21 OCT. 2023 · https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/
Anp di Abbas: una trattativa al ribasso, anziché il rispetto di se stessi
La capa dell’esecutivo italiano lancia dal Cairo una crociata islamofoba contrapposta alla esasperata ribellione di alcuni ambienti palestinesi, accusati di portare un attacco alla cultura occidentale di matrice religiosa per aver restituito parte della violenza perpetrata con ben altri mezzi dall’entità sionista in decenni di occupazione coloniale e apartheid. Solo l’ultimo atto di un processo che comporta come una delle conseguenze sia la sempre maggiore difficoltà a parlare con giornalisti mainstream della questione israelo-palestinese, perché emergono adesioni a priori alle mistificazioni dell’entità sionista che ormai coincide con le istituzioni israeliane e regola lo stato ebraico.
Slogan ossessivamente ripetuti per ottundere le menti ed esorcizzare il demone da ostracizzare
Farid Adly e la sua creatura “Anbamed” hanno un atteggiamento pregiudiziale sulle fonti e quindi con serietà la selezione delle sorgenti dell’informazione avviene volta per volta per inquadrare gli argomenti consentendo così di fornire notizie che risultano più vicine alla realtà delle veline ripetute acriticamente come un tam tam dalla stampa mainstream, che non informa ma tutela la perpetuazione del mantra sull’unica democrazia della regione (in regime di apartheid e militarizzazione della società). Lo sforzo di Farid e della sua testata è quello di far arrivare notizie che in Italia non superano proprio il filtro e non vengono diffuse, analisi delle fonti che andrebbe fatta all’inverso, trattando con sospetto – e dunque filtrando preventivamente – quanto viene fornito da organi militari e parti coinvolte; su quella base, mettendo insieme i fatti verificati, il quadro si fa più chiaro anche sul massacro genocida dei gazawi di questi giorni da parte dei terroristi Idf, con strategie omologabilii a quelle di Hamas, entrambe entità nazionaliste e reazionarie, accecate dal bisogno di sopraffare e annientare l’avversario: da qui il bisogno di demonizzarlo attraverso un’informazione blindata. Questo processo mediatico nasconde dietro alla guerra al nemico – dipinto come feroce terrorista – una volontà di annientamento del popolo assimilato ai capi militari, per cui dichiarare guerra a Hamas significa nell’immaginario della Nato legittimare la distruzione di Gaza e di tutti i suoi abitanti. La strategia risulta ancora più chiara se usando lo strumento storico e non solo la cronaca a cui ci riduce l’infotainment si tiene conto del fatto che la politica coloniale del Likud è strettamente intrecciata alla creazione di Hamas come antagonista del laico Fatah con la funzione di indebolirne l’efficacia. E proprio questa creazione del Golem ha sempre impedito la sintesi tra le forze palestinesi che si contrappongono alla occupazione sionista, perché è più funzionale per Hamas come per Netanyahu: infatti a ogni attacco israeliano Hamas guadagna consensi. Ma la lotta di massa del popolo palestinese è da sempre un’altra, sullo stile dell’Intifada.
Ma come dice Farid: «L’unico rappresentante riconosciuto dai palestinesi dovrebbe essere l’Olp» e non è un caso che Hamas non abbia mai voluto farne parte. Attualmente è un’organizzazione congelata dal vecchio sistema corrotto di Abbas, che mantiene l’ordine per conto di Tel Aviv.
La narrazione tossica affonda nella storia e negli interessi dell’industria bellica
Nella chiacchierata con Farid Adly la stigmatizzazione di quella narrazione tossica trova il contraltare all’immaginario costruito dalle necessità colonialiste nelle considerazioni sul traffico di armi, che fanno la fortuna delle industrie belliche americane (il 57% della produzione viene assorbito dalla regione) e «Israele è funzionale all’economia e al dominio americano in medioriente»; dell’uso della categoria “terroristi” applicata da sempre a chi, come l’Olp, non rimaneva succube a sopportare la pulizia etnica gradualmente perpetrata dal sionismo (l’espulsione verso il Sinai dei gazawi è solo l’ultima di una serie che ha visto campi profughi palestinesi in Giordania, Siria, Libano... persone espropriate e mai più tornate alle loro terre): un’operazione tattica israeliana che ha portato a raccogliere il ramo d’ulivo di Arafat solo per raggirare a Oslo i palestinesi con la complicità della comunità internazionale, che non riconoscendo l’Anp da nessuna parte ha legittimato l’arroganza di Israele. La lucidità del discorso suffragato dalla memoria storica del conflitto di interessi tra cittadini palestinesi e coloni israeliani ci permette di non dimenticare – come invece viene sottaciuto da qualsiasi dibattito ultimamente – che il progressivo incremento di insediamenti, incoraggiati da Netanyahu per mantenere il potere col sostegno dei coloni più oltranzisti, impedisce il rispetto degli Accordi di Oslo, delle Risoluzioni dell’Onu e della creazione di un territorio realmente amministrato e a guida palestinese.
Il frutto di una trattativa al ribasso, che ha dimenticato la rivendicazione del rispetto dei diritti
Si affaccia poi il problema etico della disparità di giudizi e politiche nell’analisi europea dell’invasione dell’Ucraina e di quella di Gaza, che apre il campo alla critica della capacità e della debolezza della leadership palestinese a imporre un dato di fatto così palese al consesso internazionale, che non vuole vedere le similitudini per interessi commerciali o opportunismo servile; ovviamente Israele si avvale della sua potenza militare, avendo la forza per poter impedire la crescita di qualsiasi gruppo palestinese capace di contrastare il piano di sostituzione etnica dei sionisti attraverso le uccisioni mirate o l’incarcerazione a vita di chi si oppone, per esempio con l’Intifada (per esempio di Marwan Barghouti da 25 anni nelle galere israeliane – zittito come Gramsci dal regime fascista): infatti all’entità sionista serve avere un interlocutore che mercanteggia sull’elemosina concessa dagli occupanti e non certo uno che pretende vengano rispettati gli accordi internazionali. Una trattativa al ribasso, anziché il rispetto dei diritti.