio l'autenticità e la freschezza dell'origine. [...]
Gesù, per superare la grettezza della mentalità dei suoi interlocutori, in questa pagina enuncia o suppone alcuni princìpi di vita, che hanno un valore eterno, e come tali sono per noi sorgente inesauribile di riflessione.
1) IL PRIMATO DEL MONDO INTERIORE
Il pregio dell'uomo non sta in ciò che è al di fuori di lui, ma in quello che è dentro di lui. Ciò che è fuori di noi - qualunque cosa sia: condizione economica, sociale, politica, culturale ecc. - non determina la nostra sorte. E questo è un pensiero consolante: le circostanze esteriori, per quanto sfavorevoli o addirittura oppressive, né ci possono mai veramente costringere né in definitiva ci possono seriamente mandare in perdizione. Sotto ogni necessità, sotto ogni disagio, sotto ogni prepotenza, noi restiamo liberi e padroni del nostro ultimo destino.
Ciò che c'è dentro di noi invece - i nostri pensieri, i nostri affetti, le nostre decisioni, i nostri orientamenti di fondo - determina il nostro reale valore, e dipende da noi. E questo è un pensiero preoccupante, perché ci dice che il nostro destino sta nelle nostre mani, e possiamo giocarcelo con leggerezza. Noi dunque con le nostre scelte sbagliate possiamo arrivare a perdere noi stessi. Arriviamo così al secondo principio.
2) LA VERA ORIGINE DEL MALE E' IL CUORE DELL'UOMO
L'origine vera del male del mondo non è esteriore all'uomo, ma è il cuore stesso dell'uomo. Questa concezione di Cristo è opposta a quella che domina la mentalità contemporanea in tutte le sue componenti. Per l'uomo di oggi il male è sempre fuori di lui: sta nelle strutture sociali, nelle leggi sbagliate, nel governo che non funziona, nella classe politica, nel potere economico, nel consiglio comunale, nell'assemblea dei condòmini, ecc. Di qui l'illusione, sempre ricorrente, che basti cambiare le strutture esteriori, perché si abbia il benessere, la giustizia, la felicità; di qui la delusione che di solito segue ogni cambiamento.
Non che sia sempre e tutto sbagliato questo giudizio; ma non coglie il nòcciolo del problema. Il nostro male nasce dal nostro interno. Perciò la sola cosa decisiva da fare per combattere il male e per migliorare la condizione nostra e del mondo, è la "conversione", il cambiarci di dentro. Ed è la strada seguìta dai santi, gli unici veri benefattori dell'umanità.
3) LA RELIGIONE E' UN FATTO D'AMORE
Il primato del mondo interiore vale anche e soprattutto per la vita religiosa. La religione non è, come credevano i farisei e come talvolta crediamo anche noi, una serie di formalità, di pratiche, di abitudini. È soprattutto un fatto d'amore: vuol dire voler bene a Dio, che per primo ci ha amati. Essendo un fatto d'amore, segue le leggi dell'amore. Per esempio, l'amore non si accontenta mai del minimo, del puro dovuto, di ciò che è tassativamente prescritto, ma vuole sempre superare se stesso. Un cristiano che ha capito la religione come fatto d'amore non cercherà di venire a messa tardi e di partire in anticipo; al contrario sentirà il desiderio di partecipare a questa grande realtà che è la celebrazione eucaristica anche nei giorni feriali, quando non è obbligato; e vorrà aprire il suo cuore al Signore nella preghiera e nella lode il più spesso che gli sarà consentito dalle sue condizioni concrete d'esistenza. Soprattutto, essendo un fatto d'amore, la religione consisterà essenzialmente nel tentativo sempre imperfetto ma sempre ripetuto di conformare la propria volontà a quella del Padre. E qui nasce il quarto principio.
4) LA SAGGEZZA DELL'UOMO STA NELL'OSSERVARE LA LEGGE DI DIO
L'osservanza dei comandamenti è la fonte e la misura della saggezza e della intelligenza dell'uomo. Oggi comunemente si crede il contrario. Essere furbi, slegati da ogni norma di comportamento, che non sia il proprio tornaconto o il proprio piacere: questo è l'ideale di vita decantato dai nostri spettacoli, dalle nostre canzoni, dai discorsi che si ascoltano un po' a tutti i livelli. Chi non è capace di prevaricare, è considerato un povero di spirito, un pavido, un complessato.
Dio pensa il contrario. Non si può, dice Gesù, "trascurare il comandamento di Dio". Come ci ha insegnato la prima lettura, la saggezza e l'intelligenza dell'uomo sta nell'osservare la legge che il Signore ci ha dato. Chi trascura i dieci comandamenti non è solo un peccatore; è prima di tutto uno che si comporta da sciocco, perché quella è la legge della vita, e chi la vuole violare si rovina con le proprie mani.
5) IL CUORE UMANO E' FONTE DI MALVAGITA'
Ogni uomo per se stesso è sempre cattivo. Gesù sa che noi siamo malvagi, e il nostro cuore è fonte di malvagità: Dal cuore dell'uomo escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizie, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Gesù non si illude sull'uomo; non ritiene che sia una creatura innocente e indifesa rovinata dalla società.
Ritiene piuttosto che la società malvagia sia il risultato della cattiveria di ogni singolo uomo. Come si vede, non ci ha amati perché ci credeva buoni, ma per renderci buoni. Ci ha amati così come siamo, per farci diventare come ci vuole lui. Concludiamo con l'ammonimento di san Giacomo: Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
21 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7883
OMELIA XXI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Gv 6,60-69)
Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna
di Giacomo Biffi
Siamo, per così dire, all'epilogo della lunga discussione tra Cristo e i Giudei, seguita al miracolo della moltiplicazione dei pani, e possiamo fare una specie di bilancio riassuntivo. Il discorso del pane materiale attira a Gesù folle entusiaste. Il discorso sulla fede e sulla eucaristia provoca l'abbandono e l'insuccesso: Molti discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Eppure Gesù rifiuta di proseguire il primo discorso e fa del secondo la pietra di paragone su cui saggiare l'autenticità dell'apertura verso di lui e verso il suo messaggio. Il pericolo di restare solo non gli mette paura; ciò che gli dà più orrore è il malinteso di chi finisce col ridurre l'Evangelo a manifesto di lotta politica, con l'identificare l'annuncio del Regno di Dio a ricerca di giustizia terrestre, col risolvere la "buona notizia" data a tutti per la loro salvezza eterna in una proposta sociale.
Beninteso, Gesù non condanna nessuna di queste mète; anzi, chi è veramente suo discepolo non può esimersi dal perseguirle, secondo le sue concrete possibilità e secondo la natura della sua vocazione personale. Ma l'Evangelo è prima di tutto un guardare in alto, un sospirare sinceramente verso il Regno dei cieli, un pensare per prima cosa al Padre e all'attuazione della sua volontà.
Il crescendo con cui egli si sforza di prendere le distanze da ogni interpretazione puramente terrestre del suo messaggio è perfino implacabile. A chi fatica ad accogliere la sua origine divina, Gesù parla di un mistero più grande, e annuncia l'Eucaristia.
E a chi trova inaccettabile il discorso sull'Eucaristia (questo linguaggio è duro, chi può intenderlo), Gesù propone un discorso ancora più arduo e più alto, quello della sua risurrezione e della sua glorificazione definitiva: Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire dove era prima?
A CHE COSA CREDE VERAMENTE IL CRISTIANO
E in realtà, essere cristiani significa essenzialmente credere, cioè ritenere vero e certo più di ogni altra verità e di ogni altra certezza, che Gesù è oggi vivo e Signore; significa credere che la vicenda umana, così folle e insensata ai nostri occhi, si concluderà ai suoi piedi; significa credere che, oltre ogni apparente desolazione, il Signore Gesù è vicino e ci guida.
Di fronte alla ribellione, al disinteresse, all'abbandono, egli si limita a chiedere ai Dodici rimasti: Volete andarvene anche voi? È una forte lezione per chi crede di poter "trattare" con lui e porre delle condizioni al suo proseguimento nella fede e nella pratica religiosa. È una forte lezione per il cristiano che vive nella paura di perdere l'adesione del mondo moderno e della cultura oggi prevalente.
È una forte lezione per chi, invece di preoccuparsi di credere, si preoccupa di essere credibile e scruta affannosamente le statistiche su quanti vengono a messa e su quanti non vengono più. Volete andarvene anche voi? Gesù, più che preoccuparsi di coloro che lo rifiutano, sembra preoccuparsi che non ci sia qualcuno, tra quelli che lo seguono, che abbia capito male e possa falsare il suo Messaggio.
SENZA GESU', LA VITA E' SOLO TRISTEZZA E DELUSIONE
La risposta di Pietro sia la nostra risposta: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Possiamo essere deboli, possiamo essere infedeli ai nostri impegni e incoerenti coi nostri princìpi; ma Dio nostro Padre ci conceda di sentire sempre questa invincibile nostalgia del Signore Gesù.
Lontani da lui e dalle sue parole, come tutto sembra perdere di colore e di senso! Lontani da lui, ci imbattiamo solo in uomini deludenti e delusi, quale che sia la risonanza del loro nome, quale che sia la loro capacità istrionica di carpire il consenso. Ci sono uomini ricchi, col portafoglio pieno e col cuore vuoto; ci sono uomini dotti, imbottiti di sapere, eppure senza verità e senza luce; ci sono uomini che si credono liberi e senza limiti, ma che non sanno evadere da un'esistenza senza scopo e senza significato; ci sono uomini che sanno gridare il loro malessere, la loro sete di giustizia, il loro desiderio di autenticità, ma non riescono a sfuggire alla loro disperazione.
Anche a noi è consentito di andarcene; anche a noi è fatta la proposta di Giosuè: Scegliete oggi chi volete servire. Ma pensiamoci bene. Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna.
13 AGO. 2024 · VIDEO: Papa Pio XII nel 1950 proclama il dogma dell'Assunta ➜ https://www.youtube.com/watch?v=33NADLqHKkg
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7803
OMELIA SOLENNITA' ASSUNZIONE - ANNO B (Lc 1,39-56) di Benedetto XVI
Nella sua grande opera "La Città di Dio", Sant'Agostino dice una volta che tutta la storia umana, la storia del mondo, è una lotta tra due amori: l'amore di Dio fino alla perdita di se stesso, fino al dono di se stesso, e l'amore di sé fino al disprezzo di Dio, fino all'odio degli altri. Questa stessa interpretazione della storia come lotta tra due amori, tra l'amore e l'egoismo, appare anche nella lettura tratta dall'Apocalisse, che abbiamo sentito ora. Qui, questi due amori appaiono in due grandi figure. Innanzitutto vi è il dragone rosso fortissimo, con una manifestazione impressionante ed inquietante del potere senza grazia, senza amore, dell'egoismo assoluto, del terrore, della violenza.
Nel momento in cui san Giovanni scrisse l'Apocalisse, per lui questo dragone era realizzato nel potere degli imperatori romani anticristiani, da Nerone fino a Domiziano. Questo potere appariva illimitato; il potere militare, politico, propagandistico dell'impero romano era tale che davanti ad esso la fede, la Chiesa appariva come una donna inerme, senza possibilità di sopravvivere, tanto meno di vincere. Chi poteva opporsi a questo potere onnipresente, che sembrava in grado di fare tutto? E tuttavia, sappiamo che alla fine ha vinto la donna inerme, ha vinto non l'egoismo, non l'odio; ha vinto l'amore di Dio e l'impero romano si è aperto alla fede cristiana.
Le parole della Sacra Scrittura trascendono sempre il momento storico. E così, questo dragone indica non soltanto il potere anticristiano dei persecutori della Chiesa di quel tempo, ma le dittature materialistiche anticristiane di tutti i periodi. Vediamo di nuovo realizzato questo potere, questa forza del dragone rosso nelle grandi dittature del secolo scorso: la dittatura del nazismo e la dittatura di Stalin avevano tutto il potere, penetravano ogni angolo, l'ultimo angolo. Appariva impossibile che, a lunga scadenza, la fede potesse sopravvivere davanti a questo dragone così forte, che voleva divorare il Dio fattosi bambino e la donna, la Chiesa. Ma in realtà, anche in questo caso alla fine, l'amore fu più forte dell'odio.
Anche oggi esiste il dragone in modi nuovi, diversi. Esiste nella forma delle ideologie materialiste che ci dicono: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osservare i comandamenti di Dio; è cosa di un tempo passato. Vale soltanto vivere la vita per sé. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto ci è possibile prendere. Vale solo il consumo, l'egoismo, il divertimento. Questa è la vita. Così dobbiamo vivere. E di nuovo, sembra assurdo, impossibile opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la sua forza mediatica, propagandistica. Sembra impossibile oggi ancora pensare a un Dio che ha creato l'uomo e che si è fatto bambino e che sarebbe il vero dominatore del mondo.
Anche adesso questo dragone appare invincibile, ma anche adesso resta vero che Dio è più forte del dragone, che l'amore vince e non l'egoismo. Avendo considerato così le diverse configurazioni storiche del dragone, vediamo ora l'altra immagine: la donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi, circondata da dodici stelle. Anche quest'immagine è multidimensionale. Un primo significato senza dubbio è che è la Madonna, Maria vestita di sole, cioè di Dio, totalmente; Maria che vive in Dio, totalmente, circondata e penetrata dalla luce di Dio. Circondata dalle dodici stelle, cioè dalle dodici tribù d'Israele, da tutto il Popolo di Dio, da tutta la comunione dei santi, e ai piedi la luna, immagine della morte e della mortalità. Maria ha lasciato dietro di sé la morte; è totalmente vestita di vita, è assunta con corpo e anima nella gloria di Dio e così, posta nella gloria, avendo superato la morte, ci dice: Coraggio, alla fine vince l'amore! La mia vita era dire: Sono la serva di Dio, la mia vita era dono di me, per Dio e per il prossimo. E questa vita di servizio arriva ora nella vera vita. Abbiate fiducia, abbiate il coraggio di vivere così anche voi, contro tutte le minacce del dragone.
Questo è il primo significato della donna che Maria è arrivata ad essere. La "donna vestita di sole" è il grande segno della vittoria dell'amore, della vittoria del bene, della vittoria di Dio. Grande segno di consolazione. Ma poi questa donna che soffre, che deve fuggire, che partorisce con un grido di dolore, è anche la Chiesa, la Chiesa pellegrina di tutti i tempi. In tutte le generazioni di nuovo essa deve partorire Cristo, portarlo al mondo con grande dolore in questo modo sofferto. In tutti i tempi perseguitata, vive quasi nel deserto perseguitata dal dragone. Ma in tutti i tempi la Chiesa, il Popolo di Dio vive anche della luce di Dio e viene nutrito - come dice il Vangelo - di Dio, nutrito in se stesso col pane della Santa Eucaristia. E così in tutta la tribolazione, in tutte le diverse situazioni della Chiesa nel corso dei tempi, nelle diverse parti del mondo, soffrendo vince. Ed è la presenza, la garanzia dell'amore di Dio contro tutte le ideologie dell'odio e dell'egoismo.
Vediamo certamente che anche oggi il dragone vuol divorare il Dio fattosi bambino. Non temete per questo Dio apparentemente debole. La lotta è già cosa superata. Anche oggi questo Dio debole è forte: è la vera forza. E così la festa dell'Assunta è l'invito ad avere fiducia in Dio ed è anche invito ad imitare Maria in ciò che Ella stessa ha detto: Sono la serva del Signore, mi metto a disposizione del Signore. Questa è la lezione: andare sulla sua strada; dare la nostra vita e non prendere la vita. E proprio così siamo sul cammino dell'amore che è un perdersi, ma un perdersi che in realtà è l'unico cammino per trovarsi veramente, per trovare la vera vita.
Guardiamo Maria, l'Assunta. Lasciamoci incoraggiare alla fede e alla festa della gioia: Dio vince. La fede apparentemente debole è la vera forza del mondo. L'amore è più forte dell'odio. E diciamo con Elisabetta: Benedetta sei tu fra tutte le donne. Ti preghiamo con tutta la Chiesa: Santa Maria prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.
13 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7878
OMELIA XX DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Gv 6,51-58) di Giacomo Biffi
Il lungo discorso di Gesù a Cafarnao, su cui andiamo in queste domeniche riflettendo, ha la caratteristica di diventare a mano a mano più intenso. Più che di un discorso, anzi, si tratta di un dibattito. È l'urto di due mentalità opposte: i Giudei, che vogliono piegare Gesù a diventare operatore continuo di prodigi che, come quello della moltiplicazione dei pani, appaghino i loro immediati interessi; e Gesù che vuol elevare la loro attenzione e il loro desiderio e cerca di farli entrare nella logica più alta di Dio.
Procuratevi - aveva detto loro - non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Ma questo è da notare: quanto più cresce l'incomprensione degli ascoltatori e la chiusura del loro cuore alle prospettive divine, tanto più il discorso di Gesù si fa incalzante, esigente, fino a diventare, si direbbe, addirittura provocatorio. Ai Giudei, che non riescono a cogliere il valore e il significato della sua origine dal cielo, assillati come sono dai problemi materiali della loro vita terrestre, Gesù non cerca di facilitare le cose, non attenua il suo annuncio, non cala di prezzo, ma propone un argomento ancora più sovrastante e più arduo; e parla per la prima volta del mistero eucaristico: La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
I GIUDEI SI MISERO A DISCUTERE
E allo sconcerto dei Giudei (che appaiono qui come pulcini ghermiti dal falco e portati ad altezze irrespirabili), al loro scandalo: Come può costui darci la sua carne da mangiare?, Gesù non addolcisce le sue dichiarazioni, ma le precisa e le rende più forti: Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Certamente è impossibile arrivare alla fede nell'Eucaristia a chi non crede all'origine divina di Gesù di Nazaret. Tutta la ragione dell'incredulità dei Giudei sta in quel "costui": chi pensa a Gesù di Nazaret come a un uomo qualsiasi, uno che si può chiamare "costui", non può accettare niente del fatto cristiano, della vita cristiana, della speranza cristiana. Gesù lo sa, ma sa anche che non si può mutilare il messaggio per farlo più facilmente accogliere, e propone subito il disegno divino nella sua totalità. Questo è lo stile di Cristo. Contrariamente a quello che talvolta noi possiamo immaginare, Gesù non è affatto una persona accondiscendente e incline al compromesso, quando si tratta della verità. Se si imbatte in uomini che sembrano disinteressati all'annuncio (che è l'unica strada di salvezza), non per questo cambia l'annuncio o lo riduce. Non si affanna a inseguire le ottusità e le svogliatezze del mondo o a rincorrere i capricci dei suoi contemporanei. Egli è il portatore del dono del Padre e la sua preoccupazione è quella di offrirlo integralmente, non di imporlo a ogni costo alla cattiva volontà di chi lo rifiuta. Egli sa già in partenza che molti rifiuteranno il dono; questo lo fa soffrire, ma non lo induce a formulare una proposta meno impegnativa e più conforme alle attese degli uomini. Solo dalle attese di Dio egli fa che la sua vita e la sua missione siano guidate.
VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?
E nessuno pensi che tutto questo sia mancanza di amore. Al contrario, è proprio l'amore che spinge Gesù a non cedere di fronte alle nostre esigenze, alle nostre proposte di adattare la verità di Dio ai gusti umani, ai nostri tentativi di immiserire la grandezza e la bellezza del disegno del Padre. A Cafarnao, per esempio, resistendo con fermezza ai suoi contemporanei che gli chiedono un discorso più facile da accettare da parte degli uomini, Gesù salva per noi e per la nostra vita il segno più alto, più efficace, più commovente del suo amore che rinnova, nutre, rianima, cioè il sacramento dell'Eucaristia.
E su questo dono - incomprensibile e vitale, misterioso e inebriante, come tutti i regali di Dio - noi siamo chiamati oggi a riflettere e a esaminarci. Con quali disposizioni d'animo ci accostiamo al banchetto eucaristico? L'Eucaristia non è solo il segno dell'amore del Padre, è anche il segno della autenticità e della intensità della nostra risposta all'appello divino. Un cristiano che lo ritiene un gesto puramente formale, e perde con facilità la messa, e non partecipa mai alla comunione, o vi partecipa senza reale conversione interiore, non è un cristiano che abbia capito molto dell'insegnamento di Cristo. Un cristiano che vi partecipa svogliato, distratto, magari chiacchierando, magari annoiandosi come capita quando si assiste a uno spettacolo mal riuscito, è un cristiano che ha bisogno di tanta luce e di tanta misericordia.
Come a Cafarnao, anche oggi Gesù non costringe nessuno ad andare a lui: la sua è un'offerta, che lascia intatta la nostra libertà di decisione. Ma nessuno può andare a lui e nutrirsi delle sue parole, se insieme non si nutre - con consapevolezza, con commozione, con fede - della sua carne, data per la vita del mondo: Chi mangia questo pane, vivrà in eterno. Sarebbe però una grave incomprensione dello spirito del Signore, se da questa fermezza di Cristo al servizio della verità e dell'amore ricavassimo un sentimento di apprensione, di paura e quasi di angoscia, nei confronti del banchetto eucaristico.
Gesù conosce quel che c'è nell'uomo. Sa che siamo deboli, peccatori e molte volte privi di saggezza. Ma questo cibo è dato proprio per noi, perché possiamo cambiare e trovare la strada della vita. La Sapienza ci invita con le sorprendenti parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura: Chi è inesperto accorra qui!
A chi è privo di senno essa dice: Venite, mangiate il mio pane.
6 AGO. 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7873
OMELIA XIX DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Gv 6,41-51) di Giacomo Biffi
Prosegue in questa domenica la meditazione sul grande discorso del capitolo sesto di Giovanni, che ci occuperà anche nelle prossime settimane. La pagina evangelica di oggi si apre con una solenne e un po' misteriosa dichiarazione di Gesù: Io sono il pane disceso dal cielo. Quasi a dire: io nutro, io sazio la fame di verità e di giustizia che c'è innegabilmente nell'uomo; se l'esistenza umana può essere per qualche aspetto raffigurata nel deserto, arido e disperante, allucinante e angoscioso che il profeta Elia attraversava per fuggire la collera di un tiranno, io - dice Gesù - sono quel pane che gli ha dato la forza di superare la spossatezza e di arrivare fino all'Oreb, cioè al Sinai, il monte dell'incontro con Dio. Conoscere Gesù è dunque condizione indispensabile per avere una vita spirituale autentica, per non arrendersi alle difficoltà dei giorni penosi, per poter vivere da uomini. Ma conoscere come? Perché non ogni conoscenza di Gesù è salvifica.
LA CONOSCENZA STERILE
C'è una conoscenza infeconda, una conoscenza terrestre, fatta di frasi fatte o di notizie che ingombrano la mente e lasciano vuoto il cuore. È la conoscenza dei Giudei di cui ci parla il brano evangelico: Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Sapevano tutto, erano al corrente di tutti i particolari, ma non conoscevano niente, perché non si sentivano personalmente coinvolti e trasformati da questo conoscere. Così, per esempio, si può essere al corrente di tutti gli avvenimenti e i pettegolezzi ecclesiastici, e non avere nessuna conoscenza vitale e trasformante né di Gesù né della Chiesa, la sua sposa bellissima, antica e sempre giovane, fatta di uomini peccatori come siamo tutti noi, ma in se stessa senza macchia e senza rughe. Così, si possono studiare gli evangeli, e tutte le loro interpretazioni, e tutte le questioni sottili suscitate dall'evento cristiano, ma avere il cuore senza speranza, senza gioia, senza amore. Anche il demonio conosce tutte le Sacre Scritture e tutta la dottrina teologica a questo modo. Si può percorrere con acutezza e competenza tutti i decreti del concilio, ma avere l'animo gonfio di amarezza, di zelo acre e senza benevolenza, e qualche volta perfino di odio. È tutta conoscenza inutile, che può anche diventare dannosa.
LA CONOSCENZA CHE TRASFORMA
Ma c'è anche una conoscenza di Cristo, crocifisso e risorto, che dà la vita e la salvezza. Questa conoscenza sta nel riconoscerlo come l'inviato dal Padre; sta nell'accoglierlo non soltanto come un uomo, sai pure il più grande, il più giusto, il più buono, che viene dalla terra ed è uguale a noi, ma anche come il Pane disceso dal cielo, che è venuto per darci la forza di guardare in alto e non perdere di vista il nostro vero destino, che non è qui ma nella casa del Padre; sta nel credere in lui, cioè nell'accettare con semplicità di cuore la sua iniziativa di salvezza, la sua legge d'amore, il suo messaggio di speranza, senza pretendere di sovrapporre al suo disegno i nostri calcoli, i nostri progetti, i nostri punti di vista: Chi crede ha la vita eterna. Questa conoscenza di Gesù non è inerte ma trasformante: tende a cambiare prima di tutto noi stessi, e poi, attraverso noi, a cambiare il mondo e le sue ingiuste strutture. È una conoscenza che conduce al pentimento, cioè al rammarico per quello che noi siamo e facciamo, e alla misericordia, cioè alla comprensione per quello che sono e che fanno gli altri: Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda… È una conoscenza che è un dono di Dio: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato. Chiediamolo dunque al Padre in questa celebrazione.
Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
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