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Racconti fotografici
ovvero
quando le passioni incontrano la realtà
quando la realtà incontra la fantasia
quando la fantasia si fa mistero
quando il mistero è interiorità
dov'é il confine?
ovvero
quando le passioni incontrano la realtà
quando la realtà incontra la fantasia
quando la fantasia si fa mistero
quando il mistero è interiorità
dov'é il confine?
8 AGO. 2022 · Il marciapiede era più scuro del
Solito, la violenta pioggia durante la notte aveva lavato la
nebbia della polvere dopo alcuni giorni di temperature elevate che sembravano essersi divorate ogni volontà di scrivere e di agire.
Lei camminava con passo veloce e si godeva il paesaggio urbano avvolto da una quantità di grigi difficilmente definibili. C'erano grigi appena accennati e grigi profondi, cupi e,
in mezzo a questi, una gamma innumerevole di altre tonalità argenteo opache che riusciva a distinguere ma non si sforzava di descrivere.
Come ogni mattina, ormai da mesi, le sue foto in formato cartolina partivano dalla sua città verso un'unica, fissa, destinazione.
A riceverle un uomo.
Quando si avvicinava alla cassetta postale, rossa come i bus londinesi, veniva spinta da una energia inaspettata che le faceva
rilasciare la sua fotocartolina in quella piccola finestra basculante
in metallo con la scritta “Per tutte le altre destinazioni”.
Ogni mattina.
In cuor suo pensava che trecentosessantacinque immagini potessero
essere come i fogli di un calendario che, fissati sulla parete di casa rappresentassero quel suo silente anno di dialogo.
Quel giorno era il duecentoventunesimo, duecentoventuno cartoline, giorni fatti di sospiri, racconti, parole, pensieri, scatti fotografici ed azioni.
Quella mattina non sapeva che quel gesto sarebbe stato l'ultimo.
Aveva conosciuto quell’uomo per breve tempo, si
erano frequentati per un po’, dopo di che si erano salutati, lei con la
convinzione che lui fosse la sua ombra fattasi presenza. Una Forma. Un Disegno di realtà. La sfumatura di una illusione.
Quelle spedizioni erano il tentativo di costruire un filo di legame annodato ai due capi.
In realtà non immaginava minimamente
che fine avrebbero fatto quelle sue foto una volta arrivate a
destinazione e non se lo chiedeva. Soprattutto non lo aveva e non lo avrebbe mai chiesto a lui. Era importante ciò che faceva lei con tenacia e determinazione, con coraggio e sfrontatezza. Soprattutto per se stessa. Nutrimento di presenza. La volontà di essere e di assaporare la vita. Un momento per vivere se stessa.
Si faceva forte del pensiero che il principio di tensione del movimento e della spinta della sua scelta e del suo gesto quotidinano,
fosse la manifestazione dei suoi principi relativi alla cura della relazione.
E viveva tutto questo come fosse un gioco o bizzarria infantile fatta di gesti inconsueti che andavano al di là di ogni conformismo: sceglieva con cura le sue immagini, le stampava, le chiudeva in una busta sulla quale ricorreva lo stesso destinatario e lo stesso indirizzo.
Questo grigio mattino, trasparente di verità, lei dovette fare un grande sforzo per arrivare ad imbucare quell’immagine e, dopo averlo fatto, ebbe chiaro il pensiero che in quel momento depotenziava, questo suo gesto fattosi abitudine.
Una donna che ogni giorno spedisce una
sua fotocartolina diventa quasi il simbolo patetico di una illusione,
la visione struggente di una immagine che si fa voce, la dimensione
sentimentale di una paura, la ricerca affannosa del dileguarsi di un
dubbio.
Un assolo iconografico in bianco e nero.
Il presente del disincanto.
E perché no l’incanto del presente!
Chiaro, così come le nubi stavano lasciando spazio all’azzurro mattutino, le apparve il suo sentire: quello che fino ad ieri era stata gioia, oggi era sofferenza.
Ecco l’impedimento della sua mano!! Il dolore del suo braccio!!!
Il duecentoventunesimo giorno del risveglio della principessa addormentata, il passo verso la libertà.
Questo era ciò che le stava apparendo chiaro.
Guardò per un’ultima volta la rossa cassetta postale e poi alzò lo sguardo verso il limpido che si stava aprendo su di lei. La luce del sole cominciò a colorare il mondo intorno facendosi pastello, sorrise di un lungo sorriso e allora cominciò a ringraziare.
Ringraziò se stessa per ciò che aveva fatto per duecentoventuno giorni, ringraziò per ciò che se ne stava andando quel giorno stesso ste ringraziò quel momento di nuova consapevolezza per essere stata, ancora una volta, esperienza di sé.
Il marciapiede era più scuro del solito, la violenta pioggia durante la notte aveva lavato la
nebbia della polvere dopo alcuni giorni di temperature elevate che sembravano essersi divorate ogni volontà di scrivere e di agire.
Lei camminava con passo veloce e si godeva il paesaggio urbano avvolto da una quantità di grigi difficilmente definibili. C'erano grigi appena accennati e grigi profondi, cupi e,
in mezzo a questi, una gamma innumerevole di altre tonalità argenteo opache che riusciva a distinguere ma non si sforzava di descrivere.
Come ogni mattina, ormai da mesi, le sue foto in formato cartolina partivano dalla sua città verso un'unica, fissa, destinazione.
A riceverle un uomo.
Quando si avvicinava alla cassetta postale, rossa come i bus londinesi, veniva spinta da una energia inaspettata che le faceva rilasciare la sua fotocartolina in quella piccola finestra basculante in metallo con la scritta “Per tutte le altre destinazioni”.
Ogni mattina.
In cuor suo pensava che trecentosessantacinque immagini potessero essere come i fogli di un calendario che, fissati sulla parete di casa rappresentassero quel suo silente anno di dialogo.
Quel giorno era il duecentoventunesimo, duecentoventuno cartoline, giorni fatti di sospiri, respiri, racconti, parole, pensieri, scatti fotografici ed azioni.
Quella mattina non sapeva che quel gesto sarebbe stato l’ultimo.
Aveva conosciuto quell’uomo per breve tempo, si erano frequentati per un po’, dopo di che si erano salutati, lei con la convinzione che lui fosse la sua ombra fattasi presenza. Una Forma. Un Disegno di realtà. La sfumatura di una illusione.
Quelle spedizioni erano il tentativo di costruire un filo di legame annodato ai due capi.
In realtà non immaginava minimamente che fine avrebbero fatto quelle sue foto una volta arrivate a destinazione e non se lo chiedeva. Soprattutto non lo aveva e non lo avrebbe mai chiesto a lui. Era importante ciò che faceva lei con tenacia e determinazione, con coraggio e sfrontatezza. Soprattutto per se stessa. Nutrimento di presenza. La volontà di essere e di assaporare la vita. Un momento per vivere se stessa.
Si faceva forte del pensiero che il principio di tensione del movimento e della spinta della sua scelta e del suo gesto quotidiano, fosse la manifestazione dei suoi principi relativi alla cura della relazione.
E viveva tutto questo come fosse un gioco o bizzarria infantile fatta di gesti inconsueti che andavano al di là di ogni conformismo: sceglieva con cura le sue immagini, le stampava, le chiudeva in una busta sulla quale ricorreva lo stesso destinatario e lo stesso indirizzo.
Questo grigio mattino, trasparente di verità, lei dovette fare un grande sforzo per arrivare ad imbucare quell’immagine e, dopo averlo fatto, ebbe chiaro il pensiero che in quel momento depotenziava, questo suo gesto fattosi abitudine.
Una donna che ogni giorno spedisce una sua fotocartolina diventa quasi il simbolo patetico di una illusione, la visione struggente di una immagine che si fa voce, la dimensione
sentimentale di una paura, la ricerca affannosa del dileguarsi di un dubbio.
Un assolo iconografico in bianco e nero.
Il presente del disincanto.
E perché no l’incanto del presente!
Chiaro, così come le nubi stavano lasciando spazio all’azzurro mattutino, le apparve il suo sentire: quello che fino ad ieri era stata gioia, oggi era sofferenza.
Ecco l’impedimento della sua mano!! Il dolore del suo braccio!!!
Il duecentoventunesimo giorno del risveglio della principessa addormentata, il passo verso la libertà.
Questo era ciò che le stava apparendo chiaro.
Guardò per un’ultima volta la rossa cassetta postale e poi alzò lo sguardo verso il limpido che si stava aprendo su di lei. La luce del sole cominciò a colorare il mondo intorno facendosi pastello, sorrise di un lungo sorriso e allora cominciò a ringraziare. Da quel momento comico a produrre pensieri di gratitudine.
Ringraziò se stessa per ciò che aveva fatto per duecentoventuno giorni, ringraziò per ciò che se ne stava andando quel giorno stesso e ringraziò quel momento di nuova consapevolezza per essere stata, ancora una volta, esperienza di sé.
1 FEB. 2022 · Si rifugiava spesso in quella piccola casa in pietra che l’aveva vista bambina e nella quale suo padre aveva trascorso gli ultimi anni di vita. Non era facile raggiungerla a causa di una lunga strada bianca fatta di sassi e avvallamenti, tutta curve e in salita, che la divideva dalla statale.
La caratteristica principale di quel luogo era il silenzio rotto soltanto dalla maestosità della natura fatta di vento e del canto lacerato dei cervi in amore, mentre in alto quasi come in una stasi dinamica trionfavano le poiane con il loro volo.
La sua camera era intima e deliziosa come una bomboniera e sulla parete davanti al letto lei si divertiva a scrivere frasi d’amore, pensieri, citazioni. Il suo diario murale.
In effetti era il suo rifugio quando desiderava stare sola e quando le maree creative la inondavano. Era in quei momenti che chiudeva ogni forma di comunicazione con le persone, anche quelle a lei care, perché solo sola con se stessa poteva dare sfogo al suo estro artistico.
Mentre inseriva la chiave per aprire i pesanti portelloni verdi lei ripensava alla scelta che aveva fatto di trascorrere lì un lungo fine settimana. Erano giorni infatti che rimuginava sulle sue foto, sui bianconeri che riusciva ad ottenere, e quanto essi escludessero la vasta scala dei grigi.
Il suo bianconero infatti era spesso crudo, severo, ricco di contrasti con profondi neri e bianchi che, solo apparentemente bruciati, non offrivano spazio alla varietà delle tonalità cenerine.
In realtà essi erano azzerati da un gioco grafico e da un rigore che non accoglieva tonalità intermedie.
Ah, realtà della fotografia!! Quante volte ci aveva pensato!, ma niente di quello che in quel momento stava vivendo poteva farle credere alla realtà della fotografia quale
verità dell'attimo rubato.
E questo le piaceva e rafforzava sempre
di più il suo pensiero su quanto la fotografia fosse movimento interiore e
spinta interpretativa di una realtà percepita.
Ed ecco che l’immagine fotografica assumeva in
lei la forma di una soggettività che le era cara, così come le era
dolce e gradito concepire la dimensione intima della fotografia
filtrata da sentimenti e sensibilità.
Lavorava fotograficamente spesso su se stessa, il concetto che voleva approfondire e che suscitava il suo interesse prendeva forza nella narrazione fotografica dell'universo femminile nel tentativo di raccontare la Donna attraverso il proprio Essere.
Quella mattina nella sua piccola casa stava cercando il posto giusto per poter fare nuove scoperte di sé e la macchina fotografica le stava vicino rimandandole la sua immagine come uno specchio.
Nei suoi pensieri risuonavano le parole di Frida Kahlo
“Dal momento che i miei soggetti sono sempre stati le mie sensazioni, i miei stati mentali e le reazioni profonde che la vita è andata producendo in me, ho di frequente oggettivato tutto questo in immagini di me stessa, che erano la cosa più sincera e reale che io potessi fare per esprimere ciò che sentivo dentro e fuori di me”.
Ecco quindi il suo svelamento, il prendere in mano la manifestazione della molteplicità di Io che la abitavano e la sorprendevano insieme.
Trovò la giusta posizione nel vano della porta della sua camera proprio davanti alla terrazza dalla quale filtrava una potente luce.
Una posizione quasi vitruviana che la riprendeva all’interno dalle spalle per proiettarla fuori in un controluce aggressivo e deformante.
Un autoscatto che mirava alla ricerca dell’invisibile reale.
Alla ricerca rappresentativa di tutte le donne in lei.
Si, di quell’universo femminile che come lei era stato amato, odiato, vissuto, abbandonato, sorridente, gioioso e sofferente insieme.
Lei in quel momento, attraverso l’immagine scolpita del suo corpo rappresentava la forza delle donne nei loro racconti di vita, nelle trame della loro energia e della loro fragilità, della sensualità presente nelle storie dei loro amori, della felicità e dei dolori nel tentativo di diventare persone più forti e serene, capaci di vivere ogni relazione nella sua pienezza senza rinunciare a sé stesse.
E mentre ancora la macchina fotografica, posizionata su cavalletto e azionata tramite un dispositivo tenuto in mano continuava a scattare lei si domandava se fosse veramente quello l’orizzonte che vedeva in controluce, o se fosse invece uno spazio nascosto, una notte interiore su un cielo insondabile.
Uno scenario affollato di tracce.
Le donne che lei rappresentava, tanto vive da farsi ritmi e avvenimenti interiori, andavano e venivano regalandole la loro offerta e restituendole in cambio una perdita che altro non era se non la possibilità e la ricchezza di ritrovare se stessa.
Il tentativo di ricercare solo la sua presenza sé.
Ecco il motivo del suo scatto in quel momento.
Iniziò a cantare Le note della canzone dell’amore perduto, aria di neve, te lo leggo negli occhi . . . insieme alla voce di Battiato e poi iniziò a ballare davanti alla luce, finalmente consapevole che la sua espressione quotidiana avrebbe potuto parlare a chi avrebbe saputo leggere e ascoltare..
E avrebbe parlato di fiducia, di rispetto, di dialogo, di mistero e di svelamento. Quello suo. Quello di ogni donna.
Ripensò ai suoi cari e, con fare e incedere sicuro, chiuse quella luce dietro la finestra di camera, velocemente girò la chiave in senso antiorario nei portelloni dell’ingresso questa volta per uscire dal suo piccolo rifugio e, sempre cantando, salì in macchina.
Anche la strada bianca era bella in quel momento.
E il suo ritorno a casa per i suoi cari sarebbe stato una sorpresa.
27 ENE. 2022 · Ermione
ovvero in quel nome tutto l’amore
Quella fotografia le capitò per caso tra le mani.
Complice l'afoso pomeriggio di luglio che anticipava la pioggia con l'opprimente peso dell'aria.
Si distese sul pavimento, dopo aver cercato inutilmente di riordinare la babele di fogli e libri accumulati sul suo tavolo da lavoro per un intero inverno e una lunga primavera.
E, in mezzo a tutto, quella fotografia.
Neanche si ricordava come fosse finita in quel fascinoso mucchio di
pagine.
Provò la stessa emozione come quando da bambina, frugando nella
sabbia, trovò un piccolo anello in metallo con una incisione
indecifrabile.
La stessa sorpresa.
Tenne quella foto tra le dita e cercò di soffocare l'emozione ingoiando le lacrime che sopraggiungevano come ondate che salgono dallo stomaco miste a stupore, ricordo e nostalgia.
Dietro una breve dedica scritta con una penna blu “Mia Ermione”.
I colori morbidi la ritraevano nella luce che filtrava dalle foglie di un basso gelso, i capelli biondi le ricadevano sulle spalle, indossava un abito che aveva il sapore del bosco o di un autunno avanzato con sfumature che muovevano dall'arancio rosa alla terra bruciata. Aveva sempre amato gli abiti che la avvolgevano con pieghe soffici e giri cedevoli ad ogni movimento.
In mano, immancabilmente, la sua Nikon.
Lui l'aveva ritratta dal basso verso l'alto dopo averla chiamata, proprio mentre si voltava.
Dopo essersi tuffati nella visita di quel vecchio borgo che aveva accolto le loro risate, le loro parole e quell'amore che difficilmente riuscivano a contenere, ripartirono consapevoli che prima di rientrare a casa si sarebbero amati.
Deviarono in uno stretto sentiero di campagna appena fuori dall'autostrada e lì, come due amanti clandestini, tradussero in gesti, sussurri e sospiri i loro desideri.
Lui la chiamò dopo qualche giorno con quel nome che le sarebbe sempre rimasto nei pensieri e nel cuore.
Le regalò quella fotografia.
Rimase distesa sul pavimento, l’aria era sempre pesante, riuscì a non piangere: si erano amati per lungo tempo come se ogni volta fosse la prima e l'ultima.
Posò quella foto sul suo cuore.
Poi chiuse gli occhi su quel nome.
Ermione.
© Paola Camiciottoli
23 ENE. 2022 · Dipende soltanto dai punti di vista
Ovvero
Niente è come sembra ma tutto è
E' una fotografa?
Lei si voltò infastidita da quella
voce.
Come due laghi sotto il sole di
mezzogiorno quegli occhi la guardavano.
Ma non avevano visto il desiderio che lei aveva
di essere lasciata in pace.
Non la crepa che avevano creato per aver rotto e interrotto
un silenzio.
E non erano riusciti a
cogliere quello spazio che lei si era creata intorno, una bolla
protettiva, inaccessibile ai più, visibile forse per i più
sentimentali, chiara a chi poteva avere una
sensibilità più profonda dell'animo umano.
Certamente fraintesa da chi pensava,
invece, di conoscerlo l'animo umano.
Mentre era lì a guardare la forma che
aveva dato corpo a quella voce con l'indifferenza che giocava allo
slittamento tra realtà e fantasia, tra verità e sogno si accorse di
quanto fosse interessante la bocca di quell’uomo, leggermente celata da un una rada barba che nei fili bianchi del suo contorno rivelava l’età non più giovane dell’uomo.
I riflessi della vetrina come specchi
misteriosi e persistenti, come fasci ondulatori nella frenesia della
città, non riuscivano a nascondere la varietà di macchine
fotografiche, usate e d'epoca, che facevano sfarzo di sé per gli
sguardi e gli appetiti di promessi fotografi che affogavano, nell'immagine agognata, idee e fame di bellezza.
I Piccoli scaffali ospitavano i desideri degli stessi in preda ai deliri allucinatori di scatti unici e mai realizzati.
Lei Si fermava spesso davanti a quella
vetrina e altrettanto spesso entrava in quel negozio anche soltanto per la gioia e la
soddisfazione, se non l'emozione, di tenere in mano, con la cura di
un gioiello, alcune di quelle macchine.
Quelle a soffietto le davano
una strana estasi.
Le sembrava di essere catapultata nella storia e
nel passato, la affascinavano come gli intrecci dei vecchi merletti e
mostrava per esse una devozione quasi sacrale. Il toccarle le dava
poesia. Soprattutto se chiudeva gli occhi, era allora che universi
immaginari attraversavano i suoi pensieri, seducendola.
In quel momento non sapeva ancora che
ne avrebbe acquistata una. Proprio quella mattina. Al ritorno dalla
sua passeggiata estiva.
Proprio quella mattina di luce mitigata da un sole imbiancato che aveva fatto del suo pallore la magica
essenza degli inspiegabili accadimenti della vita.
Quella mattina che allacciava e
scioglieva insieme il profilo riflesso di quell'uomo che continuava a
stare lì, vicino a lei, con lo sguardo che adesso volgeva là dove
era diretto il suo pensiero.
Rimasero a lungo in silenzio davanti
alla vetrina.
Non seppe calcolare esattamente il
tempo, sapeva soltanto che la sua fantasia correva insieme a quella
di lui verso i momenti quieti della tenerezza, nei valzer amorosi
della premura e delle carezze arrendevoli.
Attimi che si dilatavano nella
collezione delle sensazioni immaginate.
I loro corpi, senza confini, si lanciavano attraverso il vetro come
nell'illusione di un viaggio nel tempo. La luce del giorno li faceva ricadere
dentro la vetrina quasi a toccarsi, li rendeva indistinti.
I loro contorni si
sovrapponevano, si intercalavano, si sfumavano l'uno nell'altro,
davano l'immagine fluida di oleosi abbracci.
Fu in quel momento che la stola di seta
che velava le sue spalle scivolò giù sul marciapiede.
Fu il caso o il gesto che la
riportarono alla realtà.
Allora lei Lo guardò nell'azzurro di quei laghi,
poi con lo slancio di una ginnasta rientrò nella sua bolla e, con la
fronte che si imperlava di costrizione e rinuncia, prima di
incamminarsi di nuovo rispose a quella domanda E’ una fotografa? con un tono di voce appena
accennato: Sa, dipende soltanto dai punti di vista.
© Paola Camiciottoli
17 ENE. 2022 · Il lontano non abisso
nel gioco dei diaframmi, il doppio senso del respiro
Era uscita presto quella mattina. Aveva lasciato la sua camera d'albergo dove la luce rosa dell'alba entrava con riservatezza e pudore. Aveva chiesto alla reception una bici per poter andare incontro a quella luce. Nonostante tutto era un giorno speciale: il pensiero fisso andava a suo figlio e a quella giornata che era importante anche per lui.
Un giorno di quelli che hanno la caratteristica o il piacere di chiudere una porta o di aprire alla vita, anche se il cammino sembra essere un abisso.
Portava con sé la sua macchina fotografica, le immagini che sognava forse la stavano aspettando o forse no, aveva smesso di chiederselo in nome di quella leggerezza che cercava di cucirsi addosso.
Il viale al mare era disegnato da tinte pastello e anche le ombre assumevano una certa trasparenza, il loro grigio non era invadente e non aveva contrasti eccessivi. Intorno la vita si muoveva lentamente e solo poche unita' di persone seguivano questo ritmo cauto e rallentato. Ogni tanto incontrava qualche giovane che, isolato nelle proprie cuffie, faceva jogging.
L'aria era fresca e lei la respirava profondamente, e forse quella leggera camicia bianca, che frettolosamente aveva indossato con noncuranza, lasciava che la pelle del suo corpo non opponesse resistenza ne' al vento, ne' al ricordo delle mani che lo avevano accarezzato: come soffi di diverso profumo gli uomini della sua vita sembravano incrociare le sue pedalate uno dopo l'altro. Arrivavano, la incontravano, entravano nei suoi polmoni, se ne andavano. E lei continuava la sua corsa. Non le pesava, in quel momento, portarsi addosso il carico dei sentimenti né l'affanno delle emozioni. Pedalava. Pensava.
La vita era stata generosa con lei.
Improvvisamente si aprì davanti al suo sguardo la visione attesa: il mare non accennava alcun movimento, il sole all'orizzonte si rifletteva in un cono di luce, una linea di sabbia, e davanti ancora acqua quale specchio per il cielo, sulla linea di sabbia le sagome dei cercatori di conchiglie o di anime perse, come lei, nell'ovattato richiamo del mattino.
Cerco' la giusta esposizione, il gioco personale tra diaframmi e tempi e una profondità di campo che era soprattutto profondità di percezioni. Quanto era necessaria per lei? Aveva sempre avuto difficolta' con le immagini troppo nitide in lontananza, e in genere la rassicuravano di più immagini la cui nitidezza si fermava più vicino a lei. Guardare lontano la impressionava, forse non voleva. Troppo per lei, il chiarore del pensiero nella distanza. Una prudenza o una difesa da cui non si era mai liberata, ma con la quale aveva fatto pace. Ma tutto era diverso quella mattina, ciò che era lontano non poteva essere abisso. Chiuse il diaframma, regolò i tempi, l'inquadratura era già davanti ai suoi occhi. Scattò. Clic. Clic. Ancora clic. Ripetè ancora, la pellicola scorreva, un modo come un altro per dilatare i pori degli attimi alla vita.
Si fermò.
Guardò ancora.
Ripose tutto. Salì di nuovo sulla bici. Rientrò nella sua camera d'albergo. Non c'era più la luce che aveva lasciato. Un letto disfatto e le sue cose nell'ordine casuale in cui le aveva abbandonate. Accese una sigaretta, lentamente fumò il sapore dolce e aspro di ogni tiro, lasciò la bianca camicia leggera sulla sedia e rimase, pacatamente stordita, in attesa. Suo figlio non aveva ancora chiamato. Lo farà più tardi. Aprì la doccia e lasciò lungamente che l'acqua scorresse su di lei: fu il suo battesimo per quel nuovo giorno.
©Paola Camiciottoli
RACCONTO FOTOGRAFICO
Racconti fotografici
ovvero
quando le passioni incontrano la realtà
quando la realtà incontra la fantasia
quando la fantasia si fa mistero
quando il mistero è interiorità
dov'é il confine?
ovvero
quando le passioni incontrano la realtà
quando la realtà incontra la fantasia
quando la fantasia si fa mistero
quando il mistero è interiorità
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Información
Autor | Paola Camiciottoli |
Organización | Paola Camiciottoli |
Categorías | Ficción |
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