Maurizio Bettini "Festival del Classico" Circolo dei Lettori
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Descripción
Maurizio Bettini "Festival del Classico" Circolo dei Lettori, Torino https://festivaldelclassico.it/ https://circololettori.it/ Domenica 4 Dicembre, ore 15:00 "I mercanti dell'età dell'oro"Labor improbus e commercio muto con Maurizio Bettini // filologo classico...
mostra más"Festival del Classico"
Circolo dei Lettori, Torino
https://festivaldelclassico.it/
https://circololettori.it/
Domenica 4 Dicembre, ore 15:00
"I mercanti dell'età dell'oro"Labor improbus e commercio muto
con Maurizio Bettini // filologo classico
Sembrerebbe che l’età dell’oro non abbia conosciuto il commercio, è infatti solo dopo che Iuppiter introdusse il labor improbus – con le artes necessarie a sopperire ai bisogni degli uomini, come racconta Virgilio – che è comparso nel panorama del lavoro umano. In realtà, nell’età dell’oro ce n’era una forma alquanto peculiare, in cui il lavoro del mercante era ridotto all’essenziale: il commercio muto.
Maurizio Bettini
"Roma, città della parola"
Einaudi EditoreI
https://www.einaudi.it/
l ruolo dell'oralità all'interno della società romana. Il nuovo libro dell'importante antropologo del mondo classico.
«Tirando le orecchie a qualcuno si può dunque rammentargli di comportarsi da filosofo, ovvero, forse ancora piú saggiamente, di godersi la vita: come nel caso della Morte che viene a "tirarci le orecchie" dicendo "vivete, sto per arrivare!". Toccare le orecchie, tirarle, costituiva insomma la traduzione gestuale dell'admonere, del "far ricordare". Di questo gesto rammemorativo possediamo anche rappresentazioni visive, come il grazioso cammeo che reca incisi un orecchio e una mano che con due dita ne stringe il lobo: la scritta che accompagna l'immagine recita in greco mnemóneue, "ricordati"».
Secondo Plinio il Vecchio, se la vitalitas dell'uomo risiede nelle ginocchia, la memoria risiede «nell'orecchio». Relegare questa affermazione nello sgabuzzino delle curiosità sarebbe un errore. «La memoria dell'orecchio» infatti ha l'immediato potere di svelarci uno dei fattori determinanti nella formazione della cultura romana, la parola parlata. I Romani cioè, e molte altre testimonianze ce lo confermano, sono ancora consapevoli del fatto che i costumi, le norme, i rituali, il ricordo del passato si tramandano (e si ricostruiscono) per via aurale. Come recita un proverbio ghanese «le cose antiche stanno nell'orecchio». A Roma non solo la produzione letteraria, ma anche il diritto, la pratica dello ius, viveva di «parola parlata», tanto che ai caratteri dell'alfabeto essa oppose spesso un'abile resistenza. E che dire del destino, concepito non come una «porzione» di vita (móira), alla maniera dei Greci, ma come una «parola», fatum, pronunziata dall'una o l'altra divinità? Perfino la norma indiscutibile e suprema che regolava il giusto e l'ingiusto, il lecito e l'illecito, ossia il fas, traeva origine da questa sfera: fas est, celebre e solenne locuzione romana, altro non significava se non «è parola che», proprio come molti secoli dopo si dirà «sta scritto che». Anche a Roma, però, la parola è soprattutto un evento sonoro. Come rivela la meravigliosa tessitura di «armonie foniche» che avvolgeva gli enunciati della produzione poetica, religiosa e giuridica di Roma arcaica: «armonie foniche», cosí le definí il grande Ferdinand de Saussure, che fu tra i primi ad appassionarsene.
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