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La politica della Turchia negli equilibri euroasiatici e mediterranei.
Le guerre ottomane del nuovo millennio
Le guerre ottomane del nuovo millennio
OGzero - Orizzonti geopolitici
2 NOV. 2024 · Nessuno stupore in Anatolia?
@muratcinar
Difficile riuscire a tenere insieme tutti i bandoli della narrazione mai univoca e lineare in Medioriente e in Turchia in particolare, ma Murat Cinar da noi sollecitato a formulare un racconto che, passando da un evento all’altro di quelli apparentemente slegati che hanno caratterizzato la recentissima storia turca, riuscisse a metterli in fila a costituire un unico canovaccio atto a conferire un ruolo ad Ankara nella complessa nuova configurazione della regione imposta dalle mire ebraico-statunitensi.
E allora a cominciare dalle – apparentemente sorprendenti – avances di Bahçelī (leader dei Lupi grigi!!) a Öcalan: l’alleato di Erdoğan vorrebbe portare il leader del Pkk in isolamento da 25 anni al Parlamento dove dovrebbe sciogliere il Pkk in un partito che abiura la lotta armata. Ma il partito curdo dei lavoratori non ha ottenuto le rivendicazioni avanzate al momento della sua formazione, quindi perché estinguerlo? Fatto sta che dopo 4 anni Öcalan incontra il nipote (parlamentare Dem) a Imrali, il carcere dove è rinchiuso, dove risponde in modo positivo all’appello appena lanciato da Bahçelī. Poi negli stessi giorni in cui si avanza questa proposta e durante il viaggio del sultano a Kazan per essere presente alla riunione dei Brics, una frangia radicale del Pkk riesce a portare a compimento un attentato ai danni della azienda bellica tra le più importanti del paese (quella di elicotteri usati per uccidere combattenti curdi e con cui collabora Leonardo, tanto che erano presenti tecnici della multinazionale della guerra italiana); altra sorpresa proviene dalla sollecita diffusione delle immagini dell’attacco, mentre stupisce l’assenza di sistemi di sicurezza all’interno dello stabilimento. Questo attentato si inserisce in queste aperture in modo ambiguo, come le reazioni dei protagonisti, molto variegate a dimostrare la fumosità di aperture all’ostaggio di Imrali contemporaneamente all’incarcerazione per appartenenza al Pkk del sindaco di Esenyurt democraticamente eletto da nemmeno un anno come Ahmet Ozer.
Stanno riposizionandosi tutti in Medioriente
Ulteriore incertezza si ottiene tenendo sempre fermo il fulcro sulla penisola anatolica per leggere le trasformazioni in atto nel Medioriente che vede mutamenti radicali in ogni direzione che coinvolgono la politica estera turca: un avvicinamento dell’Iraq, dove gli americani stano ritirando il loro contingente, al nuovo presidente iraniano – di origine in parte curda – che si trova ad affrontare una ripresa della lotta armata curda da parte del Kurdistan Free Life Party (Pjak); una Siria dove non ci saranno più truppe americane, per cui riappare il piano dell'amicizia con Assad, che ha già risposto di ritirare le truppe turche dal Rojava… all’interno di tutto questo assumere di nuovo il Pkk come interlocutore potrebbe essere per Erdoğan una soluzione per continuare a mantenere un’influenza sui territori confinanti e trovare una formula di convivenza, dividendo lo schieramento curdo.
Un altro ruolo che la Turchia non si preclude è l'ingresso nel club dei Brics, che tenta di ottenere senza abbandonare il campo occidentale e benché Putin abbia appoggiato la candidatura India e Sudafrica nicchiano, sarà ancora un percorso lungo che dipenderà da come si muoverà in Medioriente e saprà contrastare i contendenti nella regione.
2 ABR. 2023 · Il terremoto ha lasciato ferite in Anatolia, ma i rivolgimenti nell’area sono improntati al più cupo pessimismo, non solo per come un dittatore ha potuto stravolgere lo spirito della comunità turca, ma anche la composizione eterogenea dell’opposizione lascia dubbi sul futuro turco, fosco nel racconto di Murat Cinar; però anche le parole di Eric Salerno non individuano nei moti di piazza contro la cancellazione della indipendenza della magistratura altro che una ribellione composita che non conduce a un ribaltamento degli equilibri sempre più ortodossi, confessionali e razzisti.
sulla sponda meridionale del Mediterraneo orientale della sedicente unica democrazia del Medio Oriente, che si trova alle prese con il congelamento di questa riforma che completerebbe la trasformazione dello stato laico israeliano in una democratura confessionale senza divisione tra poteri, fondato sull’apartheid, che cancella libertà fondamentali a seguito della alleanza tra il Likud e le più viete posizioni reazionarie di una destra feroce, a causa della hybris di un tracotante politico privo di scrupoli che intende soltanto riuscire a evitare il carcere.
Tutto è dunque improntato all’impunità e all’uso da parte dell’oligarchia al potere delle risorse nazionali per assicurare la continuità del potere, un quadro a cui si assiste dalla diffusione dovunque del pensiero di destra e del capitalismo neoliberista.
Molti sono i tratti comuni tra le due nazioni rivali, eppure sempre pronte a scambiare affari. Forse l’ambito di maggiore aderenza e scambio diretto (o più facilmente per via di triangolazioni) è quello delle armi (prodotte, vendute e comprate con tutti, senza scrupoli di alcun genere) e l’appartenenza a uno stesso fronte atlantista, ma anche procurarsi risorse (gli affari con il “curdo utile” Barzani per Ankara; il gas attorno a Cipro per entrambi), e pure l’importanza ipocrita della religione per entrambe le competizioni elettorali da cui discendono le alleanze incongrue e il costante riferimento alla centralità delle comunità confessionali in una società estremamente divisa, dove, come acutamente individua Eric a proposito di Israele, le sfumature non sono mai totalmente laiche in un abbraccio esiziale tra politica e gruppi religiosi, lo stesso che ha mantenuto Erdoğan al potere per 20 anni e che oggi, con il trionfo delle destre sioniste, tende alla teocrazia per ridurre le possibilità democratiche delle minoranze ed è difficile sperare che l’insurrezione in corso contro Netanyahu non porterà a un cambiamento radicale: infatti pochissimi dei manifestanti chiedevano di risolvere la questione palestinese.
Allo stesso modo la coalizione di Kemal Kiliçdaroglu, che per ora si accontenterebbe di sottrarre la presidenza a Erdoğan, poi dovrebbe trovare un programma di minima condiviso, magari emendando in prima istanza la Costituzione – che Israele non ha, affidandosi a una dozzina di leggi fondamentali come base a cui fare riferimento – che risale ancora al governo golpista turco del 1980, sostituire la legge elettorale, eliminando il presidenzialismo… ma poi le disparità sarebbero enormi e imporrebbero nuove elezioni.
Persino i confini sono vaghi – liquidi direbbe Bauman – perché Israele ha confini mutanti… ma anche la Turchia rivendica isole greche a poche miglia dalla costa.
Non di secondo piano l’importanza delle pulsioni razziste: contro i palestinesi per Tel Aviv, ma non solo perché tra ashkenaziti, sefarditi e falascià ci sono livelli diversi di importanza e di preparazione, con riferimenti diversi alla dottrina sionista; contro i siriani e gli afgani per Ankara; a questa gara di intolleranza razzista non si sottraggono nemmeno i candidati di sinistra. In entrambi i casi l’oggetto delle attenzioni sono popolazioni simili e vicine: tutti semiti gli uni, tutti mesopotamici o dell’Asia centrale nell’altro caso.
31 ENE. 2023 · https://ogzero.org/autore/murat-cinar/
Quanto Erdoğan deve a utili idioti, incertezze degli europei e divisioni del resto del mondo che lui dipinge come aggressori ai confini della ipermilitarizzata nazione dal satrapo governata attraverso corruzione, rapina nel bilancio dello stato, controllo della magistratura e dell’informazione? Sostanzialmente è questo il grosso quesito che ci siamo posti, intervistando Murat Cinar, giornalista di origine turca e analista in particolare di quella società di fronte all’ennesima giravolta del ventennio autocratico del sultano anatolico.
Un Corano che brucia a Stoccolma produce una tempesta di F-35 a Bruxelles
Un utile idiota neonazista può produrre il solito “qualsiasi pretesto” per avanzare richieste ridicole da parte del presidente turco in costante campagna elettorale. La democratura deve sempre coniugare politica esterna a sostegno di quella interna per mantenere il potere da rinfocolare all’interno e avere il sostegno per alimentare le pretese oltre confine, dove gli forniscono le armi per eternare il suo sistema di potere mafioso: islamofobia, censura, intrusione negli affari nazionali.
Erdoğan coglie la palla al balzo, rialzando sempre la posta
Il primo regalo al satrapo turco lo fece l’UE sospendendo 15 anni fa la pratica turca, poté cominciare a fare la vittima esportando manodopera a basso costo, ma con rimesse sostanziose nelle casse da svuotare dalle clientele assoldate dall’Akp, e aumentando i rapporti commerciali con la Comunità europea; il capolavoro è stato il marchingegno inventato sulla mancanza di coraggio di Bruxelles nella soluzione del problema dei migranti e che non ha visto di meglio che un accordo ipocrita con il mercante levantino per trattenere migranti siriani che lui stesso ha contributo a creare, per i quali si fa pagare e si rivende elettoralmente, cercando di dislocarli in un territorio curdo-siriano, per il quale si lancia in una guerra che gli ripaga la campagna elettorale e fornisce commesse all’industria bellica.
La minaccia su Kobane è un marchio di fabbrica
Sempre con un atteggiamento binario: Erdoğan aderisce a organismi occidentali, ma poi è pilastro degli Accordi di Astana con un ruolo di potenza intermedia; non ha ancora invaso – come da programma della campagna elettorale – il Rojava, pur avendolo minacciato un sacco di volte, ma stavolta forse non ha ricevuto il semaforo verde dai potenti veri. Forse a causa della guerra in Ucraina? Ma questo forse si configura nell’altra strategia che prevede una dissolvenza: il fade-out che chiudeva sull’accusa di terrorista rivolta ad Assad prima del semigolpe si riapre con l’auspicato incontro con l’amico Assad, che schiaccerà le legittime richieste curde di Confederalismo democratico per il Nord della Siria.
Ogni giorno ci sono sondaggi sulla presenza dei “fratelli siriani” in Turchia e il voto andrà a chi li caccia il più in fretta possibile, come chiede il partito nazionalista della Vittoria.
Conseguenze economiche delle guerre assorbite dallo spirito guerrafondaio
Camuffare la crisi economica, elargire pensioni ai quarantenni e aumentare le minime più del doppio rispetto a Macron (uno schiaffo agli “europei”), assistenzialismo, rottamazione delle cartelle fiscali, scudi fiscali… come distrazione di massa e per l’aumento del debito pubblico ci si penserà una volta confermati sulla Poltrona di Sultano.
Non si discutono gli interventi militari in Caucaso, nel Mediterraneo orientale e occidentale, perché 20 anni fa il movimento pacifista (contro la guerra in Iraq) è stato distrutto e non si è mai più ripreso. E questo nasce dal ritorno dell’investimento sulla educazione e sulla scuola militarizzata fin dalla più tenera età. Difficile in tutto il mondo riuscire ad analizzare la condizione economica mettendola in relazione con la spesa militare. Ma basta un dato: i migranti turchi che attraversavano il confine tra Mexico e Usa fino al 2022 erano 2-3mila ogni anno, lo scorso anno il dato fornito dagli americani è di 32mila persone! I minori invece fuggono verso l’Italia, sia con voli (i ricchi), sia attraverso la rotta balcanica (i miseri), sia nei vani dei tir. I capitalisti che esportano soldi invece usano le barche a vela: un flusso inarrestabile.
Anche gli scioperi sono “regolati”, o meglio impediti, proibiti… il presidente può annullare gli scioperi; eh, il presidenzialismo!!?! Eppure a Kocaeli hanno fatto sciopero, andando allo scontro… e perdendolo, perché la Turchia è come una piccola Cina, dove si continua a lavorare e produrre e con un’elevata professionalità.
Murat mantiene accesa una minima speranza che l'occupazione del potere lasci spiragli per il Tavolo dei sei, ma è davvero flebile
19 NOV. 2022 · https://ogzero.org/tag/erdogan/
Approfittare dell’emozione per l’evento e del palcoscenico del G20 per gettare sul piatto della politica internazionale i dossier che stanno a cuore a Erdoğan e i toni minacciosi da bulli si confanno a una figura in palese declino e con la paura di non venire rieletto a giugno e con una situazione economica da far dimenticare. In eterno equilibrio, barcamenandosi tra i vari contendenti
Molti punti interrogativi dietro all’attentato avvenuto a Istanbul in contemporanea con il palcoscenico del G20 balinese, ma forse sono pochi quelli che possono avere persone avvertite e che conoscono i meccanismi della propaganda delirante dell’Akp. Il pretesto dell’attentato, tralasciando la sua ricostruzione che per tradizione non riuscirà a essere univoca (anche per l’appartenenza faziosa della magistratura), ci consente attraverso la consueta domanda “cui prodest?”: il primo personaggio a entrare in scena è Çavuşoğlu, il ministro dell’Interno, delfino di Erdoğan, che usa l’evento come una clava contro gli Usa – e di conseguenza minacciando i curdi, proprio per l’appoggio americano. Questo porta a valutare il bersaglio “Biden” come uno degli obiettivi.
L’altro paese nel mirino è la Grecia, denunciata nella ricostruzione delirante dei servizi turchi come la tappa dove avrebbe dovuto scappare la signora-attentatrice – che era stata vista a colloquio con i lupi grigi – se lasciate le telecamere nei pressi della bomba non fosse andata tranquillamente a casa. Atene contro cui ci sono molti dossier in sospeso, primo tra tutti il gas nel Mediterraneo orientale e le esercitazioni congiunte nell’Egeo, che si va a sommare ai consueti contenziosi sulla Sar. Sostenendo le stesse tesi è poi sceso in campo il presidente stesso con il solito chiodo fisso dell’arcinemico (ex alleato) Gülen, coperto proprio dagli Usa.
E i dossier aperti per andare all’incasso di questo rocambolesco attentato sono più riconducibili agli interessi più geopolitici che non al desiderio di annientare il movimento indipendentista curdo, perché in realtà stanno già occupando parte del territorio siriano e eseguono omicidi mirati sia in Iraq che in Siria. Una presenza militare massiccia mai sanzionata da nessuna potenza mondiale.
In realtà il problema del presidente è riuscire a imporre quella famosa zona cuscinetto in territorio siriano dove deportare i 3 milioni di siriani accolti, che si può ottenere solo se Putin lo consente e poi molti sono ormai naturalizzati e poi i migranti sono – come dovunque – la base produttiva che tiene in piedi l’economia, offrendo mano d’opera sfruttata a basso costo in concorrenza con le maestranze autoctone. E in più adesso indicando come siriana l’attentatrice l’elettorato dell’Akp richiederà l’allontanamento dei siriani… E Erdoğan non ha la soluzione.
3 ABR. 2022 · https://ogzero.org/il-gioco-delle-parti-e-il-nuovo-ordine-mondiale/ Con Murat Cinar è facile intendersi ormai dopo anni di condivisione di microfoni di @rbo10525, e proprio di questo avevamo bisogno per tentare di aprirci un varco nelle illazioni relative al dinamismo diplomatico dell’ex autocrate di Ankara – ora statista e riferimento centrale mondiale per mettere in scena la pantomima degli accordi – e di quelle che sono le evoluzioni delle relazioni internazionali turche non solo nel Mediterraneo orientale, ma in una crescita esponenziale dell’importanza della potenza locale anatolica quanti più son i quadranti in cui è coinvolta, sia con la presenza di truppe (come in Somalia), sia con la vendita – attenzione: mai prestito – di droni e di batterie missilistiche (magari comprate da Mosca, come gli S-400), sia soprattutto intessendo una nuova rete di alleanze che superi realmente Astana, perpetuandola come sistema e come protagonisti, accomunati dal bisogno di affrancamento autoritario dall’ordine mondiale occidentale. E ponga al centro l'altro grande partner mediorientale: Israele, che subitamente si espone con il repertorio diplomatico, atto a nascondere gli affari e gli scambi semiocculti, gli approvvigionamenti di armi, energia e gasdotti. “Il sole24Ore” del 29 e 30 marzo 2022 enuncia la portata storica del vertice nel Negev tra Israele, 5 paesi arabi e Blinken e poi, il giorno seguente, sciorina i dati della “Pipeline della Distensione” tra Turchia e Israele. La sorprendente distensione di tutti i paesi – autocratici – con l’“Unica democrazia del Mena” è stupefacente: il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, ha rilasciato dichiarazioni entusiastiche: «Stiamo facendo la storia, creando una nuova architettura regionale che intimidisce ed è un deterrente verso i nostri nemici comuni, primo tra tutti l’Iran e i suoi alleati…» e poi l'annuncio del progetto del gasdotto sottomarino di 550 chilometri tra costa turca e il giacimento Leviathan in territorio israeliano. A Israele permette di esportare più gas e fare cassa. Alla Turchia consente di ridurre la sua esposizione verso la Russia e soprattutto di rifornire la sua economia energivora (Ankara importa il 90% del metano che consuma)… Il costo è molto più basso dei sei miliardi di euro stimati per la realizzazione del progetto EastMed, il potenziale e controverso gasdotto sottomarino per collegare Israele con Cipro, Grecia e Italia: la pipeline turco-israeliana raggiunge gli 1,5 miliardi.
Ecco di tutto questo si parla in questa mezz'ora densa con Murat sullo sfondo dei venti di guerra ucraini si svolgono molti affari e si dimenticano dispute millenarie, come tra Atene e Ankara: oltreché di sovraesposizione internazionale a uso di consenso interno ad Ankara, di economie a pezzi che si reggono sulla guerra e sulla devastazione dell’ambiente, sulle infrastrutture che assorbono come idrovore denaro pubblico e politica delle mani libere, quest’ultima sia ad Ankara che a Tel Aviv, una garanzia di accreditamento come mediatori. E dunque l'affare rappresentato dalla guerra combattuta da altri e su cui lucrare non schierandosi apertamente, rifiutando ogni sanzione, accogliendo oligarchi – e i loro capitali – e fuorusciti oppositori, facendo business di persone, oppositori e rifugiati; e di accordi su costruzioni di centrali nucleari (la prima in costruzione in Turchia batterà il tricolore russo).
Ma già prima dello scoppio della guerra il suolo turco era teatro di incontri e stipule di contratti, come la presenza di emissari emiratini e qatarioti ad Ankara una settimana prima: Israele e Turchia in questi passaggi sono anche in questo caso intrecciati, come osservatori, semioccupanti di posizioni strategiche nell’area
22 ENE. 2022 · In sole 88 pagine si trovano infinite suggestioni per cogliere strategie, alleanze e accordi che hanno visto tre potenze autoritarie locali inserirsi nel solco del ritiro statunitense dall’impegno mediorientale a partire dalla soluzione della guerra siriana in modo che fosse per Russia, Iran e Turchia quella più soddisfacente, come ha correttamente esordito Vittoria Valentini introducendo il webinar svolto per iniziativa dell’Osservatorio Mediterraneo - Lumsa attorno al volume scritto da Antonella De Biasi sulla scorta di uno Studium raccolto da OGzero lungo tutto il 2021: https://ogzero.org/studium/il-mare-di-astana-il-mediterraneo/
Il discorso che ha visto coinvolti l’autrice del volume con Matteo Bressan in questa occasione di usare il testo per analizzare il modello “Astana” si è occupato soprattutto degli assetti relativi allo scacchiere mediterraneo in cui si crea il format degli Accordi di Astana, che si propone come una assoluta novità che è rappresentazione dell’attuale scenario internazionale (e lo è anche e soprattutto se commisurato agli Abraham Accords, dove si normalizza diplomaticamente un bisogno di contenimento maturato nell’ultimo decennio); un sistema a geometrie variabili, coinvolgendo protagonisti diversi, applicabile in materia di affari, di composizione di conflitti, di allargamento di influenze, di pragmatismo politico e relazioni personali autocratiche.
In questi 45 minuti si toccano un po’ tutti gli ambiti della politica internazionale dell’area tra Caucaso e Mena; tra Mediterraneo orientale e instabilità del Sahel (Wagner); tra Mashreq e Mesopotamia (l’annosa rimozione della questione curda); tra Golfo della Sirte e stretto di Hormuz; tra il porto di Trieste e il nuovo Choc Point che si creerà con il progetto del canale di Istanbul, ribaltando gli equilibri del mar Nero, disattendendo alla Convenzione di Montreal… e quindi anche scatenando dissidi interni tra i protagonisti di Astana.
12 FEB. 2021 · Una popolazione turcomanna perseguitata, incarcerata, deportata, sottoposta a lavori forzati, che abita un territorio che è snodo di scambio di merci da sempre (il mercato di Kashgar), nel deserto del Takimlakan c'è il petrolio in quantità, ma soprattutto Xi Jin Ping non può permettersi di concedere a oppositori e minoranze di contrapporsi al potere han. Perciò in cambio di vaccini e petrolio, di cui Erdoğan è ghiotto, ha chiesto al presidente della Turchia di dimenticare la solidarietà con i fratelli di religione ed etnia conglobati nell'impero cinese. Anzi la richiesta è di svenderli, catturarli ed estradarli al loro boia nel periodo in cui entrano in vigore le leggi sulla sicurezza cinesi... detto fatto.
Murat Cinar, giornalista turco e Sabrina Moles, sinologa e redattrice di China Files ne hanno parlato in Radio Blackout
15 OCT. 2020 · 52 cadaveri siriani, uccisi a 600 chilometri lontano da casa, in Nagorno-Karabach. Mercenari prezzolati da tutti i protagonisti di Astana, ormai sempre più in rotta di collisione; armi vendute da tutti, canadesi compresi; gestione di giacimenti di gas familistici; equilibri geopolitici saltati, o almeno trasformati. Occupazioni violente e marziali di territori e di comunità, distruzione di case. Ecatombe di civili. E poi l'uso della guerra per stornare l'attenzione da crisi, indebitamento e crack strutturale dello stato turco.
6 OCT. 2020 · Il disastro finanziario turco non ha altra soluzione che quella di mostrarsi aggressivo internazionalmente, ottenere a bsso prezzo tutta l'energia che divora, drenare finanziamenti per infrastrutture megalomani che foraggiano la clientela interna; intanto il Sultano tesse una ragnatela di rapporti e alleanze contraddittorie e mirate a espandere le aree che può controllare. Ma il problema è sempre quello: una bolla speculativa finanziaria enorme continua ad addensarsi sui conti dello stato turco
La politica della Turchia negli equilibri euroasiatici e mediterranei.
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