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Il PodCast di Patrizia Cecconi

  • Il giorno della memoria

    26 ENE. 2021 · Molti di noi hanno memorie in famiglia, pur non essendo ebrei, di quel che è stato il nazi-fascismo e delle forme individuali di opposizione ad esso a rischio della propria vita. In alcuni casi per opposizione diretta combattendo in formazioni partigiane, in altri casi come opposizione fatta di puri gesti quotidiani estremamente coraggiosi. Nei campi di sterminio non sono finiti solo sei milioni di vittime ebree, ma almeno altrettanti deportati per opposizione al regime nazi-fascista, e nel giorno della memoria dedicato alla Shoah, anche la memoria di tutti gli altri esige rispetto, tanto più che proprio gli altri sono finiti nei campi per essersi contro un regime criminale anche per difendere le vite degli altri. a volte in modo semplice e silenzioso, come nel racconto che segue, e fortunatamente senza essere scoperti, altre volte pagando con la loro vita. E' fondamentale che la giornata della Memoria della Shoah serva a ricordare che il nazi-fascismo è stato un male assoluto per l'umanità tutta, senza mancare di rispetto per nessuna delle sue vittime, e senza cedere alla ritualità ma condannando senza appello quelle pagine orrende di storia, affinché quel "MAI PIU' " invocato da Primo Levi, sia un "mai più" per tutti.
    Escuchado 14m 2s
  • La Zanzara di Radio24. Tra insulti, bugie e involontarie verità - di Patrizia Cecconi

    25 ENE. 2021 · Se vi è capitato di trovarvi in macchina con la radio sintonizzata su Radio24, può darsi che vi siate scoperti ad ascoltare una delle trasmissioni più ributtanti per volgarità spacciata per libertà di espressione, insulti spacciati per ironia, ingiurie pesanti contro qualunque soggetto scelto dai conduttori spacciate per espressioni libere da “ottuso moralismo”. Se vi è capitato allora eravate sintonizzati su “La Zanzara”. Uno dei suoi due conduttori, nella trasmissione dell’8 gennaio, parlando del povero rider aggredito e derubato da una baby-band a Napoli, dando sfogo al suo pensiero in modo viscerale e più che vagamente razzista è riuscito ad offendere la città di Napoli ed i suoi abitanti e, nel paragone che forse gli è sembrato intelligente, è riuscito a offendere il popolo palestinese offendendo, a mio avviso, anche quella fetta di popolo israeliano che non vorrebbe vedere il proprio paese indicato apertamente come sanguinario e palesemente al di fuori del Diritto universale e internazionale. L’Ambasciata palestinese in Italia ha emanato un c.s. in cui “condanna vivamente l’uso improprio della situazione drammatica in cui vive il popolo palestinese, fatto dal giornalista Giuseppe Cruciani nel corso della trasmissione radiofonica…” in cui, paragonando Napoli a città così impossibile da fargli dire che piuttosto che trovarsi ad essere napoletano membro di una band che aggredisce e deruba un rider avrebbe preferito andare a Ramallah a sparare ai palestinesi col Mossad. Il suo collega David Parenzo, ebreo praticante e forse un po’ toccato da quell’espressione che rendeva chiaro agli ascoltatori che andare a sparare ai palestinesi è pratica israeliana tanto comune da essere addirittura banale, ha solo balbettato qualcosa di incomprensibile. Forse stava riflettendo se fosse preferibile intervenire a correzione di quanto dichiarato oppure se fosse opportuno rincarare la dose, ma non possiamo saperlo. Quel che invece ci è chiaro e ci preme sottolineare, bypassando l’abituale turpiloquio offensivo che caratterizza le esternazioni di Giuseppe Cruciani, è l’imprecisione della sua affermazione. Lui ha parlato di Mossad, ebbene, il Mossad si occupa di omicidi in patria e all’estero (anche in Italia ha sparso, ovviamente impunito, sangue palestinese) ma non va a sparare ai palestinesi nelle strade o nelle loro case come pratica quotidiana. A far quello ci pensa l’esercito regolare, ci pensano spesso i coloni fuorilegge e talvolta anche i semplici cittadini che, come Cruciani forse sa e forse no, possono andare in giro regolarmente armati , anche con mitra in spalla da usare “alla bisogna”, mica come quei “pezzenti” palestinesi che quando non ce la fanno più prendono una pietra o un coltello da cucina! Ecco quel che è riuscito a fare, genialmente, in un colpo solo il cabarettista Cruciani: 1) ha confuso i servizi segreti israeliani con le normali forze militari che occupano i Territori palestinesi, 2) ha reso chiaro agli ascoltatori che ammazzare i palestinesi può comportare qualche rischio sì, ma inferiore a quello che si corre vivendo nella vituperata città partenopea rinforzando stereotipi volgari e offensivi contro Napoli; 3) ha citato Ramallah, città palestinese, abitata da palestinesi musulmani e cristiani e sotto giurisdizione dell’Autorità nazionale palestinese, come città in cui Israele può impunemente entrare e uccidere i palestinesi. Forse la sua intenzione era di mostrare la pericolosità dei palestinesi (sotto occupazione è sfuggito) ma è riuscito a superare se stesso dicendo anche una verità che forse non era nelle sue intenzioni dire. Insomma, credendo di fare satira offensiva e beffarda, Cruciani ha detto una bugia e una verità: la bugia offende i napoletani, la verità offende – magari a ragione – il Diritto internazionale mostrando che è impotente nel fermare i crimini israeliani contro la popolazione palestinese. Va da sé che la trasmissione La zanzara, definita satirico/demenziale, di satirico ha ben poco e che la motivazione per la quale nel 2013 è stato conferito ai suoi conduttori il “Premiolino”, cioè l'apprezzamento per aver “creato un nuovo linguaggio radiofonico e una rubrica di successo” fa parte di quella decadenza politico-sociale che è propria di ambienti razzisti e di bassissima levatura culturale dove basta il turpiloquio per fare audience e far godere, come spettatori di una squallida corrida, gli ascoltatori portati a gioire della demolizione a suon d’insulti dell’oggetto della loro attenzione. Insomma, i conduttori de La zanzara sono stati premiati per la loro capacità di ridurre a livelli primitivi e viscerali il godimento dei loro ascoltatori alla stregua di una delle peggiori radiucole di sub-cultura sessista e razzista che occupano qualche spazio nell’etere. Un caldo ringraziamento al gruppo 24ore per il servizio servito dal suo dipendente degno, come diceva una famosa satira pubblicitaria, dei peggiori bar di Caracas.
    Escuchado 8m 34s
  • La peste israeliana senza vaccino

    18 ENE. 2021 · LA PESTE ISRAELIANA SENZA VACCINO E’ una vera peste lo stillicidio di vite e di diritti umani che va avanti da tre quarti di secolo e non trova chi, potendo, voglia fermarla. Il vaccino ci sarebbe ma non viene usato. I pochissimi operatori della comunicazione che ancora danno notizie dalla Palestina informano di giorno in giorno di un bambino arrestato, di un ragazzo ferito, di un anziano malmenato, di una casa distrutta, o due o tre o tante ma non fa differenza; di persone, soprattutto giovani, arrestate senza accuse reali, esattamente come durante il fascismo si arrestava chi fosse semplicemente fastidioso al regime; o di palestinesi assassinati, di terre illegalmente confiscate, di violenze da parte di coloni ebrei cui Israele ha conferito la cittadinanza definendoli israeliani, anche se non vivono in Israele e, periodicamente, di bombardamenti sulla Striscia di Gaza; di pescatori fucilati e barche confiscate dalle motovedette israeliane che assediano i palestinesi dal mare. Ma lo sappiamo solo da pochissimi organi d’informazione libera, mentre niente di tutto questo fa notizia sui media mainstream. E’ routine. Venir a sapere che un sedicenne che si opponeva alla confisca del suo preziosissimo gruppo elettrogeno è in fin di vita grazie al grilletto facile di una soldata dello Stato ebraico, è possibile solo perché ce lo dice un’agenzia di stampa sul vicino oriente che non soggiace al diktat del silenzio. La notizia si diffonde grazie a un quotidiano libero ma di “nicchia” e ai tanto vituperati social web che la rilanciano. E’ l’aspetto positivo, in mezzo ai tanti negativi, dei social: riescono a incrinare il muro del silenzio o dell’informazione addomesticata rappresentato dai principali organi d’informazione di massa. Con lo stesso mezzo si è diffusa la notizia di uno dei tanti arresti arbitrari di un giovane abitante di At Twani, villaggio a sud di Hebron. Uso il nome ebreo perché è il più conosciuto, ma in realtà Hebron, città palestinese a sud della Cirgiordania si chiama Al Khalil. Il nome, in entrambe le lingue ha lo stesso significato e si riferisce ad Abramo, “l’amato, il caro” a Dio. Voglio soffermarmi su questa notizia, pur sapendo che le altre non sono meno gravi, non solo perché conosco il ragazzo arrestato e la sua famiglia, ma perché conosco abbastanza la situazione del villaggio di At Twani e dell’area in cui si trova. Quel che accade in quelle colline è stato più volte raccontato da vari attivisti, ma chi non c’è stato di persona, magari fermandocisi anche solo per un paio di giorni, difficilmente può immaginare quel che succede quotidianamente in quell’area. E quel che succede è una delle più eclatanti dimostrazioni dell’illegalità israeliana rappresentata dai più “fascisti” (mi si passi il termine nel suo senso lato) tra i coloni fuorilegge che Israele usa per facilitare l’annessione di vaste aree della Cisgiordania. Sami Hureini, il ragazzo arrestato, è il figlio di Hafez Hureini, il rappresentante della resistenza nonviolenta di At Twani. Lì opera anche, da molti anni, una missione di “Operazione Colomba”, ragazzi e ragazze internazionali straordinariamente preparati a tutto, sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista culturale, pratico ed operativo. Gli operatori internazionali di Operazione Colomba hanno sostanzialmente il compito di frapporsi alle violenze dei coloni cercando di ridurle monitorando la situazione, denunciando i reati, facendo relazioni che poi vengono pubblicate e praticando l’interposizione fisica. Raccontare che i bambini dei piccoli villaggi della zona, per arrivare a scuola indenni, devono essere scortati per proteggersi dalle sassate, dalle frustane e dai calci e pugni dei coloni sembra impossibile a chi conosce solo la vulgata filo-israeliana passata dalla TV e dai tanti giornalisti adoratori di Israele, o compiacenti o, nei casi migliori, tolleranti dei suoi tanti crimini. Raccontare dei pastori che vengono bastonati e delle loro capre fatte fuggire o ammazzate, non da quattro bulli ma da qualche centinaio di teppisti protetti dalla kippà, sembra altrettanto incredibile a chi è all’oscuro di queste crudeltà finalizzate a rendere impossibile la vita ai palestinesi e costringerli ad abbandonare la loro terra. Sto parlando di azioni quotidiane in cui la mortificazione, il furto, il danneggiamento, le percosse e le distruzioni costanti impediscono una vita normale. E’ la pratica del democratico Stato di Israele. Quindi, conoscere quel che avviene quotidianamente da quelle parti, e il tipo di risposta data dalla resistenza non violenta (nonostante la violenza quotidianamente subita) può aiutare a capire meglio cosa significa l’arresto di Sami Hureini e perché è necessario avere il coraggio di affermare che Israele è uno Stato canaglia che va condotto, per la sua stessa sicurezza, nell’alveo della legalità internazionale. Cominciano a capirlo anche un numero crescente, sebbene ancora insufficientemente, di giovani ragazze e ragazzi israeliani che rifiutano il servizio militare. La loro non è un’obiezione silente ma un rifiuto con dichiarazione esplicita di non voler servire l’occupazione e quindi di non farsi oppressori diretti del popolo palestinese. E’ un ottimo segno, ma intanto l’esercito che si riconosce nella politica israeliana prosegue nelle sue azioni, tra cui l’arresto notturno – perché c’è anche una “coreografia” degli arresti e la notte significa maggior terrore per tutta la famiglia – di Sami Hureini, il ventitreenne studente-pastore, reo di aver organizzato una protesta nonviolenta in risposta al ferimento di Harun, il sedicenne che cercava di impedire la confisca del gruppo elettrogeno della sua famiglia e che ora è in fin di vita perché la soldata israeliana gli ha sparato al collo. Un gruppo elettrogeno, per una famiglia che non potendo avere né una tenda né una casa perché Israele lo impedisce, e che quindi vive in una caverna sotterranea, significa avere l’elettricità per non morire di freddo ma questo, ovviamente, chi non conosce la situazione non può saperlo. I soldati lo avevano avvertito che quella manifestazione l’avrebbe pagata, ma Sami ha in casa la foto gigante di sua nonna che si difende da un militare armato fino ai denti agitando minacciosamente una scarpa; ha nel suo villaggio natale esempi di “sumud” – termine difficilmente traducibile che significa insieme resistenza, risolutezza, attaccamento incrollabile a un’idea; inoltre è cofondatore dell’associazione Youth of Sumud e, infine, è il figlio di Hafez, il leader riconosciuto del comitato di resistenza popolare dell’area a sud di Hebron e quindi la minaccia dell’arresto non l’avrebbe certo fatto desistere, tanto più che non sarebbe stata la prima esperienza visto che già tre anni fa ha conosciuto il carcere israeliano. Due notti fa un buon numero di mezzi militari ha invaso At Twani e Sami è stato arrestato. Colpevole di cosa? Di opporsi con pratiche nonviolente alla violenza dell’occupazione. Non è un reato, è vero, ma non lo è dove vige lo stato di diritto e non sotto il tallone dell’occupazione militare di uno Stato canaglia che viene tuttavia definito democratico. Sì, la vita nei territori palestinesi occupati non è facile, ma in alcune aree è particolarmente difficile ed è qui che si registra quella forma di particolare tenacia resiliente al punto che il gruppo di Youth of Sumud, insieme ad altre organizzazioni, compreso il Center for Jewish nonviolence, è riuscito a riappropriarsi di Sarura, uno dei villaggi evacuati arbitrariamente dall’occupante ed a ricreare uno spazio, definito Campo della Libertà, costruendo abitazioni scavate nella roccia. Un villaggio sotterraneo dove vige il principio della nonviolenza e dove cresce il sogno di un futuro basato sulla libertà e la giustizia come elementi fondanti di una giusta pace. Ma Israele è un po’ disturbato da questa creatività resistente e i coloni che circondano la zona, sapendo di fare cosa gradita al loro Paese di riferimento, organizzano spesso spedizioni violente con l’illusione di vincere con la forza la “sumud” palestinese. Finora non ce l’hanno fatta e i palestinesi sono certi che non ce la faranno mai. Sami avrà il processo tra pochi giorni, così è stato detto da Israele e, comunque vada, sarà un processo farsa perché figlio di un arresto arbitrario. Forse non ci sarà un solo organo di informazione mainstream a darne notizia, ma il bello del web sta proprio qua: le testate on line in prima battuta e i social come rilancio, trasmetteranno ciò che altrimenti finirebbe inghiottito dal buio o rientrerebbe nella fasulla narrazione filo-israeliana, fornendo un altro alibi alle istituzioni nazionali e internazionali per non prendere sanzioni contro i crimini israeliani. Cioè di non usare quel vaccino che potrebbe sconfiggere la peste.
    Escuchado 12m 25s
  • Escuchado 1m 58s

PATRIZIA CECCONI Romana di nascita, milanese di ultima adozione. Laureata in Sociologia presso la Sapienza Roma ove tiene per alcuni anni dei seminari sulla comunicazione deviante. Successivamente vince la cattedra...

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PATRIZIA CECCONI

Romana di nascita, milanese di ultima adozione. Laureata in Sociologia presso la Sapienza Roma ove tiene per alcuni anni dei seminari sulla comunicazione deviante. Successivamente vince la cattedra in Discipline economiche ed insegna per circa 25 anni negli Istituti commerciali e nei Licei sperimentali. Interessata all'ambiente, alle questioni di genere e ai diritti umani ha pubblicato e curato diversi libri su tali argomenti ed uno in particolare sulla Palestina esaminata sia dal punto di vista ambientale che storico-politico. Ha presieduto per due mandati l'associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese di cui ora è presidente onoraria e, al momento, presiede l'associazione di volontariato Oltre il Mare. Da oltre 12 anni trascorre diversi mesi l'anno in Palestina, sia West Bank che Striscia di Gaza, occupandosi di progetti e testimonianze dirette della situazione. Collabora con diverse testate on line sia di quotidiani che di riviste pubblicando articoli e racconti.
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Autor Radio Ortica
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