“L’intenzione di distruggere un gruppo per ragioni etniche, razziali, religiose…”

2 de abr. de 2024 · 1h 1m 1s
“L’intenzione di distruggere un gruppo per ragioni etniche, razziali, religiose…”
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Violazioni di diritti umani internazionalmente riconosciuti
Vi vengono in mente prassi criminali di massacri in via di compimento? Ecco, a quelle cerchiamo di dare un inquadramento morale di giustizia giuridica con questa approfondita spiegazione offertaci da Fabiana Triburgo.
Genocidio o crimine di guerra o atto di aggressione contro la pace? minime differenze per i profani, definizioni imprecise di giornalisti impreparati, vulgata o possibilità reali di ottenere Giustizia dalle Corti di La Hague. Ecco, Fabiana Triburgo, studiosa della Giurisprudenza internazionale e del Diritto dei migranti, sottolinea la confusione diffusa tra le due Corti che hanno sede all’Aja, sui loro compiti e le distinzioni di ambiti e di intenti.
Differenze sostanziali: essenziale per il “crimine di guerra” è la presenza di una guerra conclamata (o l’aggressione di uno stato contro un altro stato riconosciuto), ma già diverso è il crimine soggettivo, che per venire ascritto al crimine di guerra va perpetrato da un individuo in una contestualizzazione precisamente collegata al conflitto e quindi alle indicazioni della linea di comando, perché deve essere sistemico e non ascrivibile alla solita singola “mela marcia”. Ci deve essere per la Convenzione sul genocidio del 1948 l’intenzione di distruggere un gruppo per motivi etnici, razziali, religiosi o politici per poter parlare di genocidio. Direte: “Come la Palestina!”, territorio occupato oltretutto militarmente dal 1967, con i conseguenti obblighi di tutela della popolazione occupata; e il reato di genocidio si può riconoscere compiuto anche in un contesto non di belligeranza, come è Gaza, dove non si contrappongono due eserciti, due stati… sembra palese, ma si frappongono cavilli giuridici e non è facile dimostrare come uno stato disumanizzante l’avversario nell’educazione stessa dei propri giovani e nell'impostazione sul modello Tsahal dell'intera società, come quello governato ora da Netanyahu, sia genocidario. Anche perché uno stato non può commettere reati, essendo persona giuridica.
Alla Corte penale internazionale poi non hanno aderito proprio i paesi che dovrebbero andare alla sbarra in questo scorcio epocale. Riducendo il tutto a un sistema simbolico, non fattuale… ma forse c’è una gabola per aggirare questo, come spiega Fabiana.
Convenzioni e processi, condotta generale ed elemento soggettivo che regge quella condotta sono essenziali… e allora nell’esemplificazione di Fabiana si affastellano esempi: dai Balcani al Ruanda, dal Sudan al Donbass… da Bucha a Gaza.  
Sostanzialmente l’impressione è che i vincitori processano spesso i vinti, gli altri casi si perdono nei cavilli che fanno parte dell’impianto stesso che regge invece la struttura dei tribunali speciali. Un sistema di giudizio permanente ipergarantista pare essere solo simbolico, a meno che si riescano ad accumulare tanti tasselli (risoluzioni, provvedimenti, pressione dell’opinione pubblica…); quando si ha un tribunale ad hoc propagandistico per la politica del vincitore il reato viene perseguito in modo esemplare, come se la sentenza fosse già politicamente scritta.
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Autor OGzero - Orizzonti geopolitici
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