13 MAR. 2023 · Questa reforme des retraites sarà rubricata a futura memoria come una rottura epocale, incarnata dal più vacuo manichino presidenziale del dopoguerra francese; falsamente urgente e imposta a forza travalica le vere urgenze, perché serve per produrre quella rottura di cui il potere ha bisogno per incidere poi sulla società e imporre un modello diverso da quello solidale. Il timore di "finire come gli italiani": è sufficiente questo spauracchio a portare in piazza milioni di francesi, determinati e fieri della loro tradizione di contrapporsi all'ingiustizia e all'arroganza di un potere che si crede onnipotente.
Però è proprio lo spirito che è diverso, e pervade l'intera comunità: infatti nessun magistrato si sogna di comminare anni di galera per una barriera autostradale mantenuta aperta; nessun giornalista infarcisce i suoi pezzi soltanto di peana alla vetrina di una multinazionale della moda andata giù, anche il perbenismo dell'uomo della strada non si appunta soltanto sulle barricate incendiate; addirittura in Italia si sarebbe assistito ad accuse da parte dei giornalacci apparsi con Berlusconi di istigazione all'omicidio per la pubblicazione degli elenchi dei senatori con la loro scelta di voto sulla riforma, per Thomas – uno dei nostri interlocutori, quello francese – è invece indispensabile poter operare un controllo sul singolo parlamentare e renderlo responsabile dei suoi atti... però si cominciano a notare delle crepe. Innanzitutto al welfare, eroso dallo stornamento di fondi, nei servizi – per un italiano ancora di buon livello e quasi gratuiti, per un francese già sulla china dell'italianizzazione.
Ma soprattutto alcune frange del paese non sono solidali come un tempo, avendo ormai ottenuto la pensione (in Italia era avvenuto con la riforma Dini, quindi la società francese ha ancora 25 anni per assumere in toto il volto feroce dello stato italiano). Marta, una expat piemontese che vive e lavora da 4 anni a Parigi (e che abbiamo interpellato con Thomas, il suo compagno francese, per comprendere meglio e reallizzare un paragone valutando le lotte in corso contro la riforma sulle pensioni fortemente voluta dal burocrate Macron, emanazione del sistema finanziario, al confronto con il recente passato italiano) individua nella vecchia paura che i francesi hanno nel dna della exception culturelle, sentimento più antiamericano che non meramente nazionalista, che individua in quel modello i maggiori pericoli di trasformazione. E forse il comparto più a rischio per lei potrebbe essere quello scolastico con la contrapposizione tra scuola pubblica e privata, laddove quest'ultima viene agevolata e andrebbe a sfornare dirigenti con lo stampino di un modello privatistico, bloccando l'ascensore sociale.
La lotta proseguirà con il blocco di ogni settore, qualsiasi comparto, con scontri e manifestazioni nelle strade di tutta la Francia, pur avendo la sensazione che ormai il presidente ha i numeri in parlamento per far passare la sua riforma, per intestarsela e completare la missione per cui il potere economico-finanziario lo ha appoggiato. Una riforma che non prende in considerazione alternative all'aumento dell'età pensionabile (e comunque si prevedono 43 anni di contributi per mantenere almeno un 75% del valore dello stipendio e si vocifera già di portare a 71 anni il limite per le pensioni di vecchiaia), anziché tassazione di patrimoni e pensioni d'oro; o anche solo i capitali delle frange di nati prima del 1964 che hanno usufruito del sistema pensionistico ora smantellato e messo al sicuro il gruzzolo che Macron si guarda bene dal tassare per consentire una distribuzione che non richiederebbe alcuna stretta pensionistica. Invece è palese quali sono le categorie prese di mira – individuando una sorta di fastidiosa e altolocata supponenza e distanza di Macron e della sua En Marche. Sono le persone meno istruite – perché senza mezzi e ormai anziani –, precari, che non hanno una carriera di lunga data o frammentaria (e quindi non possono raggranellare tutti gli anni di contributi richiesti), donne giunte al lavoro più tardi e in ruoli subordinati, lavoratori che hanno svolto i lavori più usuranti, ferrovieri... e non si trova più nessuno che intenda sostituire chi riesce a smettere i lavori che non vengono compensati nemmeno per la loro usura.
Altra differenza con il mondo italiano è il ruolo dei sindacati: rispetto alla reazione alla riforma Dini – e ancora di più contro quella Fornero, chiamata a riassestare i disastri del modello Berlusconi nel 2011 con ricette altrettanto liberiste – i sindacati francesi hanno saputo mobilitare e sostenere la lotta, esistono casse di mutuo soccorso per mantenere l'astensione dal lavoro e far sì che lo sciopero faccia male allo stato e non ai lavoratori. Il movimento dei Gilets Jaune è rimasto un po' offuscato dai Gilets Rouge della Cgt ma hanno cominciato a intestarsi anche loro la lotta nel weekend, dopo questa chiacchierata con Marta e Thomas, pur essendo stati una componente della mobilitazione fin dall'inizio, ma più defilati rispetto alla variegata composizione e serietà della lotta di classe che si manifesta nella sensibilità degli oppositori alla legge.
Thomas coglie un punto essenziale della truffa elettorale: cioè Macron sapeva il giorno dell'elezione che non aveva un mandato per fare quello che voleva e che era stato eletto solo per mancanza di candidati antifascisti e invece adesso usa quella delega elettorale paradossalmente ribaltandola in una richiesta dalle urne di completare la riforma e invece serve solo al liberismo per fare strame di uno dei pochi sistemi ancora di welfare funzionante, accentuando le diseguaglianze sociali insite al modello capitalista.
Se si permette ai politici di violare i diritti conquistati in tempo di crisi, creerano tempi di crisi per violare i diritti... fino all'oligarchia assoluta